Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in recap on 4 Marzo 2019 10 min read
Una nota saggezza popolare consiglia di godersi il momento fintantoché ne abbiamo la possibilità, perché se la felicità è quasi sempre fugace, allora è meglio approfittarne in vista dei momenti più tristi. È una raccomandazione che vale tanto per Nick Kyrgios che per i suoi tifosi. Il tennista australiano, dotato di un talento fuori dal comune e di un’indolenza sfacciata, è ormai diventato uno di quei giocatori che si guardano giocare senza aspettarsi molto, perché si sa che la partita spesso e volentieri dipenderà dal piede con cui è sceso dal letto quel giorno. Peccato che spesso e volentieri il piede è quello sbagliato.
A 19 anni Kyrgios batteva Nadal in uno Slam e giocava i quarti di finale a Wimbledon, a 20 batteva Federer e a 21 si trovava ormai stabilmente tra i primi 20 giocatori del mondo. A quasi 24, però, Kyrgios non è più considerato seriamente un pretendente ai titoli che contano: nel frattempo è arrivato Zverev, di due anni più giovane, e dopo il tedesco molti altri tennisti nati alle soglie del 2000 che promettono costanza e abnegazione, due termini che l’australiano probabilmente nemmeno vuol sentire nominare.
Il corollario di tutto ciò è che nessuno si sorprende davvero quando Kyrgios vince all’improvviso una partita contro uno dei migliori, perché l’australiano è indubitabilmente uno dei tennisti più forti in circolazione. E non è nemmeno così sorprendente che di tennisti forti ne batta cinque di fila come è successo ad Acapulco questa settimana.
L’exploit di Kyrgios è arrivato in uno dei momenti più complicati della sua carriera, visto che Nick prima del torneo messicano era al numero 72 del mondo, cioè ai livelli post-Wimbledon 2014, quando da numero 144 del mondo risalì un’ottantina di posizioni in un colpo solo. Quanto atterra ad Acapulco, Nick ha uno score di inizio stagione poco promettente: 2 vittorie e 3 sconfitte. Non che ci si aspetti qualcosa di diverso da uno come Kyrgios, oramai lo conosciamo, certo che però perdere contro Radu Albot a Delray Beach fa comunque incazzare.
Il sorteggio del tabellone di Acapulco, un ATP 500 che da qualche anno si gioca su cemento, però, fa accendere qualche lampadina. C’è Andreas Seppi al primo turno, ma soprattutto c’è Rafael Nadal al secondo. Anche Stan Wawrinka è in questo quarto di finale. Il fan di Kyrgios capisce sùbito una cosa: la partita più difficile delle tre è quella contro Seppi. Dal punto di vista mentale, si capisce, tennisticamente non c’è niente che spaventi l’australiano.
Improvvisamente, il tennis di febbraio diventa più divertente e appassionante di quando si giocano gli Slam. In questo periodo i tennisti si dividono fra varie latitudini, ognuno sceglie la superficie che preferisce e il giocare al meglio dei tre set rende qualitativamente migliori le partite. Ad Acapulco c’è un bel tabellone, tre top 10, Nadal, Zverev e Isner, e tanti altri buoni giocatori liberi di esprimersi senza la pressione di uno Slam o di un Masters 1000. Ne guadagna soprattutto lo spettacolo.
Seppi ha già giocato bene nelle settimane precedenti, forse arriva un po’ scarico, Nick è sicuramente più forte. Le ginocchia dell’australiano sono fasciate. Kyrgios parte bene, quando batte lui l’avversario è come se non ci fosse e neanche in un’ora vince il primo set e ha un break di vantaggio nel secondo. Poi inizia a ciondolare, qualcuno teme il peggio, come agli Australian Open 2017 quando si fece rimontare due set di vantaggio proprio da Seppi, ma riesce a concludere la partita. La prima cosa che tutti pensano è che ci sarà il big match contro Nadal.
Rafael Nadal ha scelto Acapulco per tornare alle gare dopo la sconfitta in finale australiana contro Djokovic. Lo spagnolo parte bene, Nick sembra stare peggio del solito. Dopo mezz’ora, mentre a Nadal manca poco per chiudere il primo set per 6-3, Kyrgios si guarda intorno per cercare un posto dove vomitare. Zoppica come al solito, le ginocchia sono ancora fasciate. Arriva il medico in campo, Nick dice che proverà a giocare per un altro paio di game. Gioca piano, poi accelera, fa cose che tolgono sicurezza anche a Nadal, che gioca lontanissimo dalla riga di fondo. Nick arriva al tiebreak e lo vince nettamente. Nel terzo set Kyrgios quando non usa la racchetta per tirare vincenti l’adopera come stampella. Il pubblico non apprezza, è tutto per Rafa, anche perché in questa partita Nick trova il modo di battere da sotto e di cambiare la racchetta fra la prima e la seconda palla quando sta per servire un punto, giusto perché quando lui era pronto a servire Nadal gli aveva fatto cenno con la mano di aspettare un attimo. Quando lo spagnolo arriva in vantaggio per 6-3 nel tie-break finale, con tre matchpoint consecutivi, sembra fatta. Il pubblico gongola. Nick, però, li annulla tutti i matchpoint, un paio dei quali in maniera magistrale. Vince lui, Nadal rosica e gli stringe la mano fugacemente. Il match non finisce là.
Questo è Nadal quella volta ogni due anni che decide di dire una cosa che pensa realmente: «Nick è un giocatore molto pericoloso a cui manca la continuità. Ha un talento enorme, potrebbe vincere tornei dello Slam e lottare per il numero 1 del mondo. Ma c’è un motivo se sta dove sta… non è cattivo, ma gli manca il rispetto verso il pubblico, l’avversario e sé stesso».
