Abbiamo problemi con la gente.
Tra le tante sfortune di Simone Bolelli c’è stata anche quella di nascere in Italia. Da molti anni, infatti, noi italiani siamo in cerca dell’erede di Adriano Panatta, ultimo tennista capace di vincere un torneo dello Slam; perché se è vero che Flavia Pennetta e Francesca Schiavone hanno contribuito a rilanciare l’immagine del tennis italiano nel mondo, è altrettanto vero che se avessimo avuto un maschio vincitore dello Slam avremmo raggiunto un numero maggiore di persone e, quindi, probabilmente di tesserati. E questo per buona pace degli attuali ambasciatori del tennis italiano, Lea Pericoli e Nicola Pietrangeli, gente che ha praticamente vinto nulla, come Lea, o che vinceva quando a tennis giocavano in pochini (tanto è vero che Pietrangeli il giorno prima delle finali dei tornei giocava a calcetto, per dirne una).
La speranza prima di Fognini si chiamava Simone Bolelli. Prototipo del tennista moderno tutto servizio e dritto, Simone è arrivato fra i migliori 100 nell’aprile del 2007 all’età di 21 anni. Ha vivacchiato nei primi 100 per un anno per poi, nel 2008, essere classificato stabilmente nei primi 50. E qui l’Italia del tennis ha cominciato a fare quello che sa fare meglio, gridare al miracolo troppo presto. Oltretutto, Bolelli era conterraneo di un altro bravo tennista italiano, Omar Camporese, anche lui giocatore tutto servizio e dritto arrivato al n.18 ATP nel 1992. Bolelli, chiaramente, era un predestinato.
Le vicende che hanno coinvolto Bolelli dal 2009 in poi, quando riuscì a conquistare il suo miglior piazzamento raggiungendo la posizione numero 36 ATP (sotto la guida di Claudio Pistolesi), sono note ai più. Dalla frase di Binaghi, “Finchè sarò io presidente FIT Bolelli non giocherà più in Coppa Davis”, fino alla pressione sempre della FIT per esiliarlo dal Forum, il circolo romano dove si allenava, Simone ha iniziato il suo declino tennistico. Come se non bastasse, sono arrivati gli infortuni, alcuni dei quali molto seri, a rendere difficile la permanenza stabile nella top 100, la soglia di quelli che “ce l’hanno fatta”. Di lui si è cominciato a parlare al passato, da speranza diventò un rimpianto e l’Italia del tennis si rimise in cerca del nuovo predestinato.
Al Roland Garros oggi Simone Bolelli ha perso contro Dominic Thiem, uno di quelli che top ten lo è già da un po’ e che andrà anche più su. Bolelli è arrivato a giocare sul centrale parigino dopo aver superato le qualificazioni e dopo aver battuto il francese Mahut al primo turno. Contro Thiem ha giocato la solita partita onesta uscendo sconfitto in tre set giocando come un giocatore classificato attorno alla centesima posizione ATP – “il mio traguardo di fine anno”, dirà poi. I colpi di rimbalzo di Bolelli erano pesanti e il ritmo buono, solo che l’altro era nettamente più forte e ha deciso come e quando vincere i game nonostante le tante palle break procurate e non trasformate, segno di un approccio al match non proprio all’insegna della determinazione.
Questo è il Bolelli di oggi, 32 anni a ottobre e classificato oltre la quattrocentesima posizione in classifica, un giocatore diventato l’ennesima speranza delusa per chi pensava di poterlo usare per promuovere il tennis casomai fosse arrivato fra i migliori dieci ATP, una posizione ricoperta da nessun’altro dopo Corrado Barazzutti. I giudizi affrettati di allora su Bolelli erano a firma di chi governa il tennis, quelli che dovrebbero tutelare i talenti italiani e che invece investirono e investono i soldi federali in discutibili attività – a scopo di marketing dicono, e pazienza se uno deve nascere ricco per tentare di avere una chance in questo sport.
A Bolelli per molti anni si è chiesto di arrivare dove lui non avrebbe mai potuto, perché il rovescio non è stato mai all’altezza, perchè non ha mai dato l’idea di essere fisicamente superdotato, e perché quella buona prima palla e quel buon dritto non erano colpi di un’altra categoria, ma il minimo indispensabile per arrivare dove è arrivato lui, fra i primi cinquanta del mondo. Certamente gli infortuni gli hanno impedito di rendere al meglio, ma si tratta di cose con cui fare i conti quando si pratica lo sport a questi livelli. E se nel corso degli anni Simone Bolelli non è riuscito a stare stabilmente fra i primi 100 del mondo, è anche per colpa del circuito di aspettative che si mette in moto non appena uno dei nostri vince una partita in uno Slam o batte un tennista forte in circostanze particolari. Dalla grancassa federale che parte in quarta fino ai giornali in cerca di click o copie da vendere, il sistema enfatizza le gesta del nuovo pretendente alla top 10, salvo poi correre dietro al nuovo predestinato non appena arriva una vittoria di cui sopra. Ma anche il trattamento federale non può essere di certo una scusante per la carriera di Simone Bolelli in uno sport che è individuale e che puoi praticare senza avere la tessera FIT.
E in tutto questo bailamme, onesti tennisti come lui rimangono schiacciati sotto il peso della pressione, quella che se la sai gestire forse arrivi in alto e se no sei destinato a una vita di “sacrifici tennistici”. Perché a tennis oggi giocano in milioni, non siamo più negli anni ‘70 o ‘80, e la stratificazione delle competizioni per arrivare a giocare nei Master 1000 e negli Slam prevede una trafila infinita. Per questi motivi si possono definire paradossalmente predestinati solo quelli che arrivano in cima, non quelli che ci provano.
In generale, imparare a giudicare con equilibrio sarebbe già un buon punto di partenza, anche perché si avrebbe il reale vantaggio di non aggiungere pressione sulle spalle di chi ne ha già troppa. Magari, chi può dirlo, sarebbe arrivata qualche vittoria in più. Perché altrimenti, poi, a Bolelli non rimane che riciclarsi come doppista, guadagnando soldi in maniera più facile e concludere una carriera con zero titoli in singolare e mai tre turni di fila superati in uno Slam.
Non c’è da stupirsi infatti se negli ultimi anni il tennista italiano con la maggior costanza di rendimento è stato Andreas Seppi, uno a cui non hanno mai chiesto di arrivare in top 10 forse perché non ha il dritto potente come Bolelli – poi Seppi però è un giocatore che sa fare praticamente tutto ed è dotato di molta intelligenza tattica. Per non dire di Paolino Lorenzi, che ha raggiunto i suoi migliori risultati dopo essere stato ignorato per anni a livello mediatico. Bolelli poteva essere uno di questi per molti anni della sua carriera, e tutti avrebbero dovuto accettare questa sua dimensione. Invece, nell’ultimo inizio di carriera si ritrova ancora a fare notizia quando entra nel tabellone di uno Slam, praticamente uno come tanti.