Abbiamo problemi con la gente.
By Salvatore Termini Posted in monografie on 17 Febbraio 2016 8 min read
Il 27 giugno del 2007 la testa di serie numero 1 del torneo di Wimbledon, Roger Federer, affronta un giovane argentino altissimo e, come si usa dire, dinoccolato. È un ragazzo di 18 anni, alto 196 centimetri, con un gran servizio e un violentissimo dritto. Poco altro a dire il vero, perché il numero 56 del mondo dalla parte del rovescio fa molta fatica; e ha notevoli problemi, acuiti dal campo in erba, negli spostamenti. Soprattutto, fa una fatica enorme per abbassarsi, e anche in questo caso l’erba non l’aiuta perché, per quanto possa essere cambiata, i rimbalzi rimangono estremamente bassi. Il ragazzo non è troppo fortunato, in un paio di mesi è incappato per ben tre volte su Rafael Nadal, persino al Roland Garros, e lo spagnolo lo ha trattato maluccio. Inoltre, l’argentino, ha collezionato addirittura tre ritiri in quattro mesi. Chissà se crede ai segnali.
Quel 27 giugno Juan Martín del Potro cede naturalmente in tre set. Nonostante tutte le difficoltà, nel secondo set riesce a vincere 5 game. Giocando soltanto col servizio e col dritto. Dopo Nadal a Parigi e Federer a Wimbledon, non poteva che essere il turno di Djokovic a New York. Non è il cannibale di questi tempi ma è pur sempre uno che arriverà in finale e pure lui bistratta il ragazzone di Tandil, ormai alla soglie dei 19 anni. Ma nel frattempo cominciano ad avvertirsi sinistri scricchiolii. Del Potro si ferma subito dopo gli Australian Open, ricomincia, si ritira dagli internazionali di Roma. Il tempo di perdere di nuovo da uno svizzero a Wimbledon e poi, improvvisamente, non perde più. Vince in Europa e in Nord America, arriva a New York e sarà l’ultimo dei Fab Four, Murray, a fermarlo. Perde solo col vincitore del torneo o col finalista negli slam, il che significa anche che ad appena 20 anni, diventa un top 10.
Delpo è sgraziato, non ha né le movenze di un artista né un incredibile capacità di corsa ma ha una caratteristica che pare importante: non crede di essere meno forte degli altri. Il ragazzone dinoccolato con lo sguardo triste in campo si rende protagonista di un’infinità di soliloqui. Quando Federer in Australia gli concede solo 3 game – in un quarto di finale – la sua reazione è di incredulità. Lo insulta, non comprende come sia possibile che «ese hijo de puta nunca comete un error». Nel frattempo migliora. Si arriva a Miami. Ai quarti di finale. Contro Nadal.
È il più terribile dei Nadal, quello che ha ridotto alle lacrime Federer, che gli ha lasciato appena sei game a Indian Wells, che non perde mai, mai e poi mai. Mai. Juan invece, fino a quel punto della sua carriera, ha vinto un solo set, contro il più debole dei Fab4. Poi solo sconfitte e anche nette. Sul 4-3 per Nadal nel primo set lo spagnolo ha una palla break. La solita vecchia storia: buona prima, risposta un po’ corta e poi nei pressi della rete l’altissimo Juan Martín gioca un colpo molto goffo. Nel punto successivo Nadal riesce a impostare lo scambio sulla diagonale dritto-rovescio, va a rete per chiudere il punto ma la volée gli viene male e sul dritto dell’argentino. Inutile dire come finisce.
La velocità del diritto di del Potro non ha eguali
Nel game successivo però succede l’imprevisto. Nadal si distrae, perde il servizio e il set. Addirittura Nadal, l’imbattibile Nadal, va sotto di un break pure nel secondo. Ma è il terribile Nadal, e dall’1-2 in pochissimo tempo Nadal vince otto game (a uno) e si ritrova avanti nel terzo set per 3-0 e due break. Ma Juan Martín, tra un imprecazione e l’altra, «manda allí también esta, maldito» tra uno spaventoso dritto e un terribile servizio prima si porta sul tre pari e poi sul 6-5 e servizio Nadal arriva persino a giocarsi il match point per tre volte. Nadal tira fuori due ace e va al tiebreak. Adesso sembra facile, ma c’erano dei giorni in cui Nadal sarebbe corso fuori dallo stadio piuttosto che farti vincere il tiebreak decisivo di una partita così. Nadal va avanti di un minibreak in un modo che ucciderebbe chiunque: prima spaventosa, risposta a come viene, palla che si impenna sul nastro e cade dall’altra parte: 3-2. Forse è qui che nasce del Potro, perché quello è l’ultimo punto di Nadal. L’argentino riesce a tirare dei dritti spaventosi anche dopo i 30 scambi e Nadal è costretto ad arrendersi.
