Abbiamo problemi con la gente.
Federer che vince il diciottesimo Slam
Quattro anni, nel tennis, sono parecchi: è il periodo di tempo nel quale Federer ha praticamente dominato senza concorrenza, dal 2004 al 2007 o quello che ha dovuto aspettare Murray tra la prima finale Slam e il primo titolo Slam. È anche il periodo che è passato dall’ultimo Slam vinto da Federer, e visto che una sua vittoria a Melbourne è poco probabile, così come un bis a Parigi, c’è da scommettere che saranno almeno cinque gli anni tra uno Slam e l’altro, sempre che Federer vinca effettivamente un altro Slam. Nemmeno il 2016 è stato l’anno del ritorno alla vittoria e dopo le due finali Slam consecutive del 2015, i tifosi di Federer speravano in un fisiologico calo di Djokovic per prendersi un’ultima soddisfazione (non sono mai contenti, quelli là). Il calo è arrivato, ma quello che non potevano sapere, i tifosi dello svizzero, è che il loro dio è fatto di carne ed ossa e così può capitare perfino ad uno come lui che qualcosa vada storto. Nella fattispecie, un innocente bagnetto alle figlie. E così Federer è arrivato a Wimbledon con molti dubbi, dubbi che non l’hanno ostacolato più di troppo visto che è arrivato ad un soffio dall’undicesima finale a Wimbledon. È andata come è andata, ma forse è andata bene: magari Roger, vinto il diciottesimo Slam e distrutto l’ennesimo record, si sarebbe davvero stufato di giocare a tennis e avrebbe deciso che bastava così. Invece no, nemmeno quest’anno Federer ha vinto il diciottesimo Slam e così la sua caccia non è ancora finita. Tra pochi giorni quella caccia ripartirà e noi saremo pronti, seduti in poltrona, a vederlo lottare contro il tempo ancora una volta.
Anche quest’anno i giovani non sono arrivati
Se guardiamo ai risultati negli Slam del 2016, non è stato un anno molto buono per i più giovani. Il più giovane tra i finalisti è stato Milos Raonic, 26 anni; il più giovani tra i semifinalisti è stato Dominic Thiem, 23 anni; il più giovane tra i quartofinalisti è stato Lucas Pouille, 22 anni. Non è andata molto meglio nei Masters 1000: il finalista più giovane è stato ancora Milos Raonic, che ha vinto due game contro Novak Djokovic a Indian Wells; il semifinalista e quartofinalista più giovane è stato Nick Kyrgios, che quest’anno ha compiuto 21 anni. Alle ATP Finals si sono qualificati per lo più tennisti intorno ai 30 anni; il più giovane degli otto era Thiem. Il giovane che ha fatto parlare più di sé è stato Alexander Zverev. Se n’era già parlato nel 2014, in verità, quando gli diedero una wild-card ad Amburgo e lui arrivò fino in semifinale. Poi, dopo un 2015 senza infamia e senza gloria, ha cominciato a fare sul serio: ha chiuso a ridosso dei primi 20, ha vinto il primo titolo a San Pietroburgo dopo aver perso le finali di Nizza e Halle e ha battuto i primi top 10. Negli Slam non è ancora arrivato nella seconda settimana, ma è solo questione di tempo. Il punto è che Zverev, che quest’anno ha compiuto 19 anni, è più l’eccezione che la regola. I suoi coetanei fanno molta più fatica ad emergere e le difficoltà dei più grandi fanno pensare che sarà difficile vederli vincere qualcosa di importante nell’immediato. Il 2016 poteva essere un buon anno per emergere, visto che Federer e Nadal hanno cominciato a farsi da parte, ma il duopolio Murray-Djokovic ha lasciato poco spazio alla concorrenza, e quando l’hanno fatto ci hanno pensato Wawrinka e Cilic, gente che è nel circuito da un bel pezzo, a prendere il loro posto. E insomma il 2017 potrebbe essere l’anno giusto, oppure no: intanto torneranno a giocare Federer e Nadal, due che di solito hanno sempre dato severe lezioni ai più giovani. Se torneranno a livelli decenti, Kyrgios, Zverev e compagnia bella dovranno fare i conti con due problemi in più.
