Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in recap on 13 Gennaio 2020 11 min read
Archiviata la prima edizione della ATP Cup, è tempo di fare un bilancio ma soprattutto un paragone con il cugino di primo grado, la Davis Cup. La Coppa Davis, o Coppa Pique come la si chiama quando si vuole denigrarla giusto perché un calciatore ha osato mettere becco in questioni di tennis, è l’appuntamento che chiude la stagione praticamente da sempre. Riformata in fretta in furia per renderla un super torneo dall’appeal maggiore per televisioni, pubblico e giocatori, si è giocata a Madrid in questa prima volta nella nuova versione e ha avuto un buon successo soprattutto perché a trionfare è stata la Spagna di Rafael Nadal. Ma ora che abbiamo ancora nelle orecchie le urla di esultanza di Novak Djokovic, è tempo di capire che c’è spazio per un solo torneo a squadre nel calendario dei giocatori. E non può essere la Coppa Davis.
Come ha rilevato il tennista ucraino Sergiy Stakhovsky, uno che ha fatto parte del consiglio dei giocatori, l’ATP Player Council, l’idea iniziale del gruppo di investimento Kosmos, il “padrone” della nuova Coppa Davis, era quella di investire in un nuovo torneo che sarebbe dovuto essere proprio l’ATP Cup.
Kosmos era forte dei soldi di Rakuten, ai giocatori andava bene fare un nuovo torneo a squadre a condizione che si svolgesse a gennaio. Il gruppo Kosmos era invece tetragono sul collocamento in calendario: il torneo doveva giocarsi a novembre o, al massimo, a dicembre, durante la pausa natalizia. Ai giocatori non andava bene quello slot temporale perché, di fatto, cancellava la loro preparazione invernale e metteva anche a rischio le partecipazioni ben pagate nelle esibizioni che si giocano in Medio Oriente e Sud America proprio durante le feste natalizie.
A questo punto la Kosmos di Gerard Piqué si è rivolta all’ITF, che per anni ha fatto finta di non sentire le tante lamentele sulla Coppa Davis da parte dei giocatori che, a rotazione, finivano col disertare la competizione. Il problema della Coppa Davis era sempre il solito: tra uno Slam sul cemento e una tourné nei palazzetti, o subito dopo Wimbledon, i giocatori avrebbero dovuto passare dall’erba alla terra rossa o dal cemento all’erba, spostandosi anche di migliaia di chilometri, prima di tornare alla loro programmazione. Così sono state molto rare le edizioni in cui i migliori del mondo hanno partecipato contemporaneamente. Un esempio? Ricordate l’edizione 2014? A vincerla fu la Svizzera di Roger Federer e Stan Wawrinka. Nadal e Djokovic non parteciparono e Spagna e Serbia uscirono al primo turno. Per ricambiare Federer non si è mai più fatto vedere in occasione della Davis, lasciando che la Svizzera retrocedesse serenamente. Facile vincere così, no?
Kosmos e Piqué sono apparsi come la classica soluzione alla ricerca di un problema e il problema era quello dell’ITF. Tutto si è risolto molto rapidamente, visto che da una parte c’è stata un’enorme disponibilità economica – intorno agli 80 milioni di euro – e dall’altra la disponibilità di molti giocatori a giocare il torneo in un’unica settimana a novembre. Così, tranne il solito Federer – che come ha maliziosamente ricordato Piqué in fondo è un concorrente con la sua Laver Cup – c’erano tutti i migliori alla Caja Magica di Madrid, al coperto. Oltre a Federer mancava il solo Zverev, ma i giocatori, nonostante fossero alla fine della stagione e con la testa in vacanza, hanno gradito molto, a giudicare dalle scene di entusiasmo che hanno accompagnato le vittorie dei doppi decisivi. Ah: gli spalti erano sempre vuoti, tranne quando giocava la Spagna.
A questo punto però era rimasta libera l’idea di poter fare qualcosa a gennaio nella zona Asia-Pacifico. Kermode, al suo ultimo atto di presidente ATP prima del subentro di Andrea Gaudenzi, ha trovato in Tennis Australia il partner ideale (sostanzialmente chi era disposto a pagare qualcosa) e quindi ecco il super torneo con ben 24 squadre, divise in 6 gruppi, con le prime qualificate direttamente e poi il ripescaggio delle migliori seconde per quoziente set. Ma dove trovare tanti campi per far disputare tanti incontri senza fare nottate come a Madrid?