Per la moltitudine di tennisti importanti che non rispondono a Nadal come meriterebbe, specie quando ancora sostiene che gli uomini dovrebbero guadagnare più delle donne, c’è un Kyrgios che non solo gli risponde, ma trova tempo per spiegargli anche le regole del gioco: «Io sono diverso, Rafa è diverso. Non conosce il mio percorso, quello che ho affrontato per arrivare fin qui, non sa niente di me. Io gioco così. Lui gioca a modo suo. Nadal è molto lento tra un punto e l’altro, e il regolamento dice che devi adeguarti al ritmo del giocatore che è alla battuta. Rafa controlla il tempo in ogni situazione. Ma non voglio commentare lui, né il suo gioco. Io ho il mio, lui il suo. Abbiamo giocato bene, questo è lo sport. Le persone sono diverse una dell’altra. Non prenderò in nessun modo in considerazione questa critica».
Sistemato Nadal, tocca a Wawrinka. I due non si stanno simpatici per una storia del 2015, il famoso triangolo Kokkinakis-Wawrinka-Vekic, con Kyrgios che litigò in campo contro Stan (venne poi multato e squalificato con la condizionale), le cui parti vennero prese anche dall’americano Harrison, che aveva scambiato il campo da tennis per il vecchio west credendosi forse John Wayne.
Il match è bello, Wawrinka urla molto ma è costretto a subire il ritmo superiore di Kyrgios da fondo campo. Nick vuole vincere, gioca quasi in maniera disciplinata, vince il primo set beccandosi con il pubblico che lo fischia mentre lui chiede un medical time-out per un problema alla mano. Lui si lamenta con l’arbitro. Perde il secondo set al tie-break, perché Wawrinka sta giocando bene, ma nel terzo set è Kyrgios a prevalere e chiudere per 6-3, ora è in semifinale. Il pubblico non apprezza e l’australiano non potrebbe chiedere di meglio.
In semifinale si trova di fronte John Isner, uno con cui è in buoni rapporti. Stavolta le sue ginocchia non sono fasciate. Il match è, come prevedibile, una sorta di tiro al piattello. Dura molto, oltre due ore, ed è più interessante per i dialoghi fra Nick e il pubblico, che oramai lo odia talmente tanto da tifare per John Isner, un supporter del presidente Trump che costruirebbe un bel muro per dividere USA e Messico (non che gli australiani siano un modello di accoglienza, s’intende).
Durante uno di questi dialoghi, Kyrgios si abbandona al sarcasmo: «Dove sono i fan di Nadal? Prendete un volo per Indian Wells».
Kyrgios vince la partita al tie-break del terzo set e celebra la vittoria à la D’Angelo Russel, cestista dei Brooklyn Nets, per un’ultima tiepida provocazione prima degli spogliatoi. In sala stampa, ribalta i ruoli chiedendo ai giornalisti: «Cosa ho fatto per diventare il bad guy?». Sembra soddisfatto mentre lo dice.
In finale c’è Alexander Zverev, un altro che cerca in ogni modo di non farsi amare dal pubblico per i suoi atteggiamenti. Arrivati a quel punto, il pubblico di Acapulco si è trovato nella spiacevole situazione di non avere in campo un tennista da tifare senza se e senza ma. Alla fine, forse meglio parteggiare per Nick, che almeno gioca un tennis vario e divertente. Kyrgios, chissà perché, decide di completare la settimana facendo felici i suoi fan. Batte Zverev, un interprete monocorde del tennis moderno, che non sembra molto ispirato. Ma anche lo fosse, uno come Kyrgios ha mille modi per fare il punto contro uno come il tedesco.
Oltretutto Nick è concentrato: gioca in maniera spettacolare ma intelligente, usa la palla corta per far correre in avanti Zverev, cosa che il tedesco non gradisce perché poi deve giocare di fino in recupero. Kyrgios gioca per vincere, anche se fa di tutto per dissimularlo, non sia mai che qualcuno si faccia un’idea sbagliata sul suo conto.
Dopo aver trasformato il matchpoint che ha chiuso per 6-3 6-4 un match banale, Nick fa segno al pubblico di stare zitto, visto che non potevano di certo salire in quel momento sul carro del vincitore dopo avergli tifato contro tutta la settimana. Poi si è avviato con sguardo affranto a stringere la mano a uno Zverev invece molto rilassato, quasi come fosse contento di aver perso.
Poi con un premio a forma di pera in mano e un sombrero in testa Nick un po’ si è sciolto e ha finalmente sorriso. Dentro di sé, ne siamo certi, era felice. Non riusciva ad uscire dal personaggio creato e che divide i tifosi fra chi lo ama senza condizioni e chi lo giudica un pagliaccio, lui che vorrebbe trasformare questo sport pieno di regole vecchie e personaggi incapaci di dire quello che pensano realmente in qualcosa di più spettacolare, come dice sempre. E non solo in campo.
Tennisticamente, c’è ben poco da dire. Nessuno può giocare e fare cose migliori di Kyrgios. Il suo dritto viaggia a velocità più alte degli altri quando è colpito in accelerazione e gira più degli altri quando è colpito in spin. Il suo rovescio è colpito senza effetti, manualità pura: nessun’altro lo colpisce così. Il servizio poi, basterebbe da solo per vincere le partite. Ad Acapulco non abbiamo scoperto nulla che non sapessimo già, insomma. Vincere con continuità poi è un’altra cosa, ti porta a diventare schiavo dei numeri, delle buone maniere, dei buoni rapporti, dei complimenti all’avversario, del “continuerò a lavorare per diventare un giocatore migliore”. A diventare come tutti gli altri. A Nick, semplicemente, tutto ciò non interessa: godiamocelo finché dura.