Abbiamo problemi con la gente.
Il 4 ottobre del 1994, a Zurigo, fu il giorno di due tenniste accomunate dallo stesso nome: una aveva da poco compiuto 14 anni e doveva ancora giocare una partita nel circuito maggiore, l’altra di anni ne aveva 37 e quell’anno avrebbe chiuso una carriera da 18 Slam in singolare: entrambe si chiamavano Martina e non era un caso.
Melanie e Karol, due tennisti professionisti, quando nacque la loro prima figlia non ebbero dubbi, l’avrebbero chiamata come la migliore di sempre, e non solo nel tennis. Melania, che aveva avuto un discreto successo in Cecoslovacchia ma ben poco nel circuito internazionale, aveva deciso che sua figlia sarebbe diventata una tennista professionista. Era l’autunno del 1980 e Martina aveva già vinto due dei suoi nove titoli a Wimbledon. Chissà se la madre poteva immaginare che avrebbe dovuto attendere solo 14 anni per vedere il debutto della figlia nel circuito WTA in un’altra giornata d’autunno.
La ragazzina di casa, nata a Kosice, in Slovacchia, ma residente in un paesino tra le Alpi svizzere, nel 1994 aveva già vinto tre Slam junior e l’anno prima aveva battuto il record di Jennifer Capriati, quando era diventata la più giovane di sempre a vincere un titolo a quel livello. Il 1994 fu l’anno del Roland Garros e Wimbledon junior, del numero 1 a fine anno, ma fu anche quello in cui la giovanissima Martina cominciò a misurarsi con il tennis professionistico. Gli organizzatori del torneo di Zurigo le assegnarono una wild-card, facendola debuttare in un torneo WTA dal tabellone piuttosto competitivo: c’erano anche Mary Pierce, Natasha Zvereva, Magdalena Maleeva e Iva Majoli. Ma soprattutto c’era l’altra Martina, che a Wimbledon aveva giocato l’ultima finale Slam di singolare nella sua carriera. Già l’anno prima si era già cominciato a parlare del possibile debutto della giovane Martina tra le professioniste, ma l’altra aveva espresso tutte le sue perplessità a Wimbledon: «Mettiamola così, anche se mia figlia a dodici anni anni fosse così brava, non la farei giocare». La ragazzina, che ancora parlava un inglese poco sciolto, trovò comunque il modo di rispondere alla campionessa: «Io non penso che lei sia troppo vecchia per giocare, perché lei dovrebbe dire che io sono troppo giovane?».
Non passarono nemmeno 18 mesi e le due giocavano sullo stesso campo, anche se non una contro altra, nel primo turno di un torneo WTA. Zurigo si riempì di giornalisti, eppure pochi erano interessati alla campionessa da 18 Slam che a breve avrebbe lasciato il tennis. «Non sareste qui se non ci fosse stata Martina», disse Martina ai numerosi reporter. «La gente non è venuta per vedere giocare me, io gioco da più di vent’anni». E in effetti quel pomeriggio il palazzetto di Zurigo si scaldò non tanto per la faticosa vittoria della consumata campionessa, quanto per l’agile debutto della giovane slovacca che nel frattempo aveva fatto il passaporto svizzero. La giovane Martina, che aveva giocato e vinto qualche match a livello ITF, si trovò di fronte una tennista che aveva il doppio dei suoi anni e che allora era al numero 45 del mondo: Patty Fendyck. La statunitense era favorita non solo in virtù dell’esperienza, ma anche per via della superficie veloce: vinse i primi due game del match, ma si trovò sotto 6-4 5-0 in poco tempo. I tentennamenti della ragazzina, che perse tre game di fila quando era ormai prossima al traguardo, non cambiarono il risultato finale, Martina vinse 6-3 il secondo set e si qualificò per il secondo turno contro Mary Pierce.
