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L'illusione

A dar retta solo ai risultati, Roger Federer sembra il tennista più forte del momento. Ma il tennis è qualcosa di più di un 6-2 6-3 al rivale di sempre o di un agevole, si fa per dire, 6-4 7-5 in finale al connazionale che non è mai riuscito a batterti sul cemento in quindici incontri. Federer è in un momento di fiducia che ricorda quello di qualche anno fa, quando gli bastava scendere in campo per vincere la partita. È una sensazione che lo svizzero, contro i tennisti dalla decima posizione in su, non provava ormai da tempo. Quella, ormai, era roba per i Djokovic e i Murray, che sono rimasti pazienti in seconda fila per qualche anno finché le gerarchie sono cambiate. Ma il Federer che stiamo vedendo in questi primi mesi del 2017 è davvero un giocatore capace di lottare con i migliori? I 3000 punti ottenuti tra Melbourne e Indian Wells hanno già fatto partire le calcolatrici dei più ottimisti e anche Federer stesso, che certo non difetta in ambizione, ha ammesso che con un altro Slam potrebbe lottare per il numero 1 a fine anno. La sensazione che ci hanno dato questi due tornei, però, è che le cose siano un po’ diverse da come sono state dipinte.

«Hai visto il nuovo rovescio di Federer?». Questa è la frase più gettonata fra addetti ai lavori e non, il mantra del momento che occorre ripetere per non sentirsi escluso, come se si parlasse dell’ultimo romanzo di Albinati o dell’attesissimo ritorno di Malick. Che invece non è tanto nuovo, perché il rovescio di Federer è sempre stato un gran colpo, e la novità è nell’uso che ne sta facendo, questo sì nuovo.

Fin dall’era del dominio 2004-2007 Roger era (ovviamente) capace di colpire nella maniera che preferiva dal lato sinistro. Giocatore completo come non se ne vedevano da mai, Federer riusciva a vincere le partite come voleva. Del resto, dopo la sconfitta nella finale di Roma contro Mantilla (absit iniura verbis…) riuscì a dire, con la consueta modestia: «Ho così tante soluzioni da poter adottare che a volte non riesco a decidermi». Vivendo il momentum del fulgore fisico, Roger dava l’impressione di non sentire la necessità di far terminare il punto sùbito ma, anzi, sembrava volersi divertire come il gatto con il topo palleggiando da fondo campo, rimarcando una superiorità che altro non poteva essere che divina. Così almeno si diceva. Poi arrivò Nadal e le cose per Federer cambiarono, almeno sulla terra.

Australian Open 2010, contro Murray. Backspin, controbalzo, anticipo: Roger faceva già tutto con il rovescio anni fa.

Lo svizzero non ha mai cambiato il modo di colpire il rovescio. O meglio, visto che lo sa colpire come vuole, le soluzioni che adotta erano già utilizzate in passato. Solo che allora o sbagliava il momento oppure, soprattutto contro Nadal, gli arrivavano palle ben più complicate da addomesticare. Quello che è cambiato, oltre alla racchetta, è quindi l’atteggiamento tattico (e Nadal, come vedremo). Fin da quando ha assunto Stefan Edberg nel 2014-2015 Roger Federer ha stravolto la sua strategia di gara. L’imperativo, stante anche l’età (trentatreenne all’epoca), era di evitare partite troppo lunghe, cercando di accorciare, soprattutto contro i Djokovic e i Murray, la durata degli scambi da fondo campo. D’altronde, Roger ha sempre avuto le qualità per giocare d’attacco; magari non facendo il classico serve and volley, che è una tattica di gioco che non ha mai sentito propriamente sua, ma giocando sull’uno-due, cercando di prendere le redini dello scambio fin dalla risposta.

