Con sentimenti ambivalenti torniamo sul nostro articolo “Attacco all’Italia” di un paio di giorni fa. Da una parte la soddisfazione per la gentilezza di molti lettori che, bontà loro, hanno lodato forma e, cosa meno importante, contenuto. Dall’altra un certo avvilimento per via dell’obiettivo mancato e un certo travisamento di contenuto e scopo del pezzo.
Siccome siamo convinti che se qualcuno fraintende, la colpa è di chi trasmette e non di chi riceve, proveremo a fare meglio, consapevoli che esiste un punto oltre il quale non è materialmente possibile chiarire e che bisogna rassegnarsi a pensare che il problema è di chi legge.
Ma andiamo per punti.
- L’articolo prende spunto dal caso Sinner per parlare d’altro, cioè di quattro retoriche utilizzate per “difendere” Sinner. Il cuore dell’articolo sono le quattro retoriche, che raccontano molto non di Sinner ma di come, complici i giornalisti, si svolgono molte discussioni in Italia; a) l’intangibilità di un tribunale, qualunque esso sia; b) l’inesistente interesse personale a compiere quella particolare violazione (nel nostro caso il vantaggio provocato dalla quantità di sostanza); c) la reputazione del “reo”; d) la difesa di una roba putrida come il “sentimento nazionale”. Di queste retoriche forse solo il punto b. potrebbe essere rilevante in un ambiente razionale, e su quello ci torneremo. Il primo viene solo usato strumentalmente (qualunque decisione di qualsiasi organo è una risorsa da utilizzare per prevalere sull’interlocutore); il terzo può al limite valere come attenuante e non ha nessun valore esplicativo; il quarto è figlio dei tempi.
- Brevemente sul punto b) la quantità di farmaco rilevata, che alcuni hanno esteso anche al tipo di farmaco in questione, che sarebbe poco utile. Nell’articolo la questione non viene discussa, solo accennata per spiegare perché i regolamenti non contemplino la discrezione. Non esiste una norma che dice “è positivo ma di poco”. L’unica cosa che un test deve mostrare è se una sostanza è o non è all’interno del giocatore.
- Il motivo per cui era presente in quantità così piccola non è rilevante ai fini dell’articolo di cui stiamo parlando. Non interessava (e anche qui non interessa) se Sinner avesse o no tratto beneficio e non si ipotizzava nessuna strategia coprente. Si spiegava solo perché mai il regolamento non prevede “doping sì ma di poco”. Serve forse ricordare che se il tribunale non avesse dato per buona la versione di Sinner il giocatore sarebbe stato squalificato, qualunque fosse stato il livello di sostanza accertato
- L’articolo parte da un assunto: la versione del clan di Sinner è inverosimile e prova a spiegare perché. Si fosse trattato di UN errore di UN professionista sarebbe rimasto strano ma può capitare. Così come possono capitare due errori di un professionista, un errore di due professionisti e, roviniamoci, due errori di due professionisti. Ma Qqui ci sono almeno sei errori di tre professionisti (davvero Sinner si fa massaggiare da qualcuno che ha una ferita sulle mani?). Una piccola infarinatura di statistica elementare è più che sufficiente per spiegare la non credibilità della spiegazione. Significa che sia impossibile che sia successo veramente questo? Naturalmente no, ma essendo altamente improbabile in mancanza di prove che mostrino la validità del racconto ci teniamo il nostro parere. Un articolo non è una sentenza, una rivista non è un tribunale, non esiste nessuna “presunzione di innocenza” esiste il rispetto dell’intelligenza dell’interlocutore: se racconti una storia assurda almeno dammi qualcosa per cui crederti che sia diverso dal “sono tanto un bravo ragazzo”
- Ma allora, se gli eventi non si sono dipanati in questo modo, com’è andata veramente? L’articolo non si proponeva di scoprire la verità sul caso Sinner. Si intravede che non ci sembra troppo interessante perché c’è un accenno sulle pratiche dei giocatori. Se ci fossimo occupati del caso Sinner – il titolo è “Attacco all’Italia” – avremmo impostato il tutto in modo diverso. Per questo non c’è la pars costruens come qualcuno ha fatto notare. Non possiamo che ripeterlo: in questa sede non ci pare interessante, se mai decidessimo di interessarcene dovremmo impostare procedendo con un’inchiesta “classica”. Sulle difficoltà del giornalismo contemporaneo di fare inchiesta ci torneremo alla fine.