Sembra la svolta, l’arrivo di un campione, e nello slam successivo, a Parigi, ha la possibilità di prendersi la rivincita con Federer. Va in modo molto diverso rispetto a Melbourne, ma alla fine vince lo svizzero, recuperando da due set a uno. A Wimbledon non va tanto meglio, poi la stagione nordamericana produce altre soddisfazioni, una meriterà qualche riga nel finale.
Alle Finals di fine anno del Potro arriva fino alla finale, ma perderà contro Davydenko e poi, dopo un discreto Australian Open, si fa male al polso. Sta fuori praticamente per un anno, esce dai primi duecento, torna solo nel 2011. Gioca a spizzichi, impreca come sempre, ma perde. Perde con Djokovic e con Nadal, dopo lo US Open si fa male di nuovo, ma in qualche modo torna a giocare dei grandi match. Ma quando c’è da perdere, purtroppo perde. Federer riesce a batterlo solo quando conta poco, con Djokovic va persino peggio, Nadal ogni tanto sparisce, ma se torna vince lui. Arriva in semifinale alle Olimpiadi, altra gran partita e ovviamente altra sconfitta. Nel 2013 finalmente riesce a far partita quasi pari con Djokovic. Quasi, appunto, perde al quinto set, forse regalando un altro titolo a Murray. Ogni tanto vince un torneo, e sempre impreca. Nel 2014 si ferma, arriva l’operazione al polso. Ne farà altre due dopo quella. L’ultima partita giocata è quella di Miami persa contro Pospisil. Poi l’ultima operazione.
In questo racconto sono sparite due settimane, quelle che vanno dal 31 agosto al 13 settembre. Si giocano gli US Open e del Potro è la testa di serie numero 6. Gioca la prima partita il 2 settembre e concede solo 7 game a Pico Monaco. Due giorni dopo batte anche Melzer poi il 6 settembre concede un set a Kollerer. Fino agli ottavi di finale, contro Ferrero, battuto in tre facili set, del Potro non gioca mai sull’Artur Ashe. Ci approda finalmente al turno di successivo, ai quarti di finale. In genere ci si trova di fronte un Fab, ma Murray perde con Cilic e quindi sarà il croato a battezzare l’ingresso nel centrale di New York dell’argentino. Cilic vince il primo set ma poi viene travolto, del Potro arriva così al cospetto di Rafael Nadal. Dalla partita di Miami sono passati 160 giorni e una vita di Rafa. Rafa ha perso a Parigi per la prima volta, è così costernato da saltare persino Wimbledon. I tornei nordamericani sono un supplizio perché lo spagnolo è in preda ad uno suoi misteriosi periodi di deficienza fisica. Che non gli impediscono di vincere contro avversari “normali”, Rafa perde a Montreal proprio con del Potro lottando un solo set e a Cincinnati contro Djokovic, ma soffrendo le pene dell’inferno arriva in semifinale. Si parla di addominali strappati, Nadal viene travolto dall’argentino, vince appena sei game. Juan, dopo la finale a Cincinnati arriva in una finale Slam. Di fronte a lui c’è Roger Federer, quello che “nunca comete un error”. Federer è in stato di grazia, vince il primo set 6-3, fa subito il break nel secondo, ha varie occasioni per il doppio break, serve per il secondo set sul 5-4 e va 30-0. Del Potro vincerà quella partita e vincerà quello Slam.
In questo incontro, dominato da un giocatore e vinto dall’altro, c’è la radice del rimpianto di questi anni per Juan Martin del Potro. L’unico tra i normali che se gioca contro Federer, Djokovic, Murray, Nadal pensa di essere più forte di tutti loro, qualsiasi cosa dica il punteggio. E che se si trova sotto impreca, sbraita, non se ne fa una ragione. Non ci crede. E per vie misteriose l’incredulità si trasferisce allo spettatore che finisce col non comprendere perché mai questo lungagnone argentino dal terribile dritto non stia vincendo la partita che sta guardando. Del Potro, con la naturalezza dei puri di cuore, ha avuto la capacità di convincere che stavamo assistendo a qualcosa di ingiusto quando perdeva. Ci ha aggiunto la schiena malandata e il polso a pezzi, per convincerci che è lui il vero sfidante di Novak Djokovic e di chiunque altro pensi di essere il numero uno del mondo. Per questo è tornato. Stanotte a Delray Beach, il numero 1041 del mondo ha battuto Denis Kudla, che non è mai arrivato a 40 quando rispondeva. La sfida è lanciata.