In passato, Roger usava molto la risposta in backspin, un colpo più “comodo” da eseguire dal punto di vista fisico perché esige più lavoro di braccio che di gambe. In questo modo però, Federer concedeva all’avversario la possibilità di controllare lo scambio molto di più di quanto non faccia oggi, confidando nella sua perfetta efficienza fisica e nel devastante dritto per “girarlo”. Quando Roger è calato fisicamente, a uno come Djokovic bastava indirizzare la palla sul rovescio di Federer per comandare il punto con una certa tranquillità.

Il “nuovo” Federer, semplicemente, ricorre molto meno al rovescio in backspin. Correndo maggiormente il rischio di sbagliare la risposta, sin dal primo colpo, Federer prova a mettere sotto pressione l’avversario, cosa che usando il rovescio in slice era impossibile. Giocando poi con grande anticipo il colpo, la pallina ritorna rapidamente dalle parti di chi serve e se si stratta di qualcuno che ha delle ampie aperture la frittata è fatta. Infatti il super colpitore di oggi, il potente Wawrinka ma anche l’altrettanto potente Jack Sock, riesce a sviluppare potenza solo se ha tempo per caricare il colpo, proprio per via del fatto che hanno bisogno di tempo per colpire efficacemente. Per quello Wawrinka sulla terra è pericolosissimo e a lungo è sembrato che potesse giocar bene solo lì. Federer, semplicemente, non gli dà questo tempo. Giocando a tennis praticamente di controbalzo, lo svizzero limita la capacità di generare potenza dei suoi avversari, che non hanno tempo per caricare e concludere tutto il movimento dei loro colpi, che perdono quindi efficacia. Anche nel match contro Wawrinka, si è visto come Stan fosse in difficoltà nel giocare “di fretta”, senza avere tempo né per pensare il colpo né per caricarlo.

E anche contro la sua nemesi, Nadal, abbiamo visto Roger Federer giocare in maniera diversa. Tornato competitivo dopo due anni disastrosi, il tennista spagnolo è riuscito ad arrivare fino alla finale degli Australian Open forte del ritrovato dritto. Certo, Nadal era lontano dall’avere la rapidità fulminea di gambe, questo sì il segreto del suo colpo migliore, e Ljubicic, non Federer, l’ha capito benissimo. E così, togliendo il tempo di esecuzione a Nadal proprio sul lato del dritto – e non sul rovescio, un colpo dall’apertura più corta con il quale Nadal riesce ad essere più reattivo – Federer ha trovato la chiave per vincere finalmente sulla diagonale che lo ha tenuto prigioniero per molte partite (e molti Slam). Ma in questo è stato determinante l’apporto di Nadal, arrivato nei termini della perdita di efficacia del dritto. Perché una cosa è colpire un colpo che plana poco dopo la linea del servizio, altro farlo con la stessa terribile efficacia quando la palla finisce sistematicamente sulla riga o nei dintorni.

Ad ogni modo oggi Roger colpisce sul lato del rovescio con i piedi ben piantati nel campo, facendo mezzi movimenti con l’avambraccio e sfruttando il piatto corde più ampio della sua racchetta. Non ci sono più le stecche, come ha ricordato Sock dopo la lezione ricevuta in semifinale; Roger non è più passivo in risposta ma, anzi, cerca di comandare da sùbito lo scambio. Questa è la grande novità di Federer: lui ti costringe a giocare a ping-pong, e in questo sport forse perderebbe solo contro Forrest Gump.

Abituato a giocare nel periodo fino al 2013 nella maniera solita, e cioè giocando da fondocampo come impone il paradigma del tennis moderno, Federer ha capito tardi che poteva evolvere ancora il suo gioco. È ovvio che questa capacità di rinnovamento richiedesse una condizione fisica impeccabile, e lo stop di sei mesi pare averci restituito un Federer che non sembra di certo un trentacinquenne. Ma questo grande ritorno fisico è stato reso possibile anche grazie alla maniera in cui Federer interpreta il tennis. Essendo il suo un tennis più “semplice” di quello dei suoi avversari dal punto di vista delle esecuzioni, Roger è un giocatore che riesce a vincere match al quinto set per più giorni anche se ha un fastidio all’adduttore, come in Australia appunto. Una condizione fisica che, per altri giocatori, si sarebbe tradotta in una incapacità di rimanere competitivi a quei livelli.

