Abbiamo problemi con la gente.
By Salvatore Termini Posted in spotting on 1 Agosto 2018 6 min read
Tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso ebbe una certa fama Ruggiero Rizzitelli, noto anche come “Mister 10 miliardi”, la cifra pagata dalla Roma per l’attaccante del Cesena che, con la maglia dei giallorossi, il 6 novembre del 1988 segna il gol dell’1-0 contro il Pisa. È il suo secondo gol in campionato con la Roma, per vedere il terzo bisognerà aspettare il 29 ottobre del 1989, quando il giovane attaccante sigla, come dicono i cronisti dell’epoca, la rete dell’1-0 contro il Lecce. Intervistato a fine partita, Rizzitelli, abbastanza seccato, si prende le sue rivincite: «Chi mi criticava è servito». A fine campionato, l’attaccante Rizzitelli avrà fatto 5 gol.
Il tennis italiano maschile, dall’epoca di Panatta e Barazzutti in poi, non è mai stato competitivo. Nessun finalista Slam, fino a maggio scorso neanche un semifinalista, pochissimi quelli che sono arrivati ai quarti, ovviamente nessun top 10, qualche torneino vinto qui e lì. Stop. Adesso però, negli ultimi otto giorni ben tre giocatori italiani hanno vinto un torneo ATP. Fognini si è imposto a Båstad, Cecchinato a Umago e Berrettini a Gstaad. Il tennis italiano, titolano i giornali, è in salute, ecco serviti i criticoni, che rosicheranno nell’assistere a questo rinascimento italiano.
Il torneo di Båstad, nelle cinque edizioni precedenti, è stato vinto da Carlos Berlocq (37), Pablo Cuevas (19), Benoit Paire (18), Alberto Ramos-Viñolas (17), David Ferrer (3). I numeri che vedete accanto a ciascun giocatore indicano il loro Best Ranking. Con l’eccezione di Ferrer, che vince in Svezia quando è nella fase decadente della carriera, anche i risultati negli Slam non sono granché: Berlocq, che è numero 74 quando vince il torneo, non ha mai superato il secondo turno dei quattro tornei più importanti del circuito; Cuevas è 111 quando vince e ha giocato tre terzi turni al Roland Garros; Paire era 62 ed è arrivato due volte agli ottavi di finale di uno Slam; Ramos era 35 e nel 2016, al Roland Garros, raggiunse i quarti di finale.
Un po’ più prestigioso l’albo d’oro di Gstaad, che negli ultimi anni ha visto le vittorie di Feliciano López e Dominic Thiem, ma che in genere viene vinto da gente come Bellucci, Hanescu, Andujar, Granollers, i cui risultati sono del tutto assimilabili ai vincitori di Båstad. Ad Umago va meglio anche se pure lì alla fine i vincitori son quelli: Cuevas, Thiem, Robredo, con finalisti abbastanza improponibili, come Martin o Sousa.
Quello che però è interessante è che in questi tornei gli italiani hanno sempre fatto benino. Volandri, Seppi, Starace, sono arrivati tra finale e semi ad Umago fin dai primi anni del 2000; a Gstaad Seppi è arrivato in finale; a Bastad Volandri ha fatto semi, Seppi perse al tiebreak del terzo contro il Söderling finalista a Parigi, Starace un paio di turni li superava.
In questo quadro va aggiunto il momento abbastanza particolare del tennis contemporaneo, con Wimbledon che non riesce a mettere insieme una finale migliore di quella tra un giocatore che neanche voleva fare la stagione su erba e un altro che a questi livelli non c’era mai arrivato in più di un decennio di onorata carriera; con i “1000” che vengono disertati dai più forti che tendono a preservare le proprie energie; con i giovani più promettenti persi tra le loro incertezze sul futuro e le loro insicurezze nel presente. Così si è paurosamente abbassato il livello dei tornei, tant’è che forse pure gli Slam sono oggi alla portata di (quasi) tutti. Sicuramente lo sono i Masters 1000, praticamente abbandonati dai Fab Four.