- Qualcuno ha obiettato sulla validità data al parere dei giocatori. Nell’articolo il parere dei giocatori viene citato solo per mostrare come vengano bistrattati dai difensori di Sinner e come sostanzialmente nessuno di loro creda davvero a quanto stabilito dal tribunale. Buon ultimo Medvedev: “it’s only him who knows what happened exactly”. Nessuno immagina il circuito come un gruppo di amiconi ma nemmeno come una specie di selvaggia foresta pronta ad azzannare il primo che perde sangue. I pareri che arrivano “dall’interno” non sono certo definitivi ma ci sembrano avere un qualche rilievo.
- Non avere affrontato i tecnicismi non significa che non si possa. I giocatori per esempio sembrano seccati per via di una certa disparità di trattamento. Sul punto però la spiegazione del clan di Sinner è stata cristallina, ponendo l’accento sull’enorme disponibilità di risorse che può sfruttare il giocatore altoatesino. Questa disparità di risorse finisce col produrre una disparità di trattamento che però andrebbe letta più come danneggiamento per chi non riesce ad accedere che come privilegio di quelli che invece sì.
- A tal proposito, continuando con i tecnicismi, si è fatto tanto parlare delle modalità di comparazione tra casi che non sarebbero uguali. Ancora, pare di notare una certa carenza di competenza su questi temi, perché i richiami a casi simili ovviamente non significa che sono casi uguali. La pretestuosità di questo cavillo è plasticamente rappresentata dal continuo richiamo al caso Bortolotti. Che risorse aveva Bortolotti per essere riuscito ad avere un procedimento simile a quello di Sinner? I casi sono due: o si capisce che le comparazioni vanno fatte prendendo quanto c’è di simile e scartando quanto c’è di diverso – cosa che un paio di secoli di metodologia delle scienze ha sancito – oppure ci si rassegna a non comparare niente con niente perché ovviamente non esistono due casi uguali. Nel caso di Bortolotti per esempio, è stata oscurata tutta la parte che spiega come la sostanza proibita sia finita nel corpo dell’atleta. Si può supporre che non sia la stessa spiegazione data da Sinner e che potrebbe essere quella la ragione per cui il caso sia stato trattato velocemente. Ma appunto per noi – e per le intere discipline scientifiche – va benissimo compararla, ci mancherebbe.
- E visto che stiamo a parlare di tecnicismi sfatiamo la leggenda che vuole che gli esperti scientifici abbiano sancito l’attendibilità della versione di Sinner, sostenendo che la quantità rilevata si ottiene solo attraverso contaminazione. No, no è vero, non hanno detto questo. Hanno detto qualcosa di più sibillino. Al punto 63 il Professor Naud dice che “… is a small concentration and could be obtained by cross-contamination as published in the scientific literature.”Al punto 64 il Prof. de la Torre dice che “based on the data reported in the literature and on the data obtained in experiments conducted in his laboratory, considers it is plausible that the findings …. are the result of a contamination provoked by the activities of the physiotherapist. Anche il terzo esperto, al punto 65, parla della contaminazione come “entirely plausible” e che “no evidence to support any other scenario”. Questo però significa soltanto che è perfettamente possibile che ci sia stata contaminazione e che non ci sono prove della somministrazione. Le tre posizioni concordano nel dire semplicemente che è impossibile escludere che ci sia stata contaminazione non che è probabile che ci sia stata. I tre, correttamente, si limitano a rilevare che esperimenti e letteratura hanno mostrato che può succedere. Per chi ha poca familiarità con la ricerca scientifica: si intende che in genere queste sostanze finiscono nell’organismo per via dell’assunzione diretta. Ma esperimenti hanno mostrato che è possibile trovarne nelle percentuali indicate anche per contaminazione. Ma soprattutto i tre esperti, ovviamente, non dicono nulla sulla versione fornita dal giocatore: è possibile che si sia contaminato col contatto con il fisioterapista ma come e quando sia avvenuto questo contatto non tocca certo ai medici dirlo.
