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Una sconfitta come troppe

Dopo due ore e mezza di tennis sotto al sole di Miami, quello stesso sole che l’altro ieri ha costretto al ritiro nientemeno che Sua Fisicità Rafael Nadal, sembrava che Horacio Zeballos non ne avesse più. Nel primo set, Fernando Verdasco ha fatto vedere tutte le sue buone intenzioni e lo ha breakkato per tre volte, senza fargli toccare palla quando era al servizio. Poi è bastato un game di distrazione e la partita è cambiata, come è successo tante altre volte. Verdasco ha tenuto il servizio nel terzo, nel quinto, nel settimo e nel nono game cedendo complessivamente due punti. Zeballos, dopo i tre break di fila, ha rischiato il quarto break ma se l’è cavata in qualche modo. Nel decimo game ha chiuso al secondo set point. La differenza l’ha fatta il primo game. Un game che, come si suol dire, contiene tutto Verdasco: prima manda lungo un dritto facile, poi commette due doppi falli e alla seconda palla break perde per la prima e ultima volta il servizio. Zeballos ha dovuto giocare un punto per vincere il game, al resto ci ha pensato il madrileno.

Il resto del match non servirebbe nemmeno raccontarlo. Zeballos e Verdasco giocano un terzo set che dura un’ora e ventisei minuti e nonostante qualche palla break, nessuno dei due riesce a vincere il game in risposta che sbilancerebbe un equilibrio ormai consolidato. Zeballos non vince nemmeno un game a 0 o a 15; Verdasco invece, sul finire del parziale sembra più fresco e infatti tiene a 0 il famoso settimo game – è una fama ingiustificata, del resto – e quello del 6-5. Zeballos deve faticare per conquistarsi ogni punto e allora ci pensa Fernando a dargli una mano, sbagliando tre dritti uno più facile dell’altro sul 4-4. Non basta nemmeno quello anche perché l’argentino risponde alto e cortissimo. È il game in cui Zeballos comincia a piegarsi sulle gambe: non sembra stia bluffando, però, perché comincia a tirare più forte che può e sul 5-4 chiede l’intervento del massaggiatore, che tornerà anche due game più tardi. Sul 6-5 Zeballos sembra ormai al capolinea. La visiera del suo cappellino rosso suda come quella di Roddick. Sotto al cappellino c’è un tennista ormai stravolto, che si prende più di trenta secondi tra un punto e l’altro. Verdasco, che dovrebbe pensare a rallentare, ovviamente tira ancora più forte e sbaglia sempre di più. È così che si arriva al tie-break, perché sul match point che Verdasco riesce a conquistarsi, Zeballos trova l’angolo giusto per mandare fuori giri il dritto già poco affidabile del suo avversario.

Non sembra possibile che Fernando Verdasco possa perdere davvero questa partita. O meglio, non sembra possibile a chi non l’ha mai visto giocare. Nel tie-break va avanti 2-o, poi perde cinque punti di fila in cinque modi diversi, recupera fino al 6-4 e poi perde. Il bello è che Fernando, sul match point, fa finalmente tutto bene. Non si fa trascinare dallo sconforto di aver lasciato andare la partita, lo spagnolo, ma anzi ragiona e cerca di spostare l’avversario per costruirsi lo spazio in cui infilare il vincente. Purtroppo, però, perde l’attimo e quando Zeballos si presenta a rete è costretto a giocare due passanti. Il secondo, dirà il falco, non è buono. Ma Verdasco già lo sapeva. Quante partite come questa avrò perso?, si stava probabilmente domandando lo spagnolo, mentre il suo stremato avversario stringeva la mano di Mohamed Lahyani. Chissà se era più incazzato con sé o con il suo avversario e il suo presunto infortunio. Preso dai suoi pensieri, non ha nemmeno stretto la mano all’arbitro. Il pubblico, che per tutto il match ha sostenuto il lucky loser, non lo ha perdonato. Forse non ha sentito i fischi, oppure sì e se n’è fregato. Ancora una volta si è trovato al posto giusto nel momento giusto, eppure è riuscito a perdere.

L’occasione colta da Zeballos, che prima del ritiro di Roger Federer non era nemmeno in tabellone perché aveva perso all’ultimo turno delle qualificazioni, coincide con l’ennesima opportunità sciupata da Verdasco, il tennista che ricorderemo più per le sue innumerevoli sconfitte piuttosto che per le sue sofferte vittorie. Quel dritto mancino così potente, quegli angoli che in un’estate australiana del 2009 contribuirono a costruire una delle più belle e chiacchierate partite del decennio, quel servizio che da sinistra ti può mandare sugli spalti sono solo alcuni tasselli di questo tennista così bello e disgraziato. Il resto del puzzle è fatto di debolezze, insicurezze, un milione di rimpianti. Verdasco, che tutto sommato ha vinto sei titoli, è stato top-10 e si è trovato ad una manciata di punti dal giocare una finale in uno Slam, ha perso una partita che doveva vincere. È una sconfitta come troppe. In ogni sua sconfitta, però, c’è un pezzettino di noi che non può impedirsi di tifare per lui. I titoli, domani, saranno tutti per quel tennista che stava chiudendo la zip del suo bagaglio, pronto per giocare l’ennesimo challenger di una carriera onesta, quando l’hanno avvisato che avrebbe dovuto giocare contro Juan Martín del Potro al secondo turno del Master 1000 di Miami. Tre giorni dopo si ritrova agli ottavi e con un assegno che vale più di quelli che avrebbe staccato vincendo sette challenger. È una bella storia ma dalla fortuna di Horacio Zeballos abbiamo imparato ben poco, se non quanto possa essere capriccioso il destino. Nemmeno Fernando Verdasco ci ha insegnato qualcosa che già non sapessimo. Ma non possiamo fare a meno di specchiarci ancora una volta sui suo rimpianti dicendoci che la prossima volta, forse, andrà meglio. Perché un pezzettino di Verdasco è dentro ognuno di noi, anche se non vogliamo ammetterlo.

ATP Miami 2016 Fernando Verdasco Horacio Zeballos


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