Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in spotting on 10 Luglio 2021 9 min read
Ashleigh Barty bastava vederla giocare per capire che era lei la più forte. Certo, c’erano Naomi Osaka e Simona Halep a dominare il tennis, però Ashleigh aveva la diversità di gioco tipica delle numero uno del passato. All’epoca, non lo era. Lo sarebbe diventata a breve. Infatti, nel 2019 Ashleigh Barty si fece conoscere al mondo vincendo il Roland Garros. Per molti non fu un fatto eclatante, nel tennis femminile è normale che a vincere gli Slam siano tenniste ancora a zero vittorie nella voce Major. Barty però non sembrava una di queste: vincere a Parigi fu una cosa abbastanza naturale, come quando a vincere da quelle parti era Steffi Graf, magari per la terza o quarta volta.
Il suo gioco era un unicum in mezzo alle tante muscolose colpitrici che sembrano uscite in fotocopia da stabilimenti industriali. Alte, potenti, fisici da amazzoni, capaci di tirare prime a 200 all’ora e dritti e rovesci in fotocopia, sempre uguali fra loro con pochissime variazioni.
Barty non era nulla di tutto ciò. Sembrava uscita da un torneo Slam di fine anni ’90. Un servizio molto solido, con variazioni e soprattutto eseguito con linearità, senza strappi muscolari a dare velocità alla palla. Un dritto perlopiù giocato piatto, con il polso a variare angoli, altezze e profondità – una caratteristica dei giocatori di talento, non di quelli che colpiscono 1000 palle alla stessa identica maniera ogni volta. E poi il rovescio, giocato prevalentemente in backspin, con quella testa della racchetta che parte alta, taglia la palla velocemente e poi finisce faccia al cielo in avanti. E le sue avversarie a cercare di capire come tirare su una palla che rimbalza bassa, una rarità nel circuito WTA. E poi, quando serviva, c’era anche il rovescio coperto, giocato a due mani con un movimento che altro non era che un tributo al cricket. Un colpo utile, solido nonostante sia usato pochissimo.
A tutto questo Barty univa una sagacia tattica che non era giustificata dai suoi titoli fin lì. Sembrava una veterana per come si destreggiava nei match, per come faceva giocare male le sue avversarie costringendole alla resa non prima di averle fatte arrabbiare, si arrabbiavano perché Barty rivelava loro le lacune tecnico-tattiche.
Il cricket dicevamo, uno sport che in Australia conta parecchio e che per un paio d’anni ha avuto anche Barty fra le giocatrici. Era il 2014 infatti quando Barty, completato il primo anno nel Tour, lasciò il tennis per giocare a cricket. Per un paio d’anni ha fatto quello, poi è tornata al tennis, era il 2016. In poco tempo, grazie anche all’aiuto di un coach, Craig Tyzzer, è tornata in top 20, ha galleggiato da quelle parti per un po’ di anni finché, nel 2019, ha fatto il salto di qualità.
Quando si presenta a Parigi nel 2019, lo fa da numero 8 del mondo. L’Australia non vince uno Slam dal 2011, quando ci riuscì Samantha Stosur agli US Open; addirittura, l’ultima a vincere il Roland Garros prima di lei è Margaret Court, che ci riuscì nel 1973. Proprio dopo quella vittoria, ottenuta contro Marketa Voundrousova, Barty ribadisce di essere tornata a giocare a tennis per fare le cose sul serio.
Non ho mai chiuso la porta al tennis. Avevo bisogno di fare un passo indietro, di vivere una vita normale perché quella da tennista non è una vita normale. Penso di aver avuto bisogno di crescere come persona, di maturare. Ho lasciato la porta aperta alle varie opzioni ed è stato un percorso che mi ha riportata al tennis. Ma ero sempre impegnata nel tennis, ogni giorno, col mio coach Jim. Palleggiavo e lui mi guidava. Poi mi sono mancate le gare, l’emozione della battaglia in campo con l’avversaria, le emozioni della vittoria ma anche quelle della sconfitta
Barty subito dopo la vittoria a Parigi nel 2019
Il suo 2019 finisce con la vittoria delle finali WTA non prima di essere diventata numero 1 WTA a scapito di Naomi Osaka, a giugno. Nel 2020, in Australia tutti aspettano la sua vittoria ma lei perde in semifinale contro Sofia Kenin, che gioca quel torneo in stato di grazia tanto da vincerlo. L’americana non ha, ad oggi, replicato ancora quel livello di gioco. Poi la pandemia, e come quasi tutti gli australiani Ash la vive da reclusa. Anche quando si può tornare a giocare, lei lo fa poco. Non va a New York a giocare lo Slam per paura del virus, il suo 2020 non prosegue, l’ultima sua partita è una sconfitta contro Kvitova al Qatar Open. Era il 28 febbraio 2020.
