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Con il sole di ottobre ritorna la Coppa dei Castelli

Il torneo di doppio più romano che c'è inizia in trasferta per il nostro club.

Il torneo di doppio più romano che c'è inizia in trasferta per il nostro club.

La stagione dei professionisti del tennis volge al termine, non mancano le solite interviste in cui i campioni alzano la voce contro un calendario estenuante, i troppi tornei, le settimane di riposo che si contano sulle dita di una mano, e quei pochi, agognati giorni di sole e mare. Ma mentre i titani della racchetta si lamentano, le “pippe” di quarta categoria e le semi-pippe di terza si preparano all’inizio del loro viaggio. È ottobre, e prende il via il torneo più autenticamente romano che esista: la mitica Coppa dei Castelli Romani di doppio. 

Ripresi gli allenamenti, dopo un mese intero senza aver toccato la racchetta, è tempo di organizzare una squadra per questo torneo di doppio che si gioca al meglio dei tre match ogni sabato pomeriggio; al circolo c’è oramai un gruppo affiatato, tutti terza categoria con i quali abbiamo giocato anche la D1 centrando una salvezza tutt’altro che scontata, nessuno è tanto più forte di qualsiasi altro, io faccio un po’ da riferimento e raccolgo le richieste per chiedere al maestro del circolo di iscriverci al torneo. Siamo tanti, il nostro club farà due squadre, noi chiaramente siamo la squadra B, quella dei reietti. 

“Oh ve lo dico subito: io chiedo al maestro di iscriverci ma poi dobbiamo esserci eh, non è che i weekend poi avete i cazzi vostri e ciao squadra” dico a ogni singolo giocatore, in risposta ottengo “Ma certo, figurati!”. Siamo in sette, quando la squadra è iscritta e la chat di gruppo formata dal maestro inizia ad animarsi, io mando il primo messaggio “Allora chi c’è sabato 28 in trasferta al Nuovo Tuscolo?”.

“Io sono con la famiglia a Genova” risponde uno, “Io e mio fratello abbiamo da fare nelle Marche”, eccoli qui, i professionisti dei cazzi loro. Partono i primi strali, io e Marco siamo ovviamente presenti così come i due ragazzini che il maestro ci ha messo a disposizione, Giulio e Andrei. Andremo in quattro. 

I problemi del fare le squadre quando si è adulti sono questi, impegni famigliari da incastrare, figli da seguire, mogli da non far arrabbiare. Ci sono giocatori che mettono il tennis davanti a tutto, poi ci sono gli altri. Sono quelli che la domenica mattina scappano dal circolo alle 11 che c’è la messa, che al pomeriggio devono andare a fare la spesa oppure devono presenziare in maniera coatta a feste di compleanno o esibizioni di sport minori. Io amo dire di me che sono una persona super equilibrata in questo, che riesco sempre a fare tutto “non togliendo tempo alla famiglia”. Quando lo ripeto a casa, con tono assertivo, mia moglie è altrettanto determinata: “Ma in che cazzo di realtà credi di vivere tu che non salti mai una cazzo di partita di questo sport del cazzo?”. Appunto. 

Arriviamo al circolo e mentre carichiamo le borse in auto apprendiamo che la squadra di quarta categoria della Castelli, già sorteggiata nel girone, è stata appena cancellata perché non sono riusciti a trovare cinque o sei persone per andare a fare questi tre doppi. Il maestro del circolo è arrabbiato, il capitano della squadra pure. Chissà che c’è di meglio che godersi il sole di settembre e ottobre a Roma il sabato pomeriggio alle due e mezza, bah. 

La squadra avversaria ha un paio di giocatori forti, due ragazzi classificati 3.1, non ci sono infatti limiti di età in questo torneo. Fare la formazione a questo giro è abbastanza semplice. Farò giocare i nostri due ragazzi Giulio e Andrei come seconda coppia (non contano le classifiche per gli accoppiamenti), verosimilmente incontreranno il loro doppio debole, io giocherò il primo doppio con Marco, tipo kamikaze per salvare gli altri. 

