Abbiamo problemi con la gente.
Qualche settimana fa Garbiñe Muguruza conquistava i titoli dei giornali dopo una conferenza stampa in cui non era riuscita a trattenere le emozioni. Il match di ottavi tra la spagnola e Kristina Mladenovic era uno dei più attesi del torneo e in effetti la partita non tradì. Muguruza, che era la campionessa in carica, finì per perdere l’ennesimo match dell’anno, 6-1 3-6 6-3 e uscendo il campo lasciò andare parte della frustrazione con un atteggiamento polemico nei confronti del pubblico francese, a suo parere troppo dalla parte della sua avversaria francese. «È una sconfitta che fa molto male», dirà poi in conferenza stampa. Un’ora più tardi, durante una domanda di un giornalista, Muguruza, col capo chino, scaricò il resto della delusione, anche se fece di tutto per nascondere le lacrime. Il reporter, quando la spagnola rientrò per il resto della conferenza, chiese se fosse il caso di fare la domanda interrotta poco prima ma lei replicò sorridendo: «Continua. Siamo qui per i buoni momenti e per quelli cattivi».
Era difficile immaginare che un mese dopo Muguruza avrebbe alzato il trofeo, anche perché la sconfitta al Roland Garros l’aveva fatta uscire dalle prime dieci del mondo dopo quasi due anni. Non a caso, il suo ingresso in top 10 era coinciso con la sua prima finale Slam, quella di Wimbledon di due anni fa persa contro Serena Williams. Oggi, grazie alla vittoria contro la sorella Venus, Muguruza festeggia il ritorno in top 10, ma soprattutto il secondo Slam della carriera, che è appena il quarto titolo di questa tennista dal tennis tanto potente quanto instabile. Gli equilibri del tennis femminile, di questi tempi, sono piuttosto labili e Wimbledon non ha fatto che confermare quello che già sapevamo. A Parigi ha vinto una ventenne che non aveva mai vinto un titolo WTA, a Londra è stato il turno di una tennista che non raggiungeva una finale proprio dall’ultimo Slam vinto. Il 2017 di Garbiñe è stato difficilissimo, ancora di più di quanto si potesse pensare. Dopo la finale a Wimbledon di due anni fa perse quattro partite su sei ma ci mise poco a riprendersi, visto che vinse a Pechino, raggiunse la finale a Wuhan e chiuse l’anno perdendo una bellissima semifinale alle WTA Finals contro Agnieszka Radwanska.
Per Muguruza, com’era facilmente immaginabile visti gli effetti di una finale Slam, la vittoria del primo Major fu ancora più destabilizzante. L’anno scorso, dopo le sette vittorie di Parigi, vinse 13 partite nel resto della stagione e ne perse 11, fallendo in tutti i tornei più importanti. Quest’anno non è andata molto meglio: quarti a Melbourne, anche grazie ad un tabellone poco complicato, quarti a Indian Wells e semifinale a Roma. Sull’erba, una settimana prima dell’inizio di Wimbledon, ha rimediato un 6-1 6-0 contro Barbora Strycova. A Wimbledon è arrivata insomma senza troppe aspettarive, e anche senza pressione. La sua vittoria, ad ogni modo, è più che legittima: ha sconfitto due top 10 – tra cui la miglior Kerber dell’anno – oltre ad una tennista che ha vinto questo torneo per cinque volte e che molti pensavano sarebbe riuscita a vincere per una sesta e ultima volta, visto il livello mostrato durante le due settimane. Ma Venus Williams è mancata sul più bello e ha purtroppo rovinato una partita che per nove game era stata bellissima e intensa. I successivi nove, purtroppo, sono stati una sequela di errori non forzati intervallati da qualche irresistibile accelerazione di Muguruza.
Fosse avvenuta due anni fa questa finale sarebbe finita nel modo opposto: Venus, dopo aver annullato una delicatissima palla break sul 4-3, avrebbe poi trovato la forza per vincere un turno in risposta e poi veleggiare nel secondo set. Del resto, è quello che è successo l’altro ieri contro Johanna Konta, che ha due anni in più di Muguruza, ma che non ha ancora giocato una finale Slam. Garbiñe, invece, è già a quota tre e ci sono molte ragioni per pensare che ne giocherà molte altre, anche se forse non arriverà mai al numero 1 del mondo. Un po’ come Petra Kvitova, Muguruza dà l’impressione di avere la forza mentale necessaria per vincere un torneo di due settimane, ma non quella per mantenere quel livello per più mesi. Perfetta per le grandi occasioni, Muguruza inciampa spesso contro avversarie deboli, a prescindere dalla posta in palio. Quest’anno, però, Muguruza ha spesso volentieri anche contro le tenniste più forti, senza mai trovare la scintilla per risvegliare l’orgoglio sopìto della campionessa. Almeno fino agli ottavi con Angelique Kerber, l’ormai ex numero 1 del mondo.
Vincere contro Kerber, oggigiorno, non è una grande impresa. Ma la tedesca, che era la finalista uscente, ha giocato contro Muguruza la migliore partita dell’anno. Sotto 6-4 4-4, con un paio di palle break annullate, Muguruza si è trovata in grande difficoltà nel Manic Monday. Eppure è riuscita a portarla al terzo, andando di nuovo sotto di un break (prima 1-0, poi 3-2) ma trovando sempre la forza di reagire. Sul 3-3, dopo il secondo controbreak della spagnola, Kerber e Muguruza hanno giocato il game più lungo della partita, 16 punti durati più di 10 minuti, e la spagnola ha dovuto annullare quattro palle break prima di poter andare avanti per la prima volta nel set. Vinto quel game, e quella partita, Muguruza non ha più perso un set, lasciando 7 game a Kuznetsova, 2 a Rybarikova e 5 a Venus Williams.
Il bene e il male, in questa tennista, si mescolano di continuo e non sarebbe certo sorprendente se nelle prossime settimane Muguruza perdesse di nuovo il filo della matassa, perdendo ai primi turni contro avversarie che diventeranno protagoniste per un giorno. Ma forse dovremo abituarci ai suoi saliscendi. Più che una questione di tennis, per lei come per tanti altri picchiatrici e picchiatori, sembra solo una questione di buone sensazioni. Il tennis di Muguruza è un mix brutale di precisione e potenza: c’è poco, pochissimo spazio per i ricami, per le demivolée, per le palle corte che lasciano ferma l’avversaria. Ma se lei ha giù due Slam in bacheca e Radwanska nessuno, un motivo deve pur esserci.