Il Grande Slam di Novak Djokovic
Già l’anno scorso, dopo il trittico Australian Open – Indian Wells – Miami si era cominciato a parlare con insistenza del possibile Grande Slam di Novak Djokovic. Poi arrivò il rovescio Wawrinka e le chiacchiere si spostarono su Serena Williams, lei sì molto vicina ad arrivarci, tanto vicina da bruciarsi le ali a pochi passi dal traguardo. Quest’anno non c’è stato un Wawrinka a scombinare i piani dei vaticinatori e così, se le chiacchiere sono giustificate a febbraio (del resto, dopo gli Australian Open può esserci solo un candidato al Grande Slam) figuriamoci se non possono esserle a giugno. I giornalisti di mezzo mondo hanno cominciato a chiedersi insistentemente se non fosse proprio arrivato il momento. L’ultima volta, nel 1992, finì in maniera abbastanza indecorosa visto che Jim Courier perse al terzo turno di Wimbledon contro Andrei Olhovskyi, uno semisconosciuto russo che però sull’erba se la cavava abbastanza bene. Ma erano altri tempi e Courier non era certo un fenomeno sull’erba. Il bi-campione in carica Novak Djokovic, invece, poteva fare qualcosa di più nel suo terzo turno contro Sam Querrey, un tennista certamente più forte di Olhovskyi, ma che nessuno si sentiva di pronosticare come un reale ostacolo. Invece lo statunitense riuscì a reggere alla grande, perfino sulla diagonale del rovescio e chiuse in 4 set, rimandando di un altro anno quell’impresa che da quando il tennis è diventato una faccenda seria non è mai riuscita a nessuno. Per fortuna è finito il 2016: tra poco cominciano gli Australian Open e magari li vincerà Andy Murray. E pazienza se lo scozzese non ha mai dimostrato di poter rimanere concentrato nel corso di un’intera partita, figuriamoci nel corso di un’intera stagione con gli occhi di mezzo mondo addosso. Alzata la Norman Brookes Challenge Cup, cominceranno a dirci che sì, forse questo è proprio l’anno giusto per il Grande Slam. Finalmente.
Il ritardo di Camila Giorgi
Il 2015 era stato l’anno migliore di Camila Giorgi. La top 30, la prima vittoria in un torneo WTA. la sensazione che non fosse lontana dalle più forti e che i pezzi del suo gioco stessero andando tutti al proprio posto. Una cosa in particolare sembrava cambiata: Camila non perdeva più le partite con avversarie molto indietro in classifica. Però faceva fatica a superare avversarie piazzate meglio di lei. In ogni caso l’ascesa sembrava perfettamente naturale. Entrata nei primi 100 nel 2012, Camila finiva l’anno al numero 79; un infortunio alla spalla ne bloccava l’ascesa l’anno dopo anche se a Wimbledon forse solo la pioggia le impedì di superare la futura vincitrice Bartoli e a New York arrivò ai quarti addirittura partendo dalle qualificazioni. Camila diventò numero 35 nel 2014 e chiuse tra le prime 30 nel 2015. Se non la top 10, sembrava che il 2016 dovesse regalarle almeno l’ingresso tra le prime 20 senza particolari tribolazioni. Invece.
L’anno inizia facendo ben sperare: a Brisbane trova subito Kerber, va avanti di un set ma crolla nel terzo. A Melbourne, al primo turno, trova Serena, perde ma di misura, e tra qualche rimpianto. Arriva la Fed Cup e Camila travolge Garcia anche se poi perderà al terzo contro la Mladenovic. A Indian Well cede solo al tiebreak del terzo ad Ana Ivanovic e poi scoppia l’inferno. Camila Giorgi rifiuta la convocazione per il secondo turno della Fed Cup – partita chiusa da giocare in Spagna contro Garbiñe Muguruza e Carla Suárez-Navarro – e su di lei si scatenano i federales. Alla 24enne di Macerata ne dicono di tutti i colori, l’epiteto più generoso è “ingrata”. Le dicono senza troppi giri di parole che è una specie di truffatrice. Un vecchio ex tennista che da anni vive alle spalle della Federazione dice che “a chi rifiuta la convocazione in nazionale sparerei alle gambe”. Tutta la gloriosa stampa italiana comincia una campagna denigratoria da far invidia al metodo Boffo. In queste condizioni psicologiche, è un miracolo la finale di Katowice che le consente almeno di non sprofondare in classifica. Camila cerca di non scomporsi, supera con fortuna le qualificazioni a Stoccarda ma non va oltre il primo turno, a Praga si ferma ai quarti contro Karolina Pliskova.
Quando a Madrid si trova di fronte Sara Errani, una che con la Federazione ha pochi problemi, raccoglie energie e orgoglio e la supera in due set per poi ritirarsi dal torneo. Non è neanche troppo fortunata con i sorteggi, Camila. A Parigi trova la migliore Bertens dell’anno, a Wimbledon gioca una splendida partita contro la vincitrice del Roland Garros ma paga un lieve calo fisico e perde al terzo. A Montreal supera le qualificazioni ma non Roberta Vinci, una troppo esperta per non approfittare delle incerte condizioni psicofisiche della giovane avversaria. Camila fa quel che può ma non trova l’acuto con avversarie più avanti di lei in classifica. Scivola inesorabilmente in classifica, si teme addirittura per la top 100. Camila tiene e, sfinita, chiude l’anno con una sconfitta che sa di resa, a Mosca, contro tal Nadia Podoroska. Il risultato non potrebbe essere più significativo: Camila vince 6-0 il primo set e poi perde i due successivi per 6-4. L’anno si chiude al numero 82, altro che top 20. E ora? Camila compie 25 anni domani, in fondo non è certo troppo tardi. La speranza è che venga lasciata in pace, troppo facile prevedere che non succederà. Nel disastrato tennis italiano in fondo la marchigiana è l’unica per cui vale la pena vedere qualche partita, scalerà un po’ la classifica e a prima sconfitta l’indecente canea dei lacché si scatenerà, più volgare del solito, posto che ci riescano.