L’uovo di Colombo è stato cancellare gli ATP 250 di Brisbane e Sydney oltre all’Hopman Cup, un torneo a squadre tra il serio e il faceto con trent’anni di storia. Specie per l’Hopman Cup, l’ITF ci è rimasta male, farfugliando che avrebbe provato a tenere in vita il torneo, ritirandosi compostamente con una certa rapidità.
L’ATP ha fatto la voce grossa anche nei confronti della WTA. Mentre i maschietti giocavano sui campi migliori di Brisbane, le donne venivano confinate in quelli minori: il torneo WTA è stato penalizzato e tante sono state le proteste. E mentre Serena Williams vinceva il torneo ad Auckland, Karolina Pliskova poteva confermarsi campionessa a Brisbane sul campo centrale solo perché i maschietti avevano già traslocato a Sydney per la fase finale.
Perché si gioca a gennaio. A inizio stagione i giocatori sono più motivati, più motivazione uguale maggior impegno, maggior impegno uguale maggiore spettacolo, maggiore spettacolo uguale maggior successo. A novembre i tennisti contano i giorni per le Maldive, giocano senza neanche tanto impegno a meno che non siano compagni di Djokovic o Nadal, leader nazionali veri che ti “costringono” a dare il massimo se loro solo ti guardano. Iniziare l’anno con un torneo a squadre alleggerisce poi la pressione dell’esordio stagionale, che per qualcuno può subito indirizzare la prima grande prova dell’anno, l’Australian Open.
Ci sono poi delle caratteristiche che fanno pendere la bilancia verso l’ATP Cup. L’idea di istituire l’angolo di squadra, una miglioria derivata dall’ibrido della Laver Cup, dove c’è la panchina lunga col coach e l’angolo della squadra subito dietro, è un’idea vincente. Il cambio campo del giocatore si svolge là, in mezzo ai suoi compagni, vicino al capitano (scelto dal n.1 del team). Non potrebbe esserci una rappresentazione migliore dell’intera squadra in campo in questo team corner.
Un elemento che può giocare a favore ma anche a sfavore dell’ATP Cup è che il torneo, per contratto, può essere itinerante ma a due condizioni: che si disputi nell’area Asia-Pacifico e che i giocatori siano d’accordo. Cina quindi, prima o poi, ma qui si tocca il tallone d’Achille dell’ATP Cup, un problema condiviso anche con la Davis, e cioè il pubblico.
Avendo eliminato le sfide dirette da giocare in una delle due nazioni coinvolte, il pubblico “straniero” diserta e ha disertato gli spalti, a Madrid come a Sydney, Perth e Brisbane. Tranne quando giocava l’Australia, si capisce, anche se ci sono state buone eccezioni, come la comunità serba che si è fatta sentire molto quando c’erano i loro giocatori in campo. A questo non c’è rimedio, perché quando l’Italia ha giocato la Davis Cup a seguirla erano i famigerati quattro gatti, gli stessi (in numero) che abbiamo ritrovato a Perth durante l’ATP Cup. E così per altre nazioni e anche per l’organizzazione dei match, che costringe a fare notte se i match di singolare si allungano.
In Cina potrebbe andare anche peggio (o paradossalmente meglio), e comunque sarà difficile convincere i giocatori a giocare là, anche perché in contemporanea potrebbero tornare in calendario i tornei di Sydney e Brisbane, e quindi punti ATP in tabelloni meno affollati e possibilità di prendere confidenza con il clima australiano che è sempre un problema di inizio anno per tutti.
Che invece ci sono per la Davis Cup. Cosa vuol dire? L’Italia giocherà contro la Corea del Sud il 6 e 7 marzo a Cagliari la sfida per decidere la qualificazione alla super settimana di Madrid. Una partita sulla carta facile, basterebbe anche uno solo fra Berrettini e Fognini per farcela. Solo che il 12 marzo inizia il torneo di Indian Wells. Ce li vedete Berrettini e Fognini volare a Cagliari, giocare sulla terra rossa e poi ripartire per gli USA per giocare sul cemento? Parliamo di un top ten e di un altro che vuole tornarci fra i migliori dieci, a quel livello la preparazione e la programmazione sono praticamente tutto, vien da sé che dovrebbero disertare la gara se volessero preparare per bene il torneo californiano. Per giocare nell’ATP Cup è una questione di ranking.