Agli Australian Open di quest’anno delude quando perde contro Muchova nei quarti di finale. Gioca poi a Miami e domina battendo Andreescu in finale, poi vince anche il prestigioso torneo di Stoccarda battendo Sabalenka in finale. La bielorussa però si prende la rivincita battendola a Madrid. Poi è costretta a fare i conti con degli infortuni muscolari. Si ritira sia a Roma che al Roland Garros. Torna a giocare a Wimbledon, finalmente, ma senza tante pretese. Venendo da due ritiri, il suo obiettivo era arrivare alla seconda settimana.
Quando perde un set all’esordio contro Carla Suarez Navarro, una passata a Londra più che altro per salutare, desta qualche preoccupazione. Ash vince al terzo set, ma i due set che vince sono due 6-1. Nel mezzo, un 7-6 per Navarro che è stato un omaggio più che altro. Di lì in poi, Barty tira dritto fino alla finale, ci arriva senza perdere più un set.
Blinkova e Siniakova sono due allenamenti, e quando negli ottavi incontra la vincitrice del Roland Garros Barbora Krejiciova, Ashleigh vince ancora in due set soffrendo giusto un po’ nel primo. Tomljanovic nei quarti è un altro allenamento. Ajla a fine partita ha detto di “non sapere dove tirarle: sul rovescio mi restituiva un back fastidioso, sul dritto mi spostava molto”. In semifinale ha giocato contro Angelique Kerber, una che a Londra ha vinto il torneo e perso un’altra finale. Barty ha dominato il primo set, il secondo lo ha vinto al tiebreak ma dopo aver recuperato un break di svantaggio. Anche in questa occasione ha controllato la partita più di quanto dica il punteggio.
In finale ha giocato contro Karolina Pliskova, brava a battere Sabalenka in recupero e giocando una partita delle sue. Karolina era arrivata a Londra dopo due sconfitte al primo turno, contro Giorgi e Pegula, nei due eventi preparatori a Wimbledon. Si è ripresa durante le due settimane, e la vittoria contro Sabalenka, che non aveva mai superato il quarto turno negli Slam prima di Wimbledon 2021, lasciava presagire una gran finale.
Solo che Barty ha vinto i primi 14 punti. Karolina è andata in shock, inebetita dai colpi e dalla determinazione di Ashleigh. L’australiana spostava Pliskova con il dritto facendole perdere il controllo del colpo, era pimpante fisicamente, rapida a evitare di giocare il rovescio spostandosi su quel lato per giocare il dritto, e pure quando giocava il rovescio, a Pliskova arrivava una palla bassa che non era abituata a gestire. Nessun’altra, nel tennis femminile, ha un colpo come quello di Ashleigh. Pure quando le altre provano a giocare il backspin di rovescio, le soluzioni sono modeste; sono colpi con poco taglio, che non hanno controllo, che sono lenti, che rimbalzano alti. Da 4 a 0 a 5 a 1, Ashleigh si è distratta un po’ ma ha chiuso per 6-3 il primo set.
Nel secondo Barty è partita ancora forte, ha subito conquistato un break di vantaggio e la finale sembrava avviarsi verso l’epilogo più scontato. Se non che, Karolina si destava vincendo una serie di 10 punti su 11, e dal 3 a 1 sotto riusciva a portarsi in vantaggio per 4 a 3. Barty doveva inseguire il punteggio con i suoi turni di battuta. I colpi di Karolina cominciavano a stare in campo con più frequenza, fin lì finivano spesso a rete o fuori. Il dritto di Barty, invece, aveva improvvisamente perso sicurezza. Pliskova però riusciva a perdere un game in vantaggio da 40 a 0 servendo sul 5-5. Sembrava fatta per Ash, che però si inceppava servendo per chiudere la partita. Un po’ di tensione era palpabile, i suoi colpi non erano più sicuri come a inizio del set. Si arrivava quindi al tiebreak, che vinceva Karolina anche perché Ashleigh sbagliava addirittura un rovescio in back colpito senza tante pretese: qualcosa aveva smesso di funzionare.
Nel terzo set però il coraggio dell’australiana prendeva il sopravvento. Barty prendeva subito un break di vantaggio giocando di nuovo in maniera propositiva e senza tanti errori. Karolina però non usciva dalla partita, cercava in tutti i modi di recuperare lo svantaggio ma l’australiana non tremava: uno dopo l’altro, vinceva tutti i suoi turni di battuta fino al 6-3 finale, non prima di aver salvato una palla break, più che altro graziata da un rovescio di Pliskova finito fuori. Finiva in lacrime Ashleigh, tentando di emulare un altro australiano che ha vinto a Londra, Pat Cash nel 1987. Barty saliva sulle tribune per abbracciare il suo team. Pliskova era impassibile mentre sedeva sconsolata sorseggiando acqua; un’altra finale Slam persa, un’altra occasione sprecata.
Barty riporta così il titolo di Wimbledon in Australia dopo la vittoria del 1980 di Evonne Goolagong. Ashleigh, che ha giocato con una mise che era anche un tributo proprio al completino di Goolagong degli anni ’80, aveva promesso a inizio torneo che in caso di vittoria avrebbe chiamato Evonne. Lo farà, e le dirà che da oggi le donne aborìgene ad aver vinto Wimbledon sono due.