Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in monografie on 16 Novembre 2015 7 min read
C’è un periodo di tempo, limitato, in cui l’accesso alla O2 Arena è impedito. Questo periodo va da quando termina il primo singolare della giornata fino all’inizio del secondo doppio, in programma verso le 18. I match a quattro non durano mai troppo da quando è stato introdotto il tiebreak a dieci punti del set decisivo. E quindi, se il match di singolare dura più o meno quindici game, c’è qualche ora in cui gli ingressi della cavea vengono chiusi. Non ai giornalisti però, che possono entrare comunque e guardare i giocatori allenarsi.
Quando apriamo la porta, superato il cordone rosso, dentro siamo noi e pochi intimi, oltre ai giocatori. Roger si allena con Gasquet, riserva di lusso a Londra. Prova i servizi, tira qualche risposta e sembra molto centrato. Lo svizzero sembra rilassato, protetto ai lati dietro di lui da Stefan Edberg e Severin Lüthi, i quali usano la racchetta solo per passargli le palline da scagliare nel quadrato della battuta a tutta velocità. Berdych che approccia il cancelletto d’ingresso al campo per scaldarsi è il segnale che la sessione di Roger è finita. Intanto, si aprono le porte, il pubblico vede Federer e scende veloce dalle gradinate per conquistare la prima fila, sperando che Roger passi a siglare le palline giganti o i poster. Lo svizzero saluta Gasquet, rimette la tuta, e non fa soste passando davanti al folto gruppo di tifosi che lo chiama. I tifosi, gli stessi che ogni anno da tredici anni lo eleggono come giocatore più amato, rimangono un po’ delusi mentre stringono sulle loro spalle le bandiere della Svizzera.
Quando si rientra nell’arena, qualche ora dopo, il doppio è finito. I posti liberi sono pochi. Lo speaker annuncia nel buio: “Ladies and gentleman, the stage is set. Let the show begin”. I raccattapalle raggiungono le posizioni e guardano fieri un punto fisso di fronte a loro, con le braccia incrociate dietro la schiena, mentre la folla li applaude. Le luci sono basse, c’è giusto un faro che mostra il percorso all’arbitro, che prende i suoi applausi mentre si dirige in postazione. Poi arriva il buio quasi totale, solo i flash degli smartphone per registrare foto e video. Gli schermi proiettano i giocatori nelle loro pose più classiche, immagini che aumentano l’hype come dicono da queste parti, l’aspettativa. Partono gli applausi, poi torna il silenzio. Si sente il suono di un cuore che batte e la folla segue il ritmo battendo le mani. Il battito rallenta ed entra l’avversario di Roger.
La presentazione da parte dello speaker di ogni avversario di Roger Federer prende pochi secondi: difficile trovare uno più titolato di lui nel circuito. Quando tocca a lui, sembra di assistere alla presentazione di Apollo Creed contro Rocky Balboa in Rocky I. La folla ha gli occhi vispi e si produce in un “ohhhhhhh” che arriva a coprire la voce dello speaker per poi esultare quando questo pronuncia l’ultima frase: “from Switzerland, welcome Roger Federer”. Tripudio. Due persone su tre hanno le braccia protese in avanti, reggono lo smartphone con cui registrano il video dell’ingresso in campo del Divino.
Roger saltella e si guarda i piedi mentre l’arbitro elenca le regole per la milionesima volta. “If you want to challenge the call let me know immediately. Any question?”, dice l’arbitro. Le luci finalmente fanno giorno sul campo e Roger inizia a scaldarsi colpendo praticamente di mezzo volo per tutto il riscaldamento, senza forzare mai. Si ferma quando l’arbitro chiama il “two minutes” per togliersi il giubbino della tuta visto che deve provare il servizio.