- Non si può che tornare al punto di partenza: credere alla versione di Sinner non è questione di avere competenze misteriose (forse studiosi di logica?) e sicuramente non c’entra granché quella giuridica o medica. Non vorremmo davvero sparare alle formiche con i cannoni ma insomma le intere vicende storiche di popoli nessuno li leggerebbe mai esclusivamente attraverso le sentenze dei tribunali.
Ma perché non fare l’inchiesta? In questi giorni un ex freelance del New York Times, Ben Rothenberg, ha lanciato una campagna fondi per via di una disputa legale con Alexander Zverev che potrebbe costargli qualche decina di migliaia di dollari. Rothenberg ha semplicemente fatto il suo lavoro da giornalista, dando voce alle vittime di Zverev. L’arma della querela – è nella maggior parte dei casi un’arma che viene brandita contro chi si azzarda a rovinare narrazioni compiacenti. Non importa vincere in tribunale, importa mettere in difficoltà chi si è azzardato ad avanzare spiegazioni alternative che possono mettere in cattiva luce i bravi ragazzi.
La disparità di risorse è enorme, tant’è che si rende necessario inventarsi dei modi per sostenere le spese, al contrario di Zverev – accusato di violenza domestica, non proprio uno scherzo – per il quale i 22 mila dollari chiesti da Rothenberg per sopravvivere sono un terzo di una giornata di lavoro. Sinner ha potuto inserire nel suo collegio di difesa un avvocato che in genere lavora per il tribunale, per dirne una. In queste condizioni si comprende come anche chi ha avanzato dubbi sulla ricostruzione dei legali di Sinner si è cautelato mettendo dieci mani avanti, come Riccardo Bisti che nel suo articolo di commento alla sentenza ha precisato che “Prima di raccontare come sono andate le cose, è doveroso sbilanciarsi in una considerazione: norme e procedure a parte, Jannik Sinner è davvero innocente”, un passaggio che ha senso soltanto in un contesto di terrore.
Il motivo per cui in questi articoli non diciamo che Sinner è “innocente” è duplice. Il primo è abbastanza semplice da capire: non ne siamo convinti, magari lo è ma il nostro terrore non è sufficiente a farci mettere le mani avanti. Si chiama “scetticismo metodologico”, viene insegnato alla prima lezione di metodologia della ricerca.
Il secondo è più complesso, perché ha a che fare con la questione doping. Il ginepraio in cui ci si imbatte se ci si occupa seriamente del tema è quasi inestricabile, perché di fatto la decisione di inserire una sostanza o una pratica nella lista proibita è relativamente discrezionale; i valori soglia da riscontrare nei testati sono discrezionali anch’essi e nonostante non ci sia sostanzialmente differenza tra uno che ha un valore di ematocrito del 49,9% e un altro che lo ha al 50,1%, il secondo, da regolamento è dopato e il primo no. I valori dei professionisti sono quasi sempre attorno a questi limiti, quelli “normali” sono ovviamente molto più bassi, generalmente parlando. In questo contesto dire che Tizio è dopato e Caio no non ha, per noi, sostanzialmente nessun senso, e questo ovviamente vale anche per Sinner.
Infine, ma meno importante. Alcuni si sono contrariati per la crudezza di certi passaggi dell’articolo. A costoro non possiamo che consigliare un ripasso della Costituzione, magari dalle parti dell’articolo 21, e – ma è cosa lunga – qualche anno di lavoro sul pensiero critico sulle organizzazioni sociali. Nel frattempo non sarebbe male leggere col beneficio del dubbio: è possibile, forse probabile, che chi scrive un articolo prenda lucciole per lanterne. Magari non è il caso di escludere che è chi sta leggendo che forse non vuole essere disturbato mentre festeggia una palla break trasformata.
Jannik Sinner