Abbiamo problemi con la gente.
By Salvatore Termini Posted in spotting on 16 Febbraio 2025 7 min read
Quel che resta non è silenzio. L’accordo tra Jannik Sinner e l’Agenzia mondiale Anti-Doping (World Anti-Doping Agency, WADA) ha messo fine alla vicenda cominciata più o meno un anno fa, quando il tennista italiano venne trovato positivo per due volte al Clostebol, sostanza che ormai abbiamo imparato a conoscere. Sottoposto ad una sospensione lampo, revocata con un’altra decisione rapidissima, lo scorso agosto il tribunale finanziato da ATP, WTA, ITF e tornei dello Slam (l’International Tennis Integrity Agency, ITIA) aveva sancito che Sinner era stato vittima di una serie di circostanze giusto un pelo meno verosimili di quelle che avevano costretto Jake Blues ad abbandonare sull’altare la misteriosa donna interpretata da Carrie Fisher.
Purtroppo per Sinner, queste circostanze non lo salvarono da una pena, seppur lieve, perché il suo staff aveva commesso degli errori di cui, per regolamento, è responsabile il giocatore.
La WADA, pur accettando la ricostruzione, ha fatto ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) perché l’entità della pena è stata giudicata troppo lieve, a norma di regolamento, chiedendo che si uniformasse a casi simili e quindi venisse comminata una squalifica da uno a due anni. Per evitare il processo a Losanna, sede del TAS, Sinner e la WADA hanno patteggiato una squalifica di tre mesi, che costringerà il giocatore a saltare lo swing americano (Indian Wells e Miami) e i primi due tornei sulla terra rossa (Montecarlo e Madrid). Sinner rientrerà agli internazionali di Roma e non salterà nessuno slam.
Questa la fredda cronaca (abbiamo già fatto una ricostruzione più accurata della vicenda), come si dice.
Tutto risolto quindi? Dal punto di vista normativo sì, ma inutile dire che l’epilogo sembra fatto apposta per proseguire l’inesauribile dibattito sulla colpevolezza o meno del giocatore. Non che questo dibattito abbia fin qui brillato per raffinatezza argomentativa, visto che sostanzialmente si è focalizzato sulla simpatia o meno del giocatore. I tifosi di Sinner lo hanno visto come una madonna immacolata che il mondo – brutto, cattivo e rancoroso – vuole far cadere nella polvere non riuscendo a batterlo sul campo; gli haters – e, ci è parso, quelli meno succubi del tifo – come un mefistofelico delinquente che ha violato i sacri principi dello sport ai quali invece tutti gli altri giocatori pedissequamente si allineano.
Inutile dire che una polarizzazione del genere rende sostanzialmente impossibile elaborare una discussione meno infantile, però magari non tutti sono soddisfatti di portare il cervello all’ammasso e chissà, potrebbe far piacere cercare di interpretare quanto è accaduto in modo vagamente più articolato. Ci proviamo con la consapevolezza che non ci salveremo dagli strali degli uni e degli altri ai quali non possiamo che chiedere di passare oltre: se siete convinti che Sinner sia un povero ragazzo perseguitato dall’invidia o se – viceversa – sia a capo di una gang criminale che si è impossessata del mondo del tennis andate pure oltre, decisamente non è un articolo per voi.
Non possiamo che partire da lontano. Cos’è il doping e perché si cerca di contrastarlo? Per doping la Treccani intende l’assunzione di sostanze che migliorano le prestazioni sportive spingendo il fisico al di là dei suoi limiti, ma che al tempo stesso danneggiano gravemente la salute. Quindi è una assunzione di sostanze. Sostanze che 1) migliorano le prestazioni e 2) danneggiano la salute. Il motivo per cui si cerca di contrastarlo non è, in prima istanza, il motivo numero 1 ma il numero 2. Sono provvedimenti che tendono a salvaguardare la salute dell’atleta. La legge italiana (l. 376/2000) per esempio ha il titolo “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”. Il motivo per cui nella confezione di Trofodermin acquistata da Umberto Ferrara c’era scritto chiaramente “DOPING” era dovuto a questa legge.
