Abbiamo problemi con la gente.
By Salvatore Termini Posted in spotting on 28 Novembre 2023 7 min read
Non è certo la prima volta, e con l’aria che tira difficilmente sarà l’ultima, ma c’è da rimanere quasi senza parole di fronte all’ennesimo miscuglio di furbizia da quattro soldi, incompetenza più o meno interessata e provincialismo da sagra paesana che ha accompagnato la vittoria della Coppa Davis da parte della squadra italiana di tennis. “Quasi” senza parole, perché qualcuna ci pare necessario spenderla, anche se è difficile capire da dove cominciare.
Cominciamo dalla cosa meno interessante: l’incompetenza interessata. Il tennis non è sport particolarmente complicato, solo macchinoso nel punteggio e poco vario, soprattutto dopo che le innovazioni tecnologiche e la costante professionalizzazione hanno reso quasi impossibile trovare una via personale al gioco. In buona sostanza si tratta di sapere fare quattro o cinque e farle meglio di tutti gli altri. Niente di troppo facile, ovviamente, ma niente di troppo eccitante, tant’è che nessuno si sognerebbe mai di seguire una partita di tennis dall’inizio alla fine a meno che non abbia quelli che tal Olson chiamava “incentivi selettivi”, o i loro equivalenti funzionali.
Per guardare Medvedev-Hurkacz per dire, o sei qualcuno costretto a scriverci due righe, o connazionale di uno dei due, o hai qualche problema che dovresti risolvere con uno specialista. Oppure è una semifinale di un grande torneo, che già i quarti insomma, magari a Wimbledon. Non la guardereste MAI per passare un paio d’ore, forse tre o quattro, per divertirvi un po’. Ora, la Coppa Davis, e non solo in questa versione contemporanea, ha avuto come incontro di semifinale il match tra Alexei Porpyrin, di cui avrete sentito parlare la prima volta domenica, e tal Otto Virtanen, che chi scrive non ha mai visto giocare, nonostante abbia alle spalle ormai circa 40 anni di onorata carriera di guardone, si perdoni l’inelegante riferimento personale.
L’altro incontro era tra i noti de Minaur e Ruusuvuori, un match in grado di far sembrare la morte un’alternativa tutto sommato accettabile. Probabilmente pochi tra i lettori ricorderanno chi ha vinto la Coppa Davis del 2022 e nessuno quella del 2021, ma tranquilli perché tra quelli che festeggiano sono sicuramente di meno quelli che hanno sentito parlare di una cosa chiamata Coppa Davis. Questa è la “rilevanza” del torneo. Ma è il campionato del mondo! si dirà.
Insomma, come vi avranno spiegato nel campionato del mondo ci vanno i migliori. Difficile, ad esempio, definirsi campioni del mondo di calcio vincendo il torneo senza il Brasile, la Spagna, la Francia, l’Argentina o magari con una di queste che però tengono a casa Neymar, Messi, Mbappé, o ai tempi Iniesta e Xavi, che vinci ai rigori dopo aver giocato contro Australia e Ucraina (ops…) e in più con questi avversari del tutto disinteressati, il più forte dei quali ha appena stravinto, contro gli stessi avversari, un torneo più importante, in cui c’erano proprio tutti.
Bene, tutto quanto appena esposto è patrimonio comune di chi si occupa di tennis da più di qualche settimana, persino stando sul divano si riesce facilmente a comprendere. Se cianci di impresa, considerato che non può materialmente essere un problema di competenza, significa banalmente che vuoi evitare discorsi e guai. Legittimo, ci mancherebbe pure. Ma.
La furbizia da quattro soldi è il deprimente modo di fare politica in Italia, e quindi la politica sportiva. La federazione di tennis italiana è retta da un quarto di secolo dagli stessi personaggi che culturalmente parlando rappresentano un miscuglio di ideologie reazionarie e familismo. In un contesto ristretto come quello tennistico hanno occupato manu militari tutto l’occupabile, rendendo sostanzialmente impossibile giocare a tennis per la nazionale se non si fa prova d’obbedienza. Bravi a far soldi con gli Internazionali d’Italia, torneo dai valori tecnici sempre più scadenti ma evento glamour dell’anno per la capitale di uno stato in declino, li hanno utilizzati per rafforzare le loro posizioni e attendere il momento buono. Che è arrivato per una serie di circostanze non proprio irripetibili.
La Coppa Davis dal 2019 si gioca su tre incontri al meglio di tre set, due singolari e un doppio. Il primo anno arrivarono in finale Spagna e Canada perché il doppio spagnolo – mai giocato prima – formato da Nadal e Feliciano Lopez ebbe la meglio in due tiebreak della coppia britannica formata da Murray (l’altro) e Skupski in due tiebreak; e quello canadese vinse 7-5 al terzo contro quello russo. Il secondo anno – nel 2020/21 per via della pandemia – Medvedev e Rublev furono sufficienti. Il terzo, come detto, il Canada, e quindi ora l’Italia, ma senza che la Russia, la nazione più forte, possa partecipare. Di nuovo: glorificarsi di questi risultati serve solo a battere cassa e infatti le dichiarazioni del post partita, con le accuse a Malagò, fanno parte del regolamento di conti che vede ora uno ora l’altro dei contendenti in posizioni di favore. Posizionamenti che non c’entrano niente col risultato reale.
Infine la sagra paesana. Il penetrare del nazionalismo, ultimo rifugio delle canaglie (era il patriottismo ma la differenza è roba da specialisti, nemmeno troppo bravi), porta a quella che forse è la più vergognosa delle posizioni, il famigerato right or wrong, my country. Prodromo di qualsiasi razzismo e di qualsiasi suprematismo, ammantato di grottesco, con i cori sempre uguali, i festeggiamenti sempre uguali, le parole sempre uguali, sia che si vinca un Europeo di calcio o il concorso di bellezza o la sagra del tartufo di Alba. E il recupero di personaggi che mai niente hanno fatto e niente sanno più fare dopo che hanno posato la racchetta, imperversando per canali televisivi incapaci di consegnarsi al giusto oblìo di una vecchiaia che dovrebbe essere più decente, forse anche per rispetto per quello che erano stati.
In questo delirio ovviamente i giocatori, anche qui come sempre, sono i meno colpevoli. Trasmutato dall’appartenenza Sinner, che ha un gioco noiosissimo, da epigono di Djokovic, maledetto per anni dagli esteti invaghiti di Federer, diventa persino spettacolare, nel suo tirare roboticamente dritto e rovescio sempre uguali, sempre allo stesso modo. E tutto sommato l’espressione di Sinner non rivela solo una compostezza che troppo sbrigativamente si definisce tedesca quanto il reale valore di questi successi e di questo entusiasmo. Sinner ha trovato 40 giorni in cui si sono allineati vari dettagli: dalla sua forma fisica, alle condizioni di gioco – i palazzetti col campo veloce – alla stanchezza delle stagione degli altri, al tempo che passa per Djokovic e alle piccole crisi di giocatori che al momento rimangono più forti di lui nei tornei che contano, come Medvedev o Alcaraz, vincitori e plurifinalisti di slam, non di Coppa Davis. E Sinner sembra sapere che non ci sia proprio niente di divertente o spettacolare nel suo gioco, che vedremo negli slam quanto riuscirà ad essere veramente efficace.
Di nuovo: chi segue tennis sa bene in che conto tenere i risultati del finale di stagione – magari chiedete a Nadal – ma perché rovinare una bella storia con la verità? Solo i nemici della contentezza hanno questo cuore duro.