Abbiamo problemi con la gente.
Lo scorso weekend la Germania di Philipp Kohlschreiber e Benjamin Becker è volata fino a Santo Domingo per interrompere il sogno della Repubblica Dominicana di partecipare al World Group. Una trasferta piuttosto facile per i tedeschi, perché il piccolo paese caraibico non poteva schierare singolaristi di livello che potessero impaurire i tedeschi. E infatti, nonostante Estrella Burgos sia riuscito a vincere contro Becker, è bastato un buon Kohlschreiber per chiudere il tie e permettere ai tedeschi di restare nel World Group per l’undicesimo anno di seguito. Un buon risultato, ma la Germania rimane una nazione debole in Coppa Davis. I fasti di vent’anni fa, quando c’era sì Becker, ma si chiamava Boris, sono ormai un ricordo.
Il 24 settembre 1995, vent’anni (e un giorno) fa, è la data che segna la fine di un’età aurea per il tennis tedesco, che tra il 1988 e il 1993 aveva vinto tre coppe Davis. Da allora i tedeschi hanno giocato una sola semifinale, quella del 2007 contro la Russia perdendo per 3-2 a Mosca. Proprio contro la Russia, dodici anni prima, all’Olympic Stadium di Mosca, lo squadrone tedesco di Becker e Stich aveva subìto una delle rimonte più clamorose nella storia della Coppa Davis. Quel settembre del 1995 Boris Becker era il numero 4 del mondo, e Michael Stich il numero 12. La Russia schierava il numero 6, Yevgeny Kafelnikov, e il numero 59, Andrej Cesnokov. Secondo la classifica, non c’era dubbio che i tedeschi fossero favoriti ma i russi scelsero di giocare sulla terra per rallentare due bombardieri come Becker e Stich e favorire i propri singolaristi (Kafelnikov vincerà il Roland Garros l’anno successivo mentre Cesnokov aveva raggiunto proprio a Parigi la sua unica semifinale Slam nel 1989).
Anche se la trasferta non è affatto banale e la superficie è sfavorevole, i tedeschi sono molto carichi e sentono di avere buone chance di vincere la quarta insalatiera in otto edizioni. È vero, dall’altra parte ci sarebbero molto probabilmente il numero uno e il numero due del mondo, Andre Agassi e Pete Sampras, che si sono giocati il titolo degli US Open la settimana prima, ma la Germania giocherebbe in casa e Boris Becker non aspetta altro che potersi vendicare dopo la bruciante sconfitta subita in semifinale a New York contro Agassi. I giornali stanno già ricamando articoli pomposi sulla “finale del secolo”, dato che potrebbero scendere in campo cinque dei primi dodici giocatori del mondo (gli Stati Uniti potevano anche schierare Jim Courier, allora numero nove del ranking). Ma quando i tedeschi mettono piede all’Olympic Stadium di Mosca si accorgono rapidamente che non sarà tutto così semplice. I russi, infatti, hanno bagnato il campo per renderlo il più pesante possibile. Pure troppo, perché l’impianto di irrigazione è stato attivato per sbaglio ed è rimasto acceso tutta la notte, rendendo la terra battuta particolarmente pesante e scivolosa (e costringendo l’ITF a comminare una multa di 25.000 dollari alla Federazione Russa). La responsabile, pare, è Tatiana Naumko, coach del giocatore più debole tra i singolaristi, Chesnokov. Ma Naumko, ovviamente, non lo ammetterà mai: “Deve essere filtrata dell’acqua dal tetto”.
Nonostante le condizioni del campo, la Germania va avanti 2-0 dopo la prima giornata. E paradossalmente è il numero uno, Becker, a soffrire di più. Boris perde il primo set contro Chesnokov, è costretto a giocare un tie-break sull’1-1 e chiude la partita (che è iniziata con un’ora di ritardo per permettere ai russi di asciugare il campo con dei phon) solo con un break nel finale del quarto set. “Mi sembrava di fare jogging sulla sabbia”, dirà un Becker piuttosto irritato a fine match. La vittoria di Stich contro Kafelnikov è decisamente una sorpresa: il tedesco è sotto 6-2 nei confronti diretti con il russo e sulla terra ha vinto appena un set in tre incontri. Ma Stich gioca un match gagliardo, probabilmente aiutato dalla vittoria ottenuta dal suo connazionale più illustre. Kafelnikov perde in quattro set e la Russia, nonostante il fango e i phon, si trova con un piede e mezzo fuori dalla Coppa Davis.
Becker e Stich non si amano. Hanno entrambi un ego debordante e anche se non ci sono mai stati degli episodi specifici, i due si detestano cordialmente. Però formano una coppia molto affiatata in doppio, nonostante la rivalità. Tre anni prima hanno vinto la medaglia d’oro sulla terra di Barcellona, affrontando due match al quinto set tra quarti e semifinali prima del trionfo in quattro set contro i sudafricani Ferreira e Norval. Vinta la medaglia d’oro, Stich ha preso il primo aereo per tornare a casa, rifiutando l’invito di Becker di festeggiare a cena con qualche altro atleta tedesco impegnato alle Olimpiadi. Eppure, se i due uomini non sono amici, i due tennisti si trovano a meraviglia in campo. Niklas Pilic, il capitano della squadra di Coppa Davis, ha piena fiducia in loro e prima del match si lascia andare in un giudizio che sfida la scaramanzia: “Non hanno mai perso un match importante”. Non che abbiano giocato chissà quante partite in coppia ma in effetti, in tre incontri di Coppa Davis, la coppia Becker/Stich non ha mai perso. Con il momentum tutto dalla loro parte, non sembra che Kafelnikov e Olhovskiy possano impedire la finale del secolo.