Tre rovesci di Fed contro Melzer che coprono tutto il nuovo paradigma tattico: anticipo ad aprire il campo, risposta coperta aggressiva a spostare l’avversario e controbalzo in chiusura per non permettere a Melzer di rientrare.
Tre rovesci di Fed contro Melzer che coprono tutto il nuovo paradigma tattico: anticipo ad aprire il campo, risposta coperta aggressiva a spostare l’avversario e controbalzo in chiusura per non permettere a Melzer di rientrare.

Nonostante il tempo passi nessuno ha dimenticato quello che seppe combinare il divino nel quadriennio 2004/2007. Il dominio di Federer fu totale, infastidito appena dal terraiolo – a quei tempi poco altro – Nadal. Buono per sottrargli il Grande Slam, ma una così continua sequenza di vittorie non ha nessun paragone sensato né nel passato né nel presente. Lo stesso Djokovic, che nel 2015 fu mostruoso, durò appunto solo quell’anno e, se vogliamo, per qualche pezzo di 2014 e 2016. Nadal non ha mai dominato a lungo e né Borg, né Lendl, né McEnroe né Sampras neanche lontanamente hanno vissuto un periodo così. Per quei pochi che l’avessero dimenticato, il 2008 di Federer fu considerato l’anno di un giocatore in crisi, nonostante lo svizzero si portasse dietro una lieve forma di mononucleosi e nonostante questo facesse finale Slam al Roland Garros, perdesse solo 9-7 al quinto quella di Wimbledon e vincesse con irrisoria facilità lo US Open. Per Borg, Lendl, Sampras, sarebbe stata una delle migliori stagioni. Per Federer fu la crisi. Quella folgorazione è evidentemente rimasta impressa a tifosi e osservatori perché ogni volta che Federer imbrocca una striscia positiva il terrore (la speranza?) si impone: è tornato il tiranno (il re).


Forse è tempo di assumere un Social Media Manager.

Se ci si sforza di non lasciarsi dominare dall’emergenza del presente, obiettivo reso ancora più complicato dalla novantesima (!) vittoria dello svizzero, in fondo non è neanche troppo complicato notare come dopo il ritorno del 2009, favorito dal più o meno misterioso infortunio di Nadal, Federer non ha mai più dominato il tennis. Anche il ritorno al numero 1 del 2012 fu agevolato da circostanze straordinariamente favorevoli, come la difficoltà di Djokovic a tenere a lungo la stessa concentrazione o l’avventatezza di Murray; ma quel Federer lì non riuscì mai a produrre una prestazione pazzesca come quella della semifinale di Parigi dell’anno prima. E, en passant, il rovescio funzionava benissimo.

Wimbledon 2006: notate differenze con gli Australian Open 2017?
Wimbledon 2006: notate differenze con gli Australian Open 2017?

Da allora in poi Federer, com’è giusto che sia, da sempre molto attento alla sua programmazione, ha cercato di amministrare il suo fisico puntando su obiettivi abbastanza circoscritti. La chimera dell’ottavo Wimbledon – sottrattogli per due volte da Djokovic; quella del diciottesimo slam – che sembrava irraggiungibile fino a due mesi fa; forse i 90 tornei, insomma qualcosa che non avesse a che fare con la continuità. A differenza di tifosi e osservatori sembra che Federer abbia una diversa – e più corretta – consapevolezza sia di sé sia di quello che gli sta intorno. Può capitare il periodo in cui tutto ti gira perfettamente; che “senti” la palla come non mai (o, per usare il gergo dei tennisti, “che ti pare più grande”); che la sorte ti tolga dai piedi i giocatori più scomodi, che quelli forti entrino in una mini crisi. Che è quello che è successo in questi due mesi.