Serena non è più la favorita
Da una decina d’anni il leit motiv del tennis femminile era sempre stato lo stesso: Serena Williams vincerà il torneo oppure non parteciperà? La sconfitta contro Roberta Vinci era stata la sorpresa più clamorosa della storia del tennis, paragonabile a quella di Rafa Nadal contro Söderling nella nuvolosa Parigi del 2009. La terribile Serena aveva lasciato perdere il tennis per il resto dell’anno e sembrava potesse non avere più voglia. Solo quello sembrava poterla fermare: non avere voglia. Serena è tornata a Melbourne e dopo il rodaggio contro Camila Giorgi, battuta di misura, ha presto spiegato che non era cambiato niente. Fino alla finale un massacro dietro l’altro, nonostante alcune avversarie si chiamassero Sharapova e Radwanska. Nessuna delle due ha raccolto più di cinque game. Poi la finale contro Angelique Kerber. Serena è strafavorita e anche quando perde il primo set sembra una delle tante partenze lente. Tant’è che nel secondo set un break le basta per mettere le cose a posto. Sorprendentemente Angelique non molla, va 2 -0 al terzo viene raggiunta sul 2 pari, va 5-2 e quando serve per il match sembra la solita storia di sempre: break Serena e 4-5. Ma invece no, Serena ha la palla del 5 pari, non la sfrutta e cede al primo match point. Durante la premiazione Williams sembra sollevata, ride e applaude.
A Indian Wells la storia si ripete. Travolge la Halep, si libera con qualche fastidio di Radwanska ma trova la migliore Azarenka di sempre, quella che poi preferirà dedicarsi alla riproduzione. La bielorussa vince senza troppi problemi e a Miami tocca invece alla rediviva Kuznetsova travolgere Serena dopo un primo set perso al tiebreak. Serena arriva a Roma senza aver ancora vinto un torneo e si comincia a pensare che forse le cose stanno cambiando. Ma non è ancora il momento e lo si capisce quando Svetlana subisce una dura lezione nei quarti. Nel derby generazionale contro Madison Keys, Serena sembra materna ma il risultato non è mai realmente in discussione. È tornata. In effetti è finale anche a Parigi ma il percorso è decisamente accidentato. Persino Yulia Putintseva le porta via un set e contro Garbiñe Muguruza è favorita ma fino ad un certo punto. E quando la spagnola vince in due set non sono in troppi ad essere sorpresi. Serena gioca sempre meno, l’erba di Wimbledon sembra rimettere le cose a posto ma è una mezza illusione. Alle olimpiadi basta Elina Svitolina per estrometterla dal torneo, a New York Simona Halep le porta via un set e in semifinale Pliskova sembra semplicemente più forte. Vince Karolina in due set, Serena è costretta a lasciare il primo posto in classifica. Sparisce di nuovo, tornerà. Ma non è più la favorita di ogni torneo, c’è troppa gente che può batterla.
Il ritorno fallito di Rafa
Il 2015 di Rafael Nadal era stato orribile, certo, ma il 2016 poteva essere peggiore? Sì che poteva, e così è stato. I suoi tifosi speravano nel Roland Garros, il decimo in carriera, il tassello che poteva tranquillamente valere il ritiro, e invece Rafael non è riuscito ad arrivare alla seconda settimana del torneo di Parigi. Si è ritirato per un dolore al polso, fallendo per la prima volta in carriera l’appuntamento con i migliori 16 a Parigi. Non che in Australia le cose fossero andate meglio: Nadal aveva perso al primo turno contro Fernando Verdasco, in una partita magnifica ma che comunque marcava il suo inizio di stagione come fallimentare. Il fiasco di Parigi poteva forse essere mitigato a Wimbledon? No, e infatti Nadal si è tenuto a debita distanza dall’erba londinese, preferendo tornare in campo sul cemento americano. Una magra figura a Cincinnati era il viatico per l’ennesimo fallimento di stagione, questa volta sul palcoscenico grosso, gli US Open. Lucas Pouille a fine anno si segnalerà come uno dei cosiddetti giovani più interessanti del circuito, intanto metà degli appassionati di tennis lo scoprono quando batte Nadal al quinto set nei sedicesimi di finale. Ancora una volta Nadal non arriva alla seconda settimana di uno Slam. Di lì a poco, con Federer già in montagna a fare trekking, Nadal chiamerà la fine della sua magra stagione. Il 2016 è archiviato nel faldone “annate storte”, che sono già due e chissà il 2017 dove sarà catalogato.