Il primo punto di Federer arriva subito, ma è un errore dell’avversario e la folla cerca di contenersi. Lo svizzero veste di nero, è elegante nella sua mise. Quando guadagna il primo punto con suo merito, gli spalti liberano urla di gioia. Gli stessi spalti vanno in apprensione se Roger va sotto 0-30. E hanno paura quando lo vedono cedere un turno di servizio. Gli vogliono veramente bene, hanno imparato ad amare il suo gioco nel corso della lunga carriera e ora cercano di proteggerlo contro gli avversari che vogliono batterlo sperando nella complicità del tempo che passa.
Ad un certo punto Roger tira un lungo linea forte di diritto che butta l’avversario indietro in recupero. La palla torna nella sua metà campo, forte ma non troppo. Bisognerebbe colpirla d’incontro verso il lato scoperto del campo per prendere la rete. Roger inizia il movimento di rovescio e poi lo interrompe improvvisamente: taglia sotto con il back per una smorzata vincente e deliziosa. Il pubblico applaude col sorriso ebbro di gioia. Lo svizzero riesce a far capire ai suoi tifosi che i suoi colpi sono frutto del talento, sì, ma anche dell’intelligenza tennistica in suo possesso: i lanci di prima di Totti nello spazio aperto, la volée stoppata di Paire, e poi tante cose di Federer. Quando Roger si appresta a colpire, tentando di mandare in contropiede l’avversario, c’è un attimo, infinito per chi riesce a coglierlo, in cui il suo braccio inizia un movimento del colpo ma la testa non ha ancora deciso dove andrà la pallina. Il braccio disegna in aria la traiettoria mentre tutti gli altri oggetti si muovono, pallina, avversari, sguardi del pubblico. La testa di Roger è lì che calcola tutte le variabili e quando c’è da impattare lui decide: parte l’impulso e il polso curva improvvisamente verso l’alto. Così, un diritto ad uscire diventa incrociato. Il suo avversario ferma sconsolato la corsa nella direzione verso la quale la palla non c’è e mai arriverà.
Quando il Divino recupera uno svantaggio, specie se con un avversario in teoria più debole, i suoi tifosi liberano la gioia, perché il giusto in campo è ristabilito. È la stessa cosa che pensa Roger che, spesso, vede gli avversari come impedimenti a quello che gli spetterebbe, la vittoria. Quando il migliore riesce a chiudere il set, la tranquillità contagia tutti. Il primo a esserne contagiato è proprio lui, il cavaliere nero della O2 Arena. Il braccio diventa ancora più fluido, il punteggio ancora più sicuro e i colpi più vari. Arrivano le prime volèe, i primi avanzamenti a rete.
“Let’s go Roger, let’s go!” urlano dagli spalti, con il coro che si rimpalla negli angoli della cavea. Federer ora è rilassato e in controllo, e la partita è diventata più spettacolare. Durante i cambi di campo anche il pubblico mostra di essere rilassato, si abbraccia quando è inquadrato dalle telecamere o fa ondeggiare in aria i flûte di champagne se si è seduti nei palchi degli sponsor. Le bandiere della Svizzera sventolano, l’avversario si è sgretolato e c’è solo da condurre in porto il match, facendo accademia. Roger allora avanza, gioca con i piedi sulla linea e colpisce sempre di più di controbalzo; smorza e segue a rete per tagliare il campo ai recuperi dell’avversario e poi si ricorda che negli ultimi mesi faceva questa risposta con i piedi a ridosso della linea del servizio denominata poi SABR. Ne prova un paio, una gli riesce, l’altra forse no, ma intanto conferma che è di moda anche in autunno inoltrato. Il pubblico impazzisce e sente il bisogno di comunicare al mondo Internet che si è manifestata la SABR anche a Londra.
E pazienza se alla fine tocca accontentarsi solo di questi tocchi, questi lampi che svegliano il torpore di una partita che è magari sonnolenta, o non combattuta. Sono match in cui non si rischia, in cui si vede il proprio beniamino maramaldeggiare sull’avversario che più che attore non protagonista è ridotto al ruolo di comparsa. Succede spesso così con Federer, la colpa non è sua e ai suoi tifosi va bene anche così.