Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in spotting on 20 Dicembre 2024 13 min read
In un campo da calciotto blasonato di Roma nord è da poco iniziato il secondo tempo di Real Sociedad – Flamengo, c’è un lancio lungo dei brasiliani, il centrale spagnolo della difesa a tre intercetta e indirizza di testa vero la fascia, a sinistra, dove ci sono io a vigilare sul numero sette, un mancino rapido e svelto con i piedi; la palla è alta, mi arriva sul piede destro, vado per rinviarla ma la colpisco male servendo il più facile degli assist al numero sette, che si invola verso la porta e segna inesorabilmente il 2-1: sto giocando nel torneo degli Over 40 più famoso della capitale e ho appena ammazzato la partita al mio esordio con la mia nuova squadra. “Sempre così oh, sempre così: calcio, tennis, lavoro, sempre così” dico a testa bassa nel più spontaneo flusso di coscienza dando le spalle ai miei nuovi compagni tanto è il senso di colpa.
Da mesi risucchiato nel vortice delle cose importanti della vita, fatico ancora più del solito a trovare continuità di concentrazione nel tennis, che già quando va tutto bene è sempre un mezzo disastro. La mia annata è stata scarsa, solo cinque tornei oltre quelli a squadre, cinque singolari vinti, nove persi, una retrocessione in classifica annunciata. Se dalle cose serie della vita non ci si può sottrarre, per non far diventare un’ossessione l’incapacità di essere continuo nel tennis c’è una maniera semplice: basta non iscriversi ai tornei. Da aprile non ne ho più giocati. Ma ora è iniziato il campionato regionale, tocca rimettersi in gioco.
C’era brutto tempo a Roma in questo venerdì piovoso, dal divano guardavo l’acqua inzuppare il mio giardino e pensavo che non sarei mai riuscito a giocare il giorno dopo a tennis un paio d’ore, com’era in programma per preparare al meglio i miei ragazzi in vista dell’esordio in campionato a squadre, sono infatti il capitano della squadra A della competizione limitata alla classifica 3.3. Al mattino presto ho disdetto i campi dando buca ai compagni con scuse ridicole e mi sono buttato sul calciotto, “perché a calcio io sono più continuo mentalmente rispetto al tennis” racconto ogni volta agli amici, nella speranza di convincere più me che loro. Tanto il giorno dopo non avrei potuto giocare perché ho ancora la classifica di 3.2 fino a tutto dicembre. Da gennaio sarò in regola.
Al circolo da noi quest’anno ci sono ben tre squadre di terza, alle due solite se ne è aggiunta una di ex tennisti di quarta che sono riusciti a diventare terza, hanno voglia quindi di giocare contro i loro nuovi pari ma all’esordio hanno perso subito e pure malamente. C’è un sano sfottò tra le tre squadre, due limitate 3.3 e una di terza senza vincoli di ranking, quest’ultima dopo due giornate ha già contabilizzato due sconfitte, sulle chat mi do da fare facendo lo smargiasso.
Iniziamo il nostro cammino in trasferta, in un circolo di quartiere: un piccolo, modesto club che è diventato il rifugio per i tennisti che si lasciano male con il nostro. Che siano giocatori o maestri, poco importa: li conosciamo bene. Ogni competizione ci fa sperare di incontrarli, non per vivere mitologiche battaglie a colpi di racchetta e palline, ma per vedere se la sfida degenera in gazzarra. Siamo più forti, così dicono le classifiche almeno, e la vittoria sembra una formalità. Il giorno prima scrivo nella chat della squadra la formazione ufficiale, concludendo con una battuta: “Chiaramente, in caso di sconfitta, la squadra verrà ritirata dalla competizione”. Il maestro-capo, il nostro Obi-Wan Kenobi, legge, approva e conferma senza esitazione.
I campi del club sono pesanti per l’acqua del giorno prima, l’erba che li circonda è curata ma non troppo, ovunque si trovano gli arnesi tipici dei circoli di tennis, sparsi negli spazi troppo angusti al punto che l’insieme ricorda uno sfasciacarrozze: oggetti ammucchiati un po’ a casaccio, in un disordine che confonde. Il sole c’è ma non si vede bene, la tribuna costruita con i tubi Innocenti proietta un’ombra scomposta su metà campo da tennis, sarà uno dei grandi problemi della prima sfida. Che gioca Francesco, ristabilitosi fisicamente e in ottima forma, almeno così ho potuto constatare in allenamento.
