Abbiamo problemi con la gente.
By Salvatore Termini Posted in spotting on 31 Gennaio 2022 6 min read
Era cominciato che sembrava non dovesse mai cominciare, con le interminabili cronache dall’aeroporto, dall’albergo dei deportati, dai tribunali, con i poveri cronisti che già faticano col tennis a improvvisarsi non tanto giuristi, ché meglio non esagerare, quanto decodificatori di norme davvero troppo distanti dalla propria routine. Per fortuna siamo tutti moralisti e quindi per una volta la formalità giuridica ha ceduto il passo alla morale suprema, quella che vuole che se io faccio sacrifici assurdi la mia ira verrà maggiormente placata se pure altri subiscono la stessa punizione, meglio ancora se ricco e potente, poi pure serbo, quindi volgare, vanno bene per i film di Kusturica cosa vogliono? Stiano zitti e a casa.
Così tra misteriose dichiarazioni di tennisti che meglio lascino da parte i tribunali (“che ne penso di Djokovic? che il torneo è più importante dei giocatori” ha detto un pensoso Nadal che del resto quando gli chiesero di Podemos rispose che “quello che conta è la Spagna” o una cosa del genere) l’Australian Open è cominciato con le sue nottate davanti agli schermi per chi ha la sventura di vivere nella parte settentrionale del globo, insomma per tutti noi.
Per chi segue da qualche anno il tennis, c’era pure da scontare il sovrapprezzo dovuto alla presenza di giocatori italiani competitivi, che pare sia una cosa così importante da dover mettere da parte qualsivoglia senso critico, hai visto mai che questi poi non ti salutano quando li incroci all’aeroporto, cosa dici ai tuoi follower poi?
Così, quando da una rapida occhiata al