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Il pleut

Quando il Roland Garros fa veramente Parigi: pioggia, conversazioni frivole, un salto in creperie e poco tennis.

Quando il Roland Garros fa veramente Parigi: pioggia, conversazioni frivole, un salto in creperie e poco tennis.

È surreale l’atmosfera che pervade il Roland Garros quando piove. Così come accadde a Policrate, tiranno di Samo, che non riuscì a scampare l’invidia degli dei, nonostante avesse tentato di spogliarsi simbolicamente delle sue ricchezze, così anche qui a Parigi, nonostante tutti gli sforzi per completare il programma, sapevamo che sarebbe venuto a piovere. Non era questione di se, ma bensì di quando. Le persone camminavano con l’impermeabile color ocra con il logo Roland Garros appeso al braccio, gli stand di crêpes all’aperto tenevano pronti gli ombrelli giganti per coprire le piastre roventi, i giornalisti continuavano ad affacciarsi dalla tribuna stampa, sporgendosi dalla ringhiera per mettere la testa al di là della tettoia dello stadio e per valutare la minaccia di quelle masse grigie di varie forme che coprivano il cielo. Quattro erano i match, due quarti di finale femminili e due del maschile, da completare per rispettare il programma.

“Nuageux dès ce matin, averses et fortes rafales de vent dans l’après-midi”, così ammoniva il televisore all’ingresso del Media Center. In francese tutto sembra più delicato, anche un temporale imminente sembra soltanto una nuance di grigi in un quadro impressionista. I primi due match, quelli femminili, erano in orario per le due del pomeriggio. Per questo la mini-tempesta che ha colpito il Roland Garros verso mezzogiorno non preoccupava nessuno. Il Philippe Chatrier era vuoto, deserto, immerso in un grigiore cupo sotto folate di acqua e vento; la similitudine con la scena piovosa del film più famoso di Ridley Scott era evidente. Gli addetti alla copertura del campo, riparati soltanto dal cappuccio del loro impermeabile, stavano lì in piedi, sopra ai teloni. Stoicamente, sempre vestendo i pantaloncini corti, non opponevano resistenza alla pioggia, sembravano quasi accoglierla in attesa del segnale per tornare al coperto.

La tempesta è stata intensa quanto breve. Tempo mezz’ora ed il vento aveva già diradato le nubi. La temperatura si era abbassata di almeno cinque gradi e il sole riusciva a ridare tonalità viva alla terra mentre Kristina Mladenovic scendeva in campo contro Timea Bacsinszky. Tuoni in lontananza ammonivano di un ritorno. Si è giocato un set, anche se il vento era talmente forte che sembrava quasi un altro sport, perché l’arbitro è stato costretto a chiamare l’interruzione del match: rapida e incessante, la pioggia era tornata. Senza avere il tempo di aprire gli ombrelli, gli spettatori si riversavano all’interno del corridoio coperto che cinge lo stadio, colti a sorpresa dalla violenza dell’acquazzone. Immobili, nel poco spazio che gli era concesso per ripararsi, la gente si scontrava nel tentativo di passare, improvvisava conversazioni per trascorrere il tempo con gli sguardi complici per la sventura. C’era chi prendeva un dolce, una crêpe o una galette, nel tentativo di consolarsi con gli zuccheri. In quel momento, non c’era posto migliore al mondo per stringere nuove amicizie. «Ah sì? Siete di Ginevra quindi, venuti appositamente per gli svizzeri anche se non c’è Federer?», «Hanno messo Djokovic sul Lenglen, ho cercato di cambiare il mio biglietto sullo Chatrier per uno di quelli». Queste erano le frasi delle conversazioni appena imbastite, domande retoriche e sguardi che a intervallo preciso scrutavano il cielo nell’attesa che quella pioggia di ogni tipo, grande, piccola, grossa, di lato – come direbbe Forrest Gump – smettesse di cadere.