«Non avevo nulla da perdere e mi sono divertita. Ho già battuto tenniste più forti, per cui non sono molto sorpresa». La sfrontatezza delle quattordicenne le era stata probabilmente insegnata da Damir Keretic dell’IMG, un ex tennista tedesco che aveva fiutato prima di tutti il potenziale di Hingis. «Credo che il livello del torneo sia appropriato a Martina», disse Keritic quando annunciarono la wild card. «Non avrebbe senso giocare tornei meno competitivi che vincerebbe in ogni caso». Martina e Martina si trovarono sullo stesso tabellone una settimana più tardi al Porsche Grand Prix di Filderstadt, sobborgo di Stoccarda, e quella volta andarono molto vicine ad affrontarsi, ma entrambe persero ad un solo set dal loro primo incontro. Una venne sconfitta 7-6 al terzo dopo aver vinto il primo set per 6-0, l’altra perse 6-3 3-6 6-4.
Qualche settimana più tardi, al Masters, Gabriela Sabatini vince il suo primo turno. Martina chiude così la sua carriera da singolarista, almeno per un pezzo. Non era più il tempo di Martina Navratilova e il suo tennis da anni ’80, adesso arrivava quello di Martina Hingis, che nonostante la giovane età aveva già dimostrato di poter giocarsela con il resto del circuito.
I suoi primi anni da professionista furono anni di successi folgoranti e di record: fu la tennista più giovane a vincere una partita agli Australian Open, a 14 anni e 4 mesi; la più giovane a vincere un titolo di Wimbledon tra le professioniste, quando a 15 anni e 282 giorni si aggiudicò il torneo di doppio assieme ad Helena Sukova; la più giovane ad arrivare al milione di dollari di montepremi; la più giovane a vincere uno Slam in singolare, gli Australian Open del 1997, vinti quando aveva 16 anni, 3 mesi e 26 giorni; la più giovane numero 1 del mondo WTA, visto che arrivò in cima alla classifica a 16 ann, 6 mesi e 1 giorno.
Andò tutto secondo i programmi di Melania Molitorová, visto che dopo poco più di due anni, sua figlia aveva già giocato la finale in tutti e 4 gli Slam, perdendone appena una. Quello che la madre di Hingis non aveva potuto prevedere era l’arrivo di una serie di tenniste, coetanee della figlia, che di lì a poco avrebbero portato il tennis femminile ad un nuovo livello. E dire che quello di Hingis sembrava già diverso da tutto che si era visto fino ad allora. Ma l’arrivo di Venus Williams, che fu battuta da Hingis nella finale degli US Open 1997, la finale più giovane della storia, e della sorella Serena ebbe l’effetto di un uragano. Hingis, con il suo tennis geometrico e paziente, frutto di angoli che nascevano da un’intelligenza tennistica fuori dal comune, si trovò ben presto ad affrontare avversarie che semplicemente tiravano molto più forte di lei. Molto più forte.
Nel 2003, 9 anni dopo il suo debutto a Zurigo, Hingis annunciò il suo ritiro per i persistenti problemi alla caviglia. Tra gli US Open del 1996 e gli Australian Open del 2002 giocò 13 finali Slam, vincendone 5, e arrivò 7 volte in semifinale. Nei rimanenti due tornei perse al primo turno, sempre a Wimbledon. Erano numeri che il tennis svizzero non aveva mai visto e che nessuno pensava mai più di rivedere. La finale del Roland Garros 1999, quella dei fischi del pubblico e di quello che sembrò a tutti gli effetti un esaurimento nervoso, iniziò una striscia di cinque sconfitte in finale negli Slam: dopo quella con Steffi Graf a Parigi, arrivò la sconfitta con Serena Williams a New York, seguite dalle tre consecutive a Melbourne contro Lindsay Davenport prima e con Jennifer Capriati poi, la tennista che deteneva alcuni dei record di precocità battuti da Hingis e che a 18 anni si era dovuta prendere una pausa dal tennis per un burnout che l’aveva spinta a pensare anche al suicidio.