Il sabato, però, le cose non vanno come dovrebbero. I russi partono fortissimo e vincono i primi due set. Becker e Stich, sorpresi dalla caparbietà dei loro rivali, riescono comunque a recuperare il set di svantaggio e quando riescono a vincere il quarto annullando anche quattro match point ai russi, sembra che lo spavento sia passato. “Non è che abbiamo giocato male” dirà Stich a fine partita, “è che loro hanno azzeccato tutto nell’ultimo set”. Il 4-2 nel quinto set, infatti, non basta ai due tedeschi, che cominciano ad avvertire per la prima volta la tensione e finiscono per farsi rimontare nel tripudio dello stadio. Il pubblico, ormai rassegnato alla sconfitta, si riprende quando Kafelnikov e Olhovskiy recuperano il break e scoppia di gioia sul 7-5 che mantiene in vita la Russia e rimanda il verdetto al giorno successivo. Becker dovrà affrontare Kafelnikov e cercare di chiudere la sfida. Altrimenti, dovrà pensarci Stich contro l’unico singolarista che non è sceso in campo nel doppio, Andrej Chesnokov. Ma Becker e Stich, dopo questa sconfitta, non giocheranno mai più insieme.
Il giorno dopo, poco prima del match contro Kafelnikov, Becker annuncia il ritiro a causa di un dolore alla schiena e al ginocchio. Non si sa se il terreno scivoloso dell’Olympic Stadium abbia contribuito all’infortunio o se Becker si sia semplicemente affaticato nei nove set giocati tra venerdì e sabato. Fatto sta che Pilic è costretto a schierare Bernd Karbacher, numero trentuno del mondo, contro Kafelnikov, numero sei. Nonostante la brutta sconfitta con Stich, il russo questa volta non può perdere e batte Karbacher in tre agili set. Il singolare decisivo sarà quello tra Michael Stich e Andrej Chesnokov. Anche se ci ha perso tre volte in carriera, Chesnokov non dovrebbe essere un avversario temibile per Stich. Sulla terra rossa Stich ha vinto addirittura quattro volte su quattro. Ma queste quattro vittorie sono avvenute sempre in Germania, e stavolta si gioca in Russia.
Stich pare essere in controllo in tutto il primo set. Il suo serve-and-volley, pur frenato dalla terra battuta di Mosca, è impeccabile e lascia inerme Chesnokov. Qualcosa però si spegne all’improvviso e dal 4-3 Stich il russo vince dodici punti consecutivi, strappa a zero il servizio nel nono game al tedesco e vince il primo parziale. Stich la prende male e tra secondo e terzo set decide che non è più tempo di scherzare. La Germania vince i successivi due set cedendo appena due game e con la testa è di nuovo alla finale con gli Stati Uniti, che nel frattempo sta demolendo la Svezia di Enqvist, Wilander ed Edberg. È a questo punto che il “fattore Davis” comincia ad imporsi. Il pubblico russo, rimasto fino ad allora piuttosto freddo, comincia a giocare la sua partita e prova a far innervosire Stich. Il risultato è che il tedesco, tra un richiamo e l’altro dell’arbitro di sedia Gilbert Ysern che invita alla calma i 10.000 spettatori dell’Olympic Stadium, subisce due break nel quarto set ed è costretto a giocarsi un altro set decisivo, dopo quello del giorno precedente.
È evidente che i tedeschi non dovevano vincere quella sfida. Vinti i primi due singolari, tutto quello che poteva andare storto è andato storto. Stich, nonostante due set dominati, si fa portare al quinto. Si gioca su equilibri delicati e il break che porta il tedesco sul 7-6 sembra la scossa decisiva. E allora che si gioca uno di quei game che ha alimentato il mito della Davis come “torneo delle sorprese”. Nel primo match point, sul 40-30, Stich sbaglia una volée di rovescio piuttosto semplice. Poco dopo, il tedesco si ripete e spreca il secondo match point. Il terzo viene annullato da un passante fantascientifico di Chesnokov, nel quarto e nel quinto è ancora la volée a tradire la Germania. Nel sesto, ça va sans dire, ci si mette di mezzo il nastro. Tocca allora ai doppi falli, che annullano il match point numero sette e numero otto. Il numero nove, l’ultimo di una sequenza tragicomica, è una risposta vincente di Chesnokov che atterra, pare quasi inutile sottolinearlo, sulla riga. Così com’è inutile sottolineare che la Russia troverà il break alla prima occasione e chiuderà la partita a suo favore con un 14-12, con la partita che termina – indovinate un po’? – con il doppio fallo di uno Stich che finisce in ginocchio dopo quattro ore e diciotto minuti di pura tensione. Al tedesco non resta che ripensare ossessivamente a quei nove punti mentre i russi portano in trionfo Chesnokov, – che il giorno dopo verrà insignito da un iper-eccitato Eltsin della prestigiosa “Order of Courage” – uno dei tanti eroi per un giorno della Coppa Davis.
La Germania, vent’anni dopo quell’incredibile sconfitta, ha giocato una sola semifinale, persa ancora per 3-2 contro la Russia, ovviamente a Mosca, perché le coincidenze non sono mai troppe. “Non è stata la mia sconfitta più grave” dirà Stich qualche anno più dopo, “ma è stata la mia sconfitta più dolorosa. Non riuscirò mai a togliermi dalla testa quella partita. Allora non sapevo ancora quanto crudele potesse essere lo sport”.
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