Alla fine di questi ragazzi forti il Nuovo Tuscolo ne schiera solamente uno, un mancino con un gran servizio e un gran dritto arrotato che rimbalza alto e profondo. Io e Marco, feticisti del rovescio ad una mano, impieghiamo l’intero primo set per capire come rispondere a questi servizi, che ci fanno colpire sul lato sinistro sempre ad altezza spalla. Non riusciamo praticamente mai a rimetterla, non arriviamo mai a 40 sul servizio del mancino, che rende la vita facile al suo compagno, un onesto terza categoria che trasforma inesorabilmente in punti le nostre risposte lente e poco angolate.  

Io vivo un periodo nel quale gioco a tennis senza pretese, la situazione ottimale. Non faccio un torneo di singolare da sei o sette mesi, sono tornato in ufficio tre volte la settimana e quindi neanche gioco tanto, sono concentrato su altri cazzi della vita, roba reale, tipo dove rimediare del tritolo per farmi esplodere nella sede più vicina dell’Agenzia delle entrate, che evidentemente vuole che metta gli organi del mio corpo umano su subito.it. Attendo la retrocessione alla classifica di 3.3 a fine anno con serenità, sono convinto che rispecchia appieno la mia mediocrità: a metà tra seconda e quarta categoria e a metà tra 3.1 e 3.5. Roba da andare dallo psicologo, lo so bene. 

Non riesco mai a far partire lo scambio in questo doppio, la cosa peggiore per uno come me, un giocatore di ritmo. Perdiamo il primo set per 6-2, non riesco neanche a battere bene, sto già pensando al terzo doppio perché capisco che i due ragazzini stanno vincendo facile sul campo di fianco. Miglioro nel secondo set, finalmente riesco a scambiare da fondo campo sulle diagonali, servo meglio, faccio un ace, tengo due volte su due il servizio nel secondo set ma Marco scende di rendimento. Non abbiamo chance, il 6-2 6-3 è netto e giusto. Con lo stesso punteggio, i ragazzi ci portano al doppio decisivo per la vittoria nella prima giornata. 

Andrei è un giocatore di ritmo, solido al servizio, ottimi fondamentali, poche variazioni. Non ama giocare il doppio, la sua mano è abbastanza rigida. Giulio, invece, è un giocatore con una mano delicata, non c’è un colpo che gioca male e sotto rete produce spesso delle soluzioni che ti costringono ad applaudirlo, sia che ci giochi insieme che contro. Decido di giocare il doppio decisivo insieme a Giulio. 

Ci aspettiamo di trovarci di nuovo contro il ragazzo 3.1, che però non si schiera in campo, forse questo circolo non ha particolari velleità di andare avanti nel torneo. Gioca il suo compagno nel doppio che ho perso, c’è un nuovo giocatore quindi, e mentre palleggio con lui mi rendo conto che non è del nostro livello, tanto per essere carini. Non sa fare il rovescio, gioca una specie di dritto in back che è irreplicabile e batte pure piano: come possiamo perdere? 

Infatti io e Giulio vinciamo il primo set per sei a zero con il motore al minimo dei giri. Nel primo game del secondo set servo io, andiamo 40-15, non riesco neanche a ricordare come ma perdiamo i due punti successivi, sul 40-40 c’è il killer point e cediamo il game. Vabbè, “recuperiamo subito” mi dice Giulio al cambio campo, eppure poco dopo loro sono avanti 2-0 grazie ad un altro killer point vinto. Giulio si è ammosciato, sbaglia delle comode volée sotto rete, una roba non da lui; è pigro, quando colpisce al volo non si sposta in avanti, non accorcia verso la rete impattando con decisione, un atteggiamento che denota superficialità. Anche da fondo campo è impreciso. Anche io contribuisco, un paio di volte mi faccio sorprendere a rete da delle pallate mirate al corpo, mi sto addormentando anche io. Insomma, improvvisamente c’è partita, siamo sotto 2 a 5 con il doppio break, abbiamo perso un totale di tre game al killer point. 

