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Un pareggio in D1

Inizia il campionato a squadre D1, per l'armata Brancaleone c'è subito una trasferta.

Inizia il campionato a squadre D1, per l'armata Brancaleone c'è subito una trasferta.

In un pomeriggio di marzo di una già calda domenica romana sono in campo nel campionato a squadre. Servo mentre sono sotto per 4 a 5 nel primo set contro un ragazzino terribile che mi sta costringendo a giocare in spinta senza mai avere un attimo per rifiatare. Se mi limitassi a rimettere la palla di là sperando nel suo errore, questo quindicenne, che non fa trasparire emozione alcuna in viso, continuerebbe a sballottarmi da una parte all’altra del campo. Che faccia il punto lui o che lo induca a sbagliare, perché lui di gratuiti non vuol sentir parlare, il ragazzino rimane impassibile come se ci stessimo giocando il grande slam, in questa domenica di agonisti di terza categoria. 

È la prima giornata della serie D1 e io sono una specie di coordinatore della squadra B del mio circolo, fatta da un mix di terza categoria di bassa classifica e di giovani promesse, molto promesse. La squadra A è più corazzata. Hanno un seconda categoria, doppisti specializzati e giovani meno giovani dei nostri, quindi più esperti.

Giochiamo fuori casa ma il calendario è gentile, allontanarsi dal circolo significa arrivare sulla Tiburtina dalla Nomentana, cinque minuti di auto per chi non è pratico. Quando ci ritroviamo sembriamo una specie di armata Brancaleone, siamo tutti vestiti diversi, l’età varia dai 15 ai 47 e ho l’impressione che nessuno di noi prenda il tennis troppo seriamente. Penso che questo aspetto sia fondamentale per stare nella squadra B, forse è proprio questo il criterio seguito dai maestri del circolo per formare le due squadre del nostro club in serie D1, vai a sapere. 

Da noi il più forte per la classifica sono io, il più forte in campo invece si sta rimettendo da un infortunio e gioca solo il doppio per ora, poi ci sono due fratelli marchigiani affidabili e ruspanti, il fido compagno Marco che è in crisi di risultati e che quindi ha lasciato il tennis, così dice, ma che ovviamente è presente, e poi due giovani promesse, di cui uno, quello classificato 3.2, si è presentato dicendo “io non faccio il doppio”. Ah. 

I “miei marchigiani”, così li chiamo, sono i punti fermi della squadra. Avendo classifica bassa e falsa giocano da numero tre e quattro, praticamente sempre da favoriti. Matteo gioca colpendo la palla praticamente sempre con il backspin, sia di dritto che di rovescio; non finisce mai una partita con meno di venti smorzate vincenti e senza che l’avversario mediti di lasciare il tennis. Di solito, mentre capisci come fronteggiarlo sei già sotto di un set e un break. Edoardo, il fratello, è un giovane con un gran fisico e un gioco un po’ alla Rune: alterna palle morbide a mazzate imprendibili, serve fortissimo ed è molto regolare. Per batterlo servono almeno tre ore a buona intensità. Giocando da quarto singolarista è dura che perda. 

Infatti, mentre io sto ancora finendo il primo set cercando con tutte le forze di raggiungere sul 5-5 un quindicenne che ancora non ha sorriso manco mezza volta, Edoardo esce dal campo vincente. Francesco, che mi sta seguendo come il primario segue il paziente in ospedale sperando in una miracolosa guarigione, dice che ha dominato. “Ma sicuro che non era D3?” gli dico. Ridiamo. 

Ho iniziato la mia partita perdendo i primi sei punti, l’avversario è andato subito 1-0 con me sullo 0-30 al servizio. Marco e Francesco mi guardavano, “tranquilli ora inizio a fare pure io i punti”. Mi sono sbloccato, quando pareggio i game riesco addirittura a fallire due palle break che mi avrebbero mandato sul 3-2, ma questo ragazzino non sbaglia mai e soprattutto è aggressivo. Non aspetta l’errore, costruisce il punto. C’è il padre che si mette sempre dalla mia parte del campo a fare tipo la VAR sulle chiamate fuori. Io lo guardo sprezzante come a dire “sei ridicolo” ogni volta che mi passa vicino. 

Vado sotto di un break, lui sale 5-2 ma io alzo la marcia e aumento il numero dei giri. Accorcio sul 5-3 e quando batte lui mi riprendo il break di svantaggio con molta sicurezza: 5-4 ma servo io. 