Gioca contro Simone, uno che fa il maestro nel nostro circolo ma che è tesserato per l’altro, un ragazzo che fa tutto bene a tennis tranne quando deve battere, serve infatti con lo stesso movimento spezzato di Sara Errani, blocco psicologico o problema fisico non lo sappiamo, ma la sua palla di battuta è una rimessa in campo. Nella mia testa dico che Francesco comincerà a fare i buchi in risposta, Simone non avrà scampo. Dopo cinque minuti Simone è avanti 3-0, doppio break, dodici punti a uno in suo favore. Io e i due marchigiani che compongono il quartetto con me siamo tranquilli ma insomma; non ci preoccupa molto il punteggio, piuttosto Francesco che non mette una palla in campo. Oltretutto, ai cambi campo ride e commenta quello che sta combinando proprio con Simone, una roba per me inconcepibile. Non c’è da dirgli niente, solo sperare che inizi a giocare. Lui risponde male, tira tutto fuori, sembra il doppelganger scrauso del giocatore visto in allenamento fino a qualche giorno prima, dice che “non si vede niente”, ma butta fuori la palla pure quando gioca nella parte di campo messa un po’ meglio a luce: 6-1 per Simone in poco tempo. Ora siamo preoccupati.
Il sole cala lentamente, e con lui il freddo si fa più pungente. All’orizzonte, stringendo gli occhi tra i rami degli alberi, scorgo il mio circolo. Il grande pallone che copre i due campi è un faro familiare. Mi manca. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dall’immaginazione. Giocare in casa, a quest’ora, avrebbe significato sedermi sulle larghe gradinate delle tribune, il volto rivolto verso gli ultimi raggi di un sole dicembrino, godendo di quel tepore sottile. Avrei osservato i miei compagni lottare sul campo arancione, lasciando che lo sguardo si riposasse nel perfetto verde del circolo: una distesa ordinata, dolce come le pianure e le vallate del Montana. Ma quando riapro gli occhi, la visione svanisce. Davanti a me ritrovo la campagna disordinata della Ciociaria.
Francesco aumenta un po’ la velocità, Simone sbaglia finalmente qualcosa, riusciamo ad andare in vantaggio. Francesco chiude il set per 6-2 rapidamente, in tribuna pensiamo “adesso ce lo mangiamo”. E invece. La partita ora è equilibrata, nessuno dei due cede il turno di battuta, a noi sulla tribuna, sempre più infreddoliti mentre il sole cala, sembra tutto surreale. Francesco tiene i suoi turni di battuta ma non riesce a “strappare” il servizio a Simone, che invece riesce a fare il break. In tribuna non siamo ancora in zona panico ma in zona sgomento sì. Simone se la gioca male, va subito sotto 0-30, cede la battuta e in dieci minuti Francesco dal 3-5 la ribalta sul 6-5 e servizio. Maledetto tennis. Aver visto qualche partita di tennis aiuta per capire come finirà questa. Matteo, Marchigiano 1: “Certo la chiudiamo ora ma questa partita meriterebbe di decidersi al tiebreak”. Che arriva, ma non prima che Francesco sbagli il killer-point che è un match point o tiebreak point sul 40-40. Nel tiebreak andiamo subito in vantaggio e amministriamo senza molta sofferenza. Francesco è oculato, una certezza quando c’è da avere coraggio, e arriva sul 6-4 in suo favore, altri due matchpoint. Li fallisce entrambi. Adesso siamo in zona panico.
Continuo a pensare a quanto sia assurdo che Francesco si trovi invischiato in questa battaglia. Nella mia testa avrebbe dovuto vincere con uno scarto netto, senza storia. Ma il campo è pesante, la luce fastidiosa, e il dover giocare contro un amico in un circolo dove non possiamo permetterci di perdere, pena sfottò eterni, complica tutto. Mi sento sollevato a essere in tribuna: al solo pensiero di cosa avrei combinato io al posto suo, mi tremano le gambe. Siamo all’ennesimo match point, 8-7 per noi. I due si sfidano in un lungo scambio da fondo campo, finché un dritto moscio di Francesco colpisce il net. La palla resta sospesa, quasi danzando sul nastro, e poi cade dalla parte giusta: quella che ci regala il primo punto. Un sospiro collettivo di sollievo. Finalmente, possiamo rasserenarci.
Il debriefing di Francesco, mentre Matteo inizia il riscaldamento quando sta calando l’oscurità, è confusionario: dice che le condizioni di gioco erano difficili, e qui siamo d’accordo, poi dice che rispondere al servizio di Simone è complicato perché la palla gira. Gira sì, ma piano. Non siamo d’accordo ma non conta, lo mando a fare la doccia che nel doppio insieme a Matteo giocherà Edoardo, marchigiano 2.