Sulle tribune c’è una decina di persone, del nostro club c’è solo Dado, uno dei doppisti della squadra di quarta categoria cancellata qualche ora prima, non giocando ha scelto di venire a vederci, “Ma giusto perché abito lì vicino”. Mentre io dico a Giulio di non pensare al punteggio ma solo a questo game, che poi penseremo al resto, Dado mi convoca. Chissà quale consiglio vorrà darmi, mentre mi dirigo verso di lui attraversando il campo il giudice lo blocca: “Non può dire niente al giocatore a meno che non sia il capitano”, “Vabbè Dado me volevi salutà tanto, no?” gli faccio, ridiamo e proviamo a recuperare la partita. Improvvisamente, fortunatamente, ci riaccendiamo. Accorciamo sul 5 a 3, servo io e a zero risaliamo sul 4 a 5, ma loro serviranno nuovamente per andare al super tiebreak. 

Nella mia mente già si dipingono gli scenari più catastrofici, è come se fossi condannato a non riuscire mai a concentrarmi sul presente, almeno quando si tratta di tennis. Anche quando riesco a strappare il primo set in un match di singolare, ecco che il pensiero mi assale: “Oddio, adesso ne devo vincere un altro. No, non ce la posso fare, richiede troppo tempo, non riuscirò a restare concentrato per un intero set ancora”. Mi sembra di avere la stessa mentalità di Benoit Paire. Come lui, mi ritrovo a pensare che “se comincio un game al servizio e vado subito sotto 0-15, quel game è già perso per me, finito.”

È già scritto: andremo al super tie-break. Non ci sarà via di scampo, perderemo una partita che, in qualsiasi altro sport, sarebbe impossibile da perdere. E sarà Dado, il mio testimone, a osservare questa disfatta nefasta, una sconfitta che sa di disonore, e che diventerà il chiacchiericcio del club, alimentando i racconti di una tragedia sportiva da cui non potrò nascondermi.

Non so come, non so perché, ma questo scenario sciagurato mi dà la forza di caricare Giulio, alzo la voce, lo risveglio. Poi nella mia mente penso “Se perdo con questi al circolo ci torno a marzo 2025”. Riprendiamo la partita sul 5-5, tiro un grande sospiro di sollievo. Serve Giulio, andiamo sul 40-0, poi dovrà battere il peggiore dei due, il mancino che batte pianissimo. Sarebbe fatta, no? No, perché Giulio pensa bene di farsi riprendere sul 40-40, killer point. Abbiamo già perso tre game con il punto decisivo, questa volta lo facciamo noi. 

Serve il mancino, rispondo io a destra, doppio fallo. Altri due punti ci mandano sul 40-0 per noi, sbaglio una risposta, Giulio sbaglia un dritto ma sul 30-40 c’è uno scambio ravvicinato a rete dopo che un pallonetto mi scavalca costringendoci a scambiare la posizione; Giulio colpisce di rovescio lungolinea sul mancino, che indirizza una volée dalla mia parte, la palla scende sotto la rete verso il mio rovescio, apro il piatto corde della racchetta verso l’alto, faccio un passo in avanti e colpisco, ne esce una specie di volée a pallonetto che scavalca l’avversario a rete, il mancino va per colpire di rovescio ma affossa a rete. Sospiro di sollievo enorme. 

Andiamo a salutare Marco e Andrei che sono in tribuna, parlano gli sguardi. Marco prende il telefono, vuole mandare un video nella chat di gruppo per annunciare la prima vittoria, chiede a Dado di intervistarmi. “Allora Claudio, una vittoria un po’ sofferta…” mi fa, io: “Volevo ringraziare pubblicamente il giudice arbitro, che sul 5-2 ha impedito a Dado di darmi qualche consiglio, avremmo sicuramente perso set e match”. Il giudice arbitro è ancora nei paraggi e sorride. 

Noi ce ne torniamo a casa scarrozzando per Torpignattara con i finestrini abbassati e i Deep Purple a manetta mentre i ragazzi, liceali figli della borghesia, scrutano il quartiere attraverso i finestrini, osservano una Roma che sembra lontana e sconosciuta, come se non fosse la loro città. Nei loro occhi si legge lo smarrimento di chi sta attraversando una terra esotica, una metropoli lontana come Nuova Delhi, fatta di misteri e segreti ancora da svelare. Urlano di gioia e intonano cori per farsi portare al McDonald a festeggiare una vittoria, brutta e sofferta, ma comunque una vittoria. Per i prossimi pensieri negativi c’è un’altra settimana di tempo. 


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