In sala stampa la situazione era la tessa. I giornalisti che di solito non distoglievano mai lo sguardo dai loro schermi luminosi erano costretti a parlarsi. Non c’era da guardare tennis, e quindi da scrivere, e allora non rimaneva che affollare il bar anche se l’ora del pranzo era passata. Si ripiegava sul caffé, o su un cappuccino se si aveva voglia di allungare anche i tempi di bevuta. Erano i momenti buoni per fare quelle conversazioni rimandate a inizio settimana, presentarsi ai colleghi, leggere i nomi sui pass con calma e non furtivamente. Si cercava, per quanto possibile, di parlare il meno possibile di tennis. E quando arrivava il momento in cui non c’erano più argomenti, allora la classica scusa “Signori, scusatemi ma devo andare” era il là per uscire di scena. La pioggia cadeva ancora battente.

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Una scena vista fin troppe volte

In una giornata piovosa gli organizzatori di un torneo si comportano come le ragazze al primo appuntamento. Prima erano le 17.30, poi le 18.00 che sono diventate 18.10 per poi rendersi conto che non si era ancora pronti, e allora è stato posticipato tutto di un’altra mezzora per cercare di rispettare quell’orario. E sono saltati i match maschili, ché iniziare partite al meglio dei cinque set dopo le 19 sarebbe stato folle anche per i parigini.

Mladenovic e Bacsinszky avevano ripreso a giocare, ma non hanno fatto in tempo a completare 3 game che la pioggia ha ripreso a cadere. Dalla tribuna stampa, sotto la tettoia, all’orizzonte si vedeva soltanto un cielo azzurro con qualche nuvola sparsa. Deve essere stata una nuvola di Fantozzi a coprire quella parte di stadio. L’ennesima pausa forzata durava poco, il tempo di una sigaretta al bar o di uno scambio di battute con quella persona che avevi conosciuto poco prima sotto la tettoia e rincontrata nello stesso posto.

«Hai visto che hanno cancellato Djokovic sul Lenglen?»
«Eh, già»
«Alla fine hai fatto bene a non cambiare il biglietto!»

Da Notre Dame arrivava la notizia di un attentato terroristico. Abituati oramai al clima di terrore, nessuno sembrava realmente preoccupato, si parlava della vicenda come fosse il nuovo gossip che girava nei corridoi pur non conoscendone i dettagli. L’unica cosa di cui la gente era certa era che una cosa del genere non sarebbe potuta accadere al torneo: finalmente un motivo per benedire gli scrupolosi controlli della sicurezza all’entrata. Il Roland Garros era un luogo apparentemente sicuro.

Si tornava di nuovo in campo. Il vento sembrava aver spazzato via le nuvole una volta per tutte. Mladenovic non riusciva ad approfittare della doppia pausa. Bacsinsizky manteneva la concentrazione e faceva sparire la più concreta speranza che i francesi abbiano avuto di vincere il torneo da quando Mauresmo si è ritirata. Sul Suzanne Lenglen Jelena Ostapenko, diciannove anni, batteva Caroline Wozniacki per raggiungere la sua prima semifinale Slam. Visto il poco da fare della giornata, tutti i giornalisti hanno riempito le sedie disponibili nella sala interviste, per assistere a quelle che sarebbero state le uniche conferenze stampa della giornata. Bacsinszky tormentava tutti con le sue risposte-omelia. Ostapenko, al contrario, sembrava avesse il limite di 140 caratteri ogni volta che apriva bocca. Le due si affronteranno venerdì in semifinale, giorno in cui entrambe festeggeranno il compleanno. Auguri.

Magari fosse più spesso così, come oggi: pochi match, vissuti dall’inizio alla fine, con qualche nuova amicizia estemporanea, conversazioni frivole, un salto in creperie, tra qualche goccia di pioggia, la sensazione che non finisca mai, che il tempo si blocchi. Fa così tanto Parigi.

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Roland Garros 2017


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