Non può sorprendere quindi non solo il successo di tennisti di seconda schiera come gli italiani, ma ovviamente anche quelli di altre nazioni: Gabilashvili è forse il giocatore meno forte di sempre a vincere un “500”; a Dubai Bautista-Agut ha vinto un torneo che di solito era affare dei Fab o al massimo di Wawrinka; Isner ha vinto un “1000”; Basic, Carballas-Baena, Andujar e Daniel vincono tornei. Già l’anno scorso questo sembrava inverosimile, visto che i tornei di seconda schiera li vincevano comunque tennisti di buon livello. Il livellamento, ben rappresentato dai distacchi minimi che ci sono nel ranking, finisce quindi col permettere, grazie ad una intelligente programmazione, di trovare qualche posto di rilievo tra le teste di serie, cosa che nei tornei minori consente spesso di giocare un turno di meno. Poco per garantirti dei successi continuati, più che sufficienti per raggiungere il best ranking e presentare al pubblico distratto i successi.
Ma a parte i numeri – che però bisogna conoscere prima di dire che non servono – sui tre italiani è possibile anche provare a delineare un qualche profilo tecnico. Di Fognini abbiamo parlato fin troppe volte per perderci ancora del tempo, e francamente andare dietro alle intimidazioni di un clan un po’ ridicolo è compito che lasciamo volentieri ad altri. Quindi, oltre al rimando alle discussioni articolate, qui possiamo solo sintetizzare che si tratta di un buon top 20 con evidenti limiti tecnici che non sa come gestire – con colpe enormi di chi lo circonda – e niente di più (anche niente di meno, ovviamente. Come Rizzitelli).
Anche su Cecchinato abbiamo avuto modo di dire qualcosa in occasione dell’incredibile semifinale del Roland Garros. Il palermitano non ha punti deboli evidenti, ma non ha neanche colpi definitivi: è un buon regolarista, è cresciuto mentalmente, ha saputo mettersi alle spalle storie di scommesse ed è oggi in ottime condizioni fisiche. Ma è anche lo stesso giocatore che a livello ATP non ha ancora vinto una partita sul cemento a 25 anni suonati, vedete voi.
Rimane il vincitore della settimana, Matteo Berrettini, che vedremo all’opera anche a Kitzbühel e che è vicino alla top 50. Il tennista romano è giovane, anche se a 22 anni non si è giovanissimi, e ha nel servizio e nel dritto due colpi già devastanti. Entrambi i colpi hanno margini di miglioramento e questo lascia ben sperare, ma bisognerà vedere come il romano risponderà quando, trovandosi di fronte a giocatori sempre più forti, si vedrà “costretto” a giocare più di qualche dritto di fila, e in rapida sequenza. Berrettini deve migliorare il rovescio, come vedono tutti. Dal punto di vista tattico, in contenimento Berrettini per adesso si giova della sua condizione atletica ma non è un giocatore fatto per difendersi, a differenza per esempio di Alexander Zverev che a remare da fondo campo è bravissimo.
Detto ciò, il fattore decisivo per il suo futuro è quello relativo all’aspetto fisico. Uno stop di sei mesi per un problema al ginocchio nel 2016 e un altro di un mese per un problema alla caviglia nel 2017 sono fattori da tenere in considerazione; anche perché in virtù del nuovo ranking, Berrettini dovrà rivoluzionare la sua programmazione, renderla chiaramente più fitta e testare il suo livello sempre di più sul cemento, superficie che proprio per gli infortuni di cui sopra e per gli imprescindibili miglioramenti tecnici (tempi di reazione, piazzamento pre-esecuzione dei colpi) ci dirà veramente dove può arrivare Matteo Berrettini.
Considerato che il quadro si può completare con una più che buona tenuta mentale e una discreta convinzione i motivi per qualche speranzella ci sono. Da qui a vincere un “1000” ce ne corre, ma vedrete che alla federazione basterà per dire che “chi ci criticava è servito”.