Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in tennis di periferia on 29 Settembre 2015 7 min read
E a un certo punto l’inverno arriva veramente. Nella partita precedente sei lì ad asciugare il sudore con l’asciugamano, a bere l’acqua fredda che si scalda ma ancora refrigera perché l’hai portata da casa che era ancora congelata. E poi ti ritrovi a giocare al buio, quando non sono neanche le sette di sera. Per il calendario l’estate è finita da qualche giorno, ma a Roma ancora non fa freddo. Non ci sono più i trenta gradi, ma fra un po’ dovrebbe arrivare l’ottobrata romana, quel periodo in cui il tepore dei venti gradi riscalda la vita dei romani quando il resto dell’Italia inizia a patire il freddo.
L’appuntamento per la partita di doppio è per le 18:30. I fan del tennis non seguono molto il gioco a quattro, ma poi lo praticano tanto nei circoli, specie d’estate. Quando fa caldo, i tennisti stanziali sono al circolo tutto il giorno. Sono gli ex dipendenti del ministero, ex magistrati che si mischiano a medici ed avvocati e occupano i campi tutto il giorno, alternando il tennis a un tuffo in piscina, una corsetta in palestra o il riposo dell’area Spa, pranzando al circolo e organizzando lunghe partite di burraco sotto l’ombra dei pini nel primo pomeriggio, quando la canicola gli consiglia l’ombra. Quando fa più freddo e le giornate si accorciano, il circolo diventa la terra dei più giovani. Non dei giovanissimi, gli agonisti under che si allenano nel primo pomeriggio per poi tornare a casa a fare i compiti. Da settembre in poi, dopo le sei di sera, i circoli tennis sono il regno degli adulti, i principianti che dopo l’estate hanno deciso di provare questo gioco iscrivendosi ai corsi per adulti, che fa tanto scuola serale, o quelli che, pur sapendo giocare, preferiscono fare il corso una volta la settimana giusto per avere il campo prenotato fisso.
Mancano un paio di ore alla cena, e al circolo i soci in campo lasciano i campi alla spicciolata. La luce comincia a calare, e in cielo qualche nuvola comincia a farsi minacciosa. Arrivano i tennisti appena usciti dall’ufficio, quelli che, se il GRA è clemente, riusciranno a fare un doppio. I primi due dei quattro iniziano a scaldarsi. Arriva il terzo, e si aggiunge a loro. Mancavano venti minuti alle sette e le luci del campo si accendono perché la pallina si vede sempre di meno. Di fianco, nel campo adiacente, inizia la lezione dei tennisti “del serale”, tutti over 30 che provano diritti e rovesci a vuoto, aspettando l’istruttore che gli tiri una palla sul diritto e una sul rovescio, facendoli colpire praticamente da fermi.
Arriva il quarto, finalmente. È buio, ma non buio pesto, perché ci sono ancora le luci del campo di fianco accese. La temperatura scende, e i corsisti adulti infilano le loro felpe perché colpiscono con poca frequenza e quindi non sudano. Hanno tutti ancora i pantaloncini corti, però. Dopo un riscaldamento veloce i quattro iniziano la partita. E inizia anche a piovere. Piano. È una pioggerellina fitta, di quelle che sai che non si fermeranno a breve ma che neanche aumenteranno l’intensità. Mentre i quattro volleano, i tennisti del corso serale domandano all’istruttore cosa devono fare, se continuare o meno a giocare visto che la pioggerellina non smette.