Un attaccapanni in campo, d’altronde per molti di noi il campo da tennis è l’ufficio.

Sto giocando bene, senza molta pressione, forse mi sto anche divertendo. Francesco sembra soddisfatto. Marco è fiero di una mia smorzata imprendibile. Raggiungo la linea di fondo campo, recupero le palline, tolgo la terra dalle scarpe con due racchettate violente e sono pronto a servire per cercare il pareggio. Alzo lo sguardo. L’orizzonte mi propone la parte di via Tiburtina con l’ex fabbrica di penicillina di Roma al centro dell’inquadratura. Ci dormivano i migranti in questo rudere, gente di passaggio, ma quel deficiente di Salvini venne a fare passerella usando quelle parole vuote tipo sicurezza e degrado per favorire lo sgombero. Servile come sempre, la digos schedò quelli che protestavano, i migranti alla fine vennero cacciati e ora immagino che il quartiere sia super sicuro, per il degrado il rudere è ancora all’orizzonte. Su quello stabile fatiscente e decadente troneggia una scritta, un po’ di eleganza in mezzo al mare di merda: “Il carcere tortura e uccide”. 

Rebibbia è a due passi, le sirene di ambulanze e polizia sono la colonna sonora costante della partita, respiro a pieni polmoni lo smog della Tiburtina mentre provo a tenere in piedi questa partita. Riguardo quella scritta, provo un sincero sentimento di rabbia, come faccio a prendere il tennis seriamente?  

Il polpaccio sinistro mi procura qualche fastidio, mi “pizzica” come si dice in gergo, ma non è il momento di pensarci. Due cazzate mi mandano subito sotto 15-40, è la riedizione di uno dei grandi classici delle mezze seghe subito dopo aver recuperato il break. Servo mirando alla T, ace. Salvo anche l’altro set point, rock and roll. Arriva la prima palla del 5-5 ma lui la annulla con un bel dritto. Salvo ancora un paio di set point, commetto un doppio fallo sulla seconda occasione per agganciarlo sul 5-5, altra pagina del libro delle mezze seghe di tennis eseguita alla perfezione. 

Al quinto set point cedo, un’ora di bel tennis si tramuta in un 6-4 che tranquillizza il ragazzo, che non ha mai tremato, di sicuro non l’ha dato a vedere. La partita finisce così, nonostante nel primo game del secondo set abbia due palle per andare uno a zero e servizio. Il polpaccio è sempre più duro, il ragazzino lo è ancora di più e il 6-0 é inevitabile. Siamo due a uno per loro, perché nel frattempo ha perso il nostro giovane che non fa il doppio, Nicola, contro un altro giovane che ricorda Nadal nel gioco e pure nell’atteggiamento. 

Matteo, quello delle venti smorzate a match, gioca da quattro ma il loro quarto è un ex seconda categoria, siamo sotto di un set e un break. Però ad un certo punto ci dice bene: l’avversario si stira. Noi crediamo nello sport e nei valori, ovviamente, però vuoi mettere quando invece di chiudere 1-3 i quattro singolari c’è la possibilità di stare sul 2 a 2? E ‘namo su. C’è speranza quindi, ma l’ex seconda categoria decide di non ritirarsi: vuole continuare a giocare per vedere se riesce a vincere il set da fermo. Ci sta. “Ma do’ cazzo va? Ora lo facciamo correre per bene eh eh eh” maramaldeggio nel nostro box. Invece, Matteo si impalla. Non riesce più a giocare decentemente, tira piano al centro e quello lo seppellisce di vincenti. Non lo sposta quasi mai, gli suggerisco di essere meno passivo, specie in risposta, ma questo marchigiano diventa intrattabile, mette il muso, bestemmia ancora di più del solito e non sente nessuno. Lo amo anche per questo. Perde 6-4 anche il secondo set nonostante un vantaggio di 4 a 2, chiudiamo i quattro singolari sotto per 1-3: non capisco se ci ha detto male o bene.  

Devo fare la formazione per i due doppi. Ho già in testa le coppie: c’è Borgonuovo, un ragazzetto contro il quale ho giocato contro in allenamento e che ho tenuto fuori dal singolare perché lamenta un dolore all’altro braccio, quello con cui lancia la pallina quando serve divinamente. Lui giocherà con Francesco, i due marchigiani saranno l’altra coppia “Magari a te tuo fratello parla, non dico dare retta ma magari te parla” dico ad Edoardo. Ridiamo tutti mentre Matteo ancora impreca contro se stesso. 