A Melbourne Federer, oltre a Djokovic e Murray, è riuscito ad evitare tutti i giocatori che potessero infastidirlo, come Zverev o Kyrgios o, chissà, Thiem. Dopo due partite molto incerte il peggior Berdych di sempre lo ha fatto allenare e gli ha dato fiducia; il solito Nishikori si è perso nei meandri della sua emotività dopo aver mostrato a tratti di essere ingiocabile per lo svizzero; abbiamo ricordato che Wawrinka, l’avversario di ieri in finale, avrà sempre uno svantaggio difficile da colmare, per via del tempo di cui ha bisogno perché il suo rovescio abbia la terribile efficacia che ha sconquassato Djokovic. E di Nadal abbiamo detto. Non è certo un caso che dei cinque avversari incontrati a Indian Wells due fossero gli stessi – battuti con ancora maggiore facilità – e gli altri tre più o meno dei buoni pellegrini, ma insomma: si parla di Robert, Johnson – che alla fine sarà l’incontro più complicato – e Sock, uno che aveva rischiato contro Jaziri. A proposito di periodi fortunati, l’unico che avrebbe potuto metterlo in difficoltà, Kyrgios, si è fatto male. È chiaro che è abbastanza improbabile che una simile congiuntura possa continuare a lungo. Per usare una citazione abusata, “puoi ingannare pochi per lungo tempo o tanti per un tempo molto breve. Quello che non puoi fare è ingannare tanta gente a lungo”. Ma Federer lo sa benissimo, gli altri meglio che se lo ricordino.

Quello che ne esce con le ossa rotte, da questa “fairy tale”, è il tennis contemporaneo. Si parla tanto del problema del tennis femminile ma che dire di un panorama che consente ad uno di 35 anni, fermo da sei mesi, di tornare e vincere come fece Kim Clijsters con imbarazzante facilità qualche anno fa? Quando Djokovic dominava in lungo e in largo – sembra passato tanto tempo, in realtà era meno di dodici mesi fa – ci si lamentava dell’impalpabilità dei suoi avversari: Nadal non era più in grado di reggere da fondo campo; Murray era imprigionato dai suoi fantasmi; Nishikori arrivava puntualmente a giocarsela, per poi sciogliersi sul più bello; delle lune di Wawrinka si è scritto fin troppo, e sul resto della concorrenza non occorre certo soffermarsi oltre. Nel frattempo il posto di Djokovic l’ha preso, per osmosi, Murray: ma lo scozzese è uno che perde le partite, mica è come quegli altri tre.

È successo così che quando i due tennisti più forti in circolazione hanno cominciato a soffrire di qualche dolorino fisico – non dimentichiamo che entrambi compiranno trent’anni tra qualche settimana – gli avversari si siano trovati spaesati. E a beneficiarne più di tutti è stato un tennista eccezionale ma mortale, capace di cambiare il proprio tennis come nessuno, ma non certo in grado di modificare lo scorrere del tempo. Il posto di Murray e Djokovic non è stato preso da qualcuno che, proprio come loro, è dovuto rimanere nelle retrovie mentre i più forti si spartivano i titoli. E nemmeno dai più giovani, quelli che dovrebbero avere la giusta dose di incoscienza per pensare che sia già arrivato il loro momento. No, per ora i titoli più importanti se li è presi uno che a metà 2016 doveva fare i conti con un fisico appannato e cigolante. Le incredibili vittorie di Federer, i quattro top 10 battuti per vincere uno Slam, il venticinquesimo Masters 1000 che gli fa aggiungere un altro, noiosissimo record, non ci dicono nulla di più di quello che già sapevamo su questo irripetibile campione. Ma ci dicono che gli altri, quelli che aspettavano il momento giusto, non hanno capito che quel momento che hanno aspettato a lungo potrebbe già essere passato.

Roger Federer


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