«Dai 14 ai 22 anni sono stati anni molto intensi. Giocavo 20, 22 tornei all’anno e non è che mi regalassero le partite. Dovevi lottare su ogni palla, rincorrere di continuo. Non potevo fare 4 ace in un game come Serena». La prima parte della carriera di Hingis, la più importante delle tre, si chiuse con una mesta sconfitta a Filderstadt, contro Elena Dementieva, alla fine del 2002, al termine di una stagione giocata a singhiozzo per via dei problemi fisici. L’annuncio del ritiro arriverà qualche settimana più tardi, quello del ritorno in campo invece nel novembre del 2005, anche se Hingis una partita l’aveva già giocata, e persa, a Pattaya qualche mese prima. Forse sorpresa dal risultato netto abbastanza netto, 1-6 6-2 6-2 contro la numero 73 del mondo, Marlene Weingärtner, Hingis dichiarò che si era trattata solo di un’esibizione. Ma nel 2006 tornò davvero in campo e grazie a dei buoni risultati sulla terra – vinse 10 partite di fila tra Roma e Parigi – si qualificò anche al Masters di fine anno. La si rivide perfino a Zurigo, il torneo da cui era cominciato tutto, quando era già tornata in top 10 e sembrava ormai pronta a ricominciare il discorso interrotto quattro anni prima.
Nella stagione successiva gioca poco, e male. A Miami viene battuta da una giovane polacca, Agnieszka Radwanska, che in molti indicano come la sua erede, per via del suo gioco poco potente ma letalmente preciso. Entrambe sanno appoggiarsi ai colpi delle avversarie e variare i colpi come se nulla fosse: ne viene fuori un match bello e divertente, in cui è Radwanska, numero 49 del mondo, a vincere. Vederle giocare contro è un’esperienza straniante: distinguibili soltanto dall’abito – bianco per Agnieszka, nero per Martina, il loro gioco è talmente simile che sembra di vedere la stessa giocatrice affrontare sé stessa. Il 2007 è l’anno dello stop definitivo di Hingis, almeno in singolare; è l’anno delle nuove sconfitte contro il nuovo che avanza, stavolta rappresentato dalla nouvelle vague belga; ed è l’anno della squalifica per la cocaina, di una responsabilità sempre negata ma la cui controprova non è mai stata fornita. La si rivedrà da sola in campo solo nel 2015, per una sfida di Fed Cup, nella quale perse entrambi gli incontri. Uno di questi è contro Agnieszka Radwanska, che vince nettamente 6-4 6-0.
La terza parte della sua carriera, quella che forse in pochi ricorderanno tra una decina d’anni, è quella che va dal 2013 a ieri: 5 Slam in doppio, 6 nel doppio misto e 33 titoli complessivi in quattro anni e mezzo. L’ultima partita, questa volta davvero, Martina l’ha giocata al Masters di Singapore, da numero 1 del mondo: in coppia con Chan Yung-jan ha perso contro Timea Babos e Andrea Hlavackova, 6-4 7-6, dopo aver vinto diciannove partita di fila da Cincinnati fino alla semifinale delle WTA Finals. Il suo terzo ritiro è avvenuto in un palazzetto del sud-est asiatico, molto distante da quello in cui cominciò la sua carriera ventitré anni fa.
Il terzo ritiro è in realtà il primo che ha deciso di sua spontanea volontà, senza l’intervento di fattori esterni. Come successe all’altra Martina quando smise, anche Hingis lascia un tennis molto diverso da quello che ha trovato. È un tennis che in qualche modo ha modellato, impostando un nuovo modo di giocare ma senza riuscire ad imporlo. Il tennis di Martina Hingis, troppo leggero e troppo complicato, diventerà un cimelio da museo, qualcosa che verrà ricordato con nostalgia quando vedremo una tennista colpire con quell’anticipo e con quegli angoli. Un tennis che non tornerà mai più, e che pure è stato capace di ritagliarsi un pezzetto di storia del tennis. Proprio come voleva mamma Melania.