L’estate, col suo caldo asfissiante o umido, con il sole alto a saturare ancora di più il rosso della terra, con gli ombrelloni aperti sulle panche di plastica bianca, le magliette rigorosamente bianche e mai nere per non attrarre il sole, è solo un ricordo. È andato in scena il cambio di stagione. E allora, mentre giochi sotto la pioggia, improvvisamente devi correre verso la panca a chiudere le zip del borsone, che hai lasciato mezze aperte perché così hai fatto per tutta l’estate. L’acqua è buona a temperatura ambiente e poi la mattina, dopo aver controllato il tempo che ti aveva preoccupato per via di quell’icona con la nuvola per il tardo pomeriggio, in borsa hai messo le scarpe da tennis più pesanti, non quelle con la tela sull’avampiede dal colore sgargiante che hai usato per tutta l’estate. E agli amici del calciotto che ti hanno cercato per tutta la giornata hai detto no solamente a metà pomeriggio, perché volevi lasciarti una seconda possibilità di moto fisico in caso la pioggia facesse saltare il tennis.
La pioggia non si ferma, ma non è pesante. E allora si gioca. Sul campo di fianco dopo venti minuti la lezione si interrompe. Il doppio dei quattro, tutti classificati e quindi più o meno agonisti, va avanti. La terra è morbida, sempre di più, e le scarpe pesanti, sempre di più. Mentre sei lì in attesa che il gioco riprenda, mentre l’avversario cerca le palline in campo per prepararsi al servizio, fai attenzione a tenere il manico della racchetta in verticale, lungo il corpo, per non far bagnare ancora di più l’overgrip, già umido.
La pioggia si ferma, ma poi riparte. Il gioco invece non si ferma mai, neanche quando è passata un’ora, un set è già finito e l’altro si avvia alla conclusione. Il buio ora è pesto: le luci dei sei campi da tennis del circolo sono accese solo sul campo numero 2. Gli spalti sono vuoti. Si affaccia il proprietario del circolo. Indossa i bermuda della giornata che è stata calda fino a poche ore prima, ma ora ha la felpa a coprire la t-shirt. Si ripara con l’ombrello e chiede ai tennisti perché stiano ancora giocando con questa pioggia. Non è preoccupato per loro. Non teme che qualcuno possa scivolare sulle righe che si fanno sempre più sdrucciolevoli (tanto che quando sei in risposta al servizio scegli di anticipare molto con i piedi ben dentro al campo se è una prima o di rispondere un mezzo metro abbondante dietro la riga se è una seconda, sperando che l’avversario la serva con un bel kick cosicché non ci si debba spostare in avanti). Lui è preoccupato piuttosto per il campo, che potrebbe rovinarsi perché la terra è fin troppo umida.
Una delle due coppie sta servendo per vincere il secondo set, per pareggiarne il conto e lasciar decidere i vincitori al terzo. Ma le parole del gestore hanno già segnato la fine della partita: il terzo set non si farà. I quattro si complimentano a vicenda, si stringono le mani, e inutilmente qualcuno cerca nella propria borsa un giacchetto di una tuta: il cambio di stagione è avvenuto solo in cielo e non nel guardaroba. Ancora non fa tanto freddo, e i due campi che di solito sono coperti d’inverno dal pallone pressostatico sono ancora a prendere pioggia come gli altri. C’è ancora tempo. C’è ancora speranza per le giornate calde di fine settembre e di ottobre, specie a Roma. Ma nel pomeriggio no. Le ore che d’estate sono le più ambite, quelle prima di cena, oramai sono quelle in cui la gente va al circolo solo per andare in palestra a sudare, magari seguendo uno di quei programmi di ginnastica che ogni anno cambiano nome seguendo la moda del momento.
Tornerà il caldo, anche di sera. E tornerà anche la luce. Ora però c’è da soffrire. C’è da cercare nell’armadio le felpe, il berretto di lana e i pantaloni della tuta necessari anche dentro i campi al coperto mai riscaldati. C’è da sperare che il sabato e la domenica, le uniche giornate della settimana in cui l’ufficio non ti reclama, il tempo non faccia scherzi, regalandoti il tepore, i pantaloncini corti, le mezze maniche, le palline di nuovo gialle, il campo duro il giusto e la gente sugli spalti. Perché poi alla fine l’estate torna.