Matteo è in campo contro un ex tennista del nostro circolo, quasi diciottenne, ha il brillantino sull’orecchio sinistro e un bel temperamento. Matteo dovrebbe farne un sol boccone, invece il primo set è combattuto. Non ricordo neanche come, tale è il disgusto maturato nel vedere un match di torneo giocato al buio con una sofferenza ingiustificata, che si arriva al tiebreak. Fortunatamente non è atroce come quello di Francesco, Matteo lo vince e nel secondo set divora l’avversario, che però fa il punto del torneo: l’imberbe recupera una deliziosa smorzata indirizzando però la palla proprio sulla racchetta di Matteo, cui non pare vero superare con un pallonetto il moccioso, così da fargli fare subito un altro scatto nella direzione opposta; solo che questo ragazzino corre come una furia e piazza un tweener vincente sulla riga, una roba che non sfigurerebbe su Tennis TV. A noi viene da ridere, perché Matteo è oltraggiato, all’applauso che ci starebbe preferisce incrociare il mio sguardo come a dire: “ma questo come si è permesso di fare questa cosa a me?”.
Nonostante il 2-0 e la vittoria che mi comunico prontamente ai maestri (“il nostro campionato prosegue, l’onore è salvo”), va giocato il doppio. C’è spazio per un potenziale divertissement, perché la maestra del circolo, ovviamente ex del mio club, entra in campo per spiegare come ci si comporta nella vita a Matteo, per sua fortuna limitatamente al campo da tennis. “Lui è ancora un ragazzo e tu devi dare il buon esempio”. Non si capisce in cosa, visto che non era successo niente. Intervengo anche se la schermaglia non supera le mie regole d’ingaggio, ma magari degenera, vai a sapere. La maestra dice che non ha visto la partita, “e allora come fai a dire che si è comportato male? E ‘namo su”.
Avevo lasciato i due marchigiani in doppio in un match di D1 ad aprile, quando vinsero al super tiebreak contro due folkloristici mestieranti di un altro circolo popolare, gente tutta bestemmie, tatuaggi diffusi, calci alle panchine e racchette che volano; riuscirono a giocare una partita orribile, io ero lì a dare consigli e loro a fare finta di assecondarmi, li ho odiati ma anche amati per questo. Dopo una mezz’ora siamo sotto per 6-1: realizzo che niente è cambiato da allora.
Ci vado piano perché Edoardo, marchigiano 2, è entrato in campo dopo tre ore al freddo, io al suo posto non riuscirei manco a tirare la palla di là, ma io ho pure quasi trent’anni più di lui. Nel secondo set i nostri fratelli si riprendono, vincono facilmente il parziale e poi partono subito bene nel super tiebreak, che conducono per 7-4. Come quella volta in D1, sollecito di attaccarsi di più a rete a Matteo, insolitamente falloso con le volée, e ordino a Edoardo di non stare a fondo campo quando risponde il fratello “gli dai più campo per rispondere in tranquillità, e non mi pare che state giocando contro Isner e Opelka”. Edoardo si mette ancora a fondo campo. Bestemmio a margine.
Sembrerebbe fatta, prefiguro il 3-0 rotondo, una vittoria sofferta e tremendamente irrispettosa verso quello che mi ero immaginato ma pur sempre un 3-0. Ovviamente, i due fratelli la impicciano anche questa volta. Dal 7-4, riescono a sbagliare quattro risposte su quattro seconde palle degli avversari, non esattamente Isner e Mahut, riescono a perdere anche in vantaggio da 8–7, la Roma sta facendo schifo in trasferta a Como ma il loro doppio è stato ancora peggiore. Edoardo esce dal campo borbottando un “mai più in doppio”.
Ci sono alcuni soci del circolo che sono venuti a vederci, se ne vanno con lo sguardo che sembra insoddisfatto, sarà l’impressione, sicuro però che in ogni club tutti tifano per i compagni ma poi sappiamo che la rivalità interna è anche peggio di quella esterna. Si chiude la domenica e l’unica squadra del mio circolo ad aver vinto nella Gabbiani è la nostra, ovviamente maramaldeggio nelle chat tennistiche come se fossi nato in Guascogna.
Il torneo ora va in pausa natalizia, e da gennaio io sarò pronto per giocarlo. I miei compagni vogliono vedermi in campo, così dicono, magari credono veramente in me, chissà. Il calciotto del giorno prima mi ha ricordato che non c’è un porto sicuro nel mare in tempesta che è il torneo, sia questo calcio o tennis non fa differenza. Vedere Francesco e Matteo soffrire così inaspettatamente mi ha spaventato ma mi ha anche messo voglia di tornare in campo, non è neanche giusto che il mio ruolo sia solo quello commentare lepidamente le scorribande dei miei amici. Tocca pure a loro prendersi gioco di me, loro che pure me ne dicono, ma io gli ricordo sempre che “Potete parlare male di me quanto volete, dite pure tutto quello che vi passa per la testa, ma ricordate: nessuno parlerà mai male di me più di me”.
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