Più o meno naturalmente il mondo sportivo sembra invece più interessato al motivo numero 1 della definizione della Treccani, quello che fa riferimento al miglioramento delle prestazioni. In un’ottica che è difficile non definire distopica l’idea è che gli atleti si ammazzino pure, se proprio vogliono, ma che questo non dia loro un ingiustificato vantaggio sugli altri.
Ma invece di semplificarsi il problema si complica perché “sostanze che migliorano le prestazioni” vuol dire troppe cose e potenzialmente non lascia fuori nessun farmaco. L’esempio abusato è quello del caffè, di cui si conoscono anche gli effetti sulla salute ma che nessuno si sognerebbe mai di inserire nell’elenco delle sostanze proibite.
Il mondo sportivo risolve queste questioni accordandosi su un elenco di sostanze proibite. Come queste vengano inserite nell’elenco WADA meriterebbe altra discussione ma limitiamoci ad accettarlo.
Ora, lotta al doping sostanzialmente significa “lotta alle sostanze proibite” e quindi tutte le analisi tendono a trovare queste sostanze nell’organismo. Ci sono due modi per rilevare queste sostanze: trovarle direttamente nelle analisi del sangue o dell’urina; dedurle da valori anomali di sostanze contenute nel sangue, ad esempio emoglobina, ematocrito o reticolociti.
Per “valore anomalo” si intende un valore che va sopra la soglia “normale”. Prendiamo il caso dell’ematocrito, che segnala la presenza dei globuli rossi nel sangue. Si tratta del rapporto tra i corpuscoli del sangue e la percentuale di volume sanguigno complessivo: Questa percentuale si aggira normalmente il 41% e il 50% per gli uomini (tra il 36 il 44 per le donne). Sopra il 50,1% si sospetta che possano esserci sostanze dopanti in circolo. Attenzione: si sospetta, perché anche quello può essere un valore normale. Gli sportivi professionisti hanno naturalmente valori più alti, derivanti dall’allenamento più intenso della media. Tutti quanti, in genere, hanno un valore molto vicino al valore più alto della forbice e se “sforano” non è detto che sia doping.
Il problema è che non esiste sportivo che non accompagni alla attività fisica un’attività chimica “lecita”: dai semplici integratori ai farmaci non espressamente proibiti dalla WADA. Lo fanno naturalmente con mille cautele, perché uno sportivo professionista è una vera e propria azienda anche nel caso degli sport individuali. Di questo aspetto è ovvio che si occupino esperti di cui il giocatore si fida e che hanno il compito di preparare al meglio la macchina che poi andrà a giocarsi le partite.
Questo processo, sommariamente e superficialmente descritto, non riguarda questo o quel giocatore ma lo stato dello sport professionistico di alti livelli, dal calcio all’atletica, dal ciclismo al basket. E naturalmente anche il tennis.
Si comprende quindi quanto, nonostante l’orientamento favorevole della pubblica opinione e degli addetti al settore, dire “facciamo la lotta al doping” sia argomento quanto mai scivoloso. Già al netto delle patologie (provette scambiate, esami non perfetti, influenze di questa federazione o di quell’agenzia) non è semplice, figuriamoci se intervengono altri fattori.
Qui si trattava del numero uno di uno sport tra i più popolari del mondo che ha un valore di mercato enorme. RItenere che si potesse risolvere la questione seguendo un rigido protocollo è suggestivo ma abbastanza irrealistico. Gli attori coinvolti non sono soltanto Sinner e la WADA ma l’intero movimento tennistico, dagli altri giocatori agli organizzatori dei tornei, dalla stampa specializzata alle federazioni, dalle televisioni agli sponsor. SI è trattato sin dal primo momento di valutare i danni che la vicenda poteva fare ad una serie di stakeholders che rischiavano quanto Sinner, forse persino di più. E questo nella consapevolezza che Sinner non stesse, non stia, facendo niente di troppo diverso da quello che fanno tutti gli sportivi in queste condizioni.
La soluzione trovata è stata quella che a giudizio degli attori coinvolti poteva minimizzare il danno. Si è somministrata una sanzione; si è permesso al giocatore di dirsi tutto sommato innocente; si confida che la pubblica opinione accetti di circoscrivere la questione.
Se hanno avuto ragione ce lo dirà solo il tempo.
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