Sono tornati i bonus point, e cioè i punti che guadagni se batti un avversario classificato meglio di te (variabili in base al ranking occupato). Questa è un’altra buona trovata del nuovo torneo. Un giocatore che uscisse vincitore di tutti gli incontri e del torneo potrebbe conquistare 750 punti, poco meno di un Masters 1000.
Anche come presenza digitale, la cui rilevanza è inutile sottolineare, l’ATP Cup ha messo in mostra il meglio di sé, dal servizio streaming del torneo agli account social molto più efficienti di quelli dell’ITF, e che in tempo reale informano e fanno vedere anche a chi non è presente (o non è abbonato) il meglio di quello che accade. Durante la Davis Cup l’ITF ha combinato non pochi disastri, a partire dall’app ufficiale che non funzionava bene fino ad arrivare all’impossibilità di conoscere il calendario dei match fino a qualche ora prima degli incontri. Insomma: l’ATP è rodata a gestire eventi del genere e anche questo è un punto di forza non indifferente sia per suscitare interesse e coinvolgimento sulla manifestazione.
Su questo aspetto le due gare hanno avuto entrambe grandi giocatori. Dei big, solamente Wawrinka e Rublëv hanno disertato il torneo australiano. Wawrinka deve la sua esclusione a Federer, che ad ottobre inoltrato ha comunicato che non avrebbe partecipato per dedicarsi alla famiglia. Non avendo un secondo giocatore valido nel ranking, la Svizzera è stata eliminata dalle squadre partecipanti. Rublëv ha deciso di giocare Doha considerata la presenza di Daniil Medvedev, assente a Madrid. E alla fine ha pure vinto il torneo.
Se mettiamo a paragone le migliori 8 di Davis e ATP Cup vediamo che ritroviamo ben 7 team:
Serbia
Russia
Australia
Canada
Gran Bretagna
Spagna
Argentina
A Madrid, fra le migliori 8, c’era la Germania, “sostituita” in Australia dal Belgio. Sascha Zverev, apparso in grande crisi e sconfitto in tutti e tre i match del girone, durante lo svolgimento della Coppa Davis era a giocare con Federer nella tournée sudamericana. Si è sempre dichiarato contrario a questa svendita della Coppa Davis mascherata da riforma.
Il torneo ha avuto poi l’epilogo migliore, la finale con Spagna e Serbia, cioè fra Nadal e Djokovic. Ha vinto la Serbia con Djokovic che ha sconfitto in due set Rafael Nadal, per una volta non il numero uno della sua squadra in termini di risultati. Il migliore degli spagnoli è stato infatti Roberto Bautista-Agut, numero 10 del mondo e vincitore sempre in due set di tutti e 5 i match disputati. Nadal ha perso addirittura contro un ottimo Goffin. Rafa ha preferito non disputare il doppio decisivo per via della stanchezza, Djokovic e Troicki hanno avuto gioco facile nel vincere contro Carreño Busta e Feliciano López.
“Non c’è bisogno di due manifestazioni simili a sei settimane di distanza, spero si possano combinare i due tornei, fare una Super World Cup già dal 2022, visto che prima non è possibile”.
Novak Djokovic
Djokovic, presidente dell’ATP Player Council, ha già speso parole in favore di una fusione fra le due manifestazioni.
Succederà? Difficile, ma come abbiamo avuto modo di vedere l’ITF è un’istituzione debole per certi versi. Eppure, chissà se accetterebbe di far sparire proprio il nome Davis Cup, un marchio fondato nel 1900. C’è poi, comunque, da convincere i giocatori, che hanno definito l’ATP Cup “il miglior modo per prepararsi in vista degli Australian Open”.
E proprio mentre la competizione si avviava alla fase finale, arrivavano le foto di un sorridente e barbuto Roger Federer intento a palleggiare nella Rod Laver Arena. Alla fine, uno come lui potrebbe chiudere la carriera senza aver disputato l’ATP Cup. Strano?