Arriva il loro capitano, mi dice che sono quattro contati e che quindi un doppio me lo danno senza giocare. Si gioca un solo match per il 3-3 quindi, loro schierano i due ragazzini terribili e io devo fare in modo che affrontino Francesco e Borgo, la nostra coppia forte. Non ho modo di sapere se la coppia che si ritira è la numero uno o la due, metto i nostri come seconda coppia e ci dice culo: anche i loro due ragazzini terribili giocano da due. Francesco è gasatissimo. Il doppio che può valere il pareggio inizia però male, Borgo inizia titubante come è normale che sia quando un quindicenne gioca con uno di 43 che manco conosce. Ha paura che lo rimproveri, non sa che Francesco è il miglior partner possibile, sorride sempre, ti carica in continuazione, non ha mai un atteggiamento negativo. S’incazza solo quando mi vede giocare di merda. 

Mentre si scaldano, chiacchiero con Marco che è ancora in coma dalla serata passata a suonare con il suo gruppo di cover dei Queen. Passa uno del circolo, è uno che l’anno scorso l’ha battuto due volte in torneo, rocambolescamente diciamo.

Segue dialogo in slang del luogo:
Io: “Oh, ma hai visto chi c’è?”
Marco: “Eh si, l’ho evitato con lo sguardo ma m’ha beccato ed è venuto a salutamme, è pure passato 3.3”
Io: “Ma che cazzo stai a di’?”
Marco: “Eh, 180 punti glieli ho dati io”
Io: “Mortacci tua, almeno t’ha portato ‘na colomba per ringraziarti?”
Cose di ranking dei poveri. 

Borgo e Francesco vanno sotto 2-4 e 0-40, sembra finita nel primo set. Il ragazzino non entra mai a rete, è moscio. Neanche Francesco, ma è normale perché i due ragazzini tirano forte sulle diagonali. Consigliamo di uscire dal palleggio scavalcando l’uomo a rete con un pallonetto: i due sono alti neanche 170 centimetri. Costringendo a rincorrere la pallina che scavalca l’uomo a rete, il ragazzino di turno si rifugia spesso in un pallonetto, sotto rete noi chiudiamo con degli smash molto solidi. Abbiamo una tattica che funziona. 

Borgo, il nostro ragazzino dalla mano delicata.

Il nostro ragazzino migliora man mano che passano i game, comincia a darmi soddisfazione, so quanto vale. In un sabato di allenamento pre torneo ho giocato un doppio con Matteo proprio contro Edoardo e Borgo, e i due ci hanno rifilato un 6-3 6-3 che dichiarava superiorità. Mi ha impressionato la tranquillità di questo quindicenne, la sua mano delicata quando c’è da toccare sotto rete, il dritto mancino molto arrotato che viaggia piano ma che è efficace proprio perché mancino. 

Cambiano campo sul 3-4, il possibile 2-5 è schivato. Quando vengono in panchina, noi tutti ci avviciniamo come una chioccia protettiva, forse riusciamo a trasmettergli qualcosa, Francesco fa il resto quando se lo coccola in campo sorridendogli. Borgo alza il livello e non sbaglia più. I due recuperano il break, raggiungono gli altri due pischelli sul quattro a quattro e poi riescono a fare addirittura il break e a chiudere il set. Ma ci riescono giocando bene, con preziose entrate sotto rete di Borgo e solide randellate di Francesco da fondo, il quale delle volte mira pure alla sagoma perché va fatto, poche storie. 

Mi dico che se continuano così vinciamo facile il secondo, gli altri dicono di stare calmo, “ma scusate ma perché non dovrebbero continuare così?” ribatto. Borgo si è sciolto, sorride, ci fa gasare tantissimo quando chiude una demi volée incrociata morbida che non appartiene a questo livello, oppure quando  smorza una Veronica incrociata dando le spalle al campo. I nostri dominano, anche i tanti sostenitori dei ragazzini capiscono che non c’è speranza, che i loro due perderanno. Sorrido anche io, perché rivedo la manina delicata del ragazzino che mi aveva lasciato fermo molte volte in quel doppio di allenamento, così come le mazzate di dritto di Francesco, pure quelle mi lasciano fermo molte volte in allenamento. Vinciamo, e riesco a provare contentezza stando vicino ad un campo da tennis grazie ai miei compagni di squadra. Provarla dentro il campo da giocatore è più difficile, però io mica mi sono auto-eletto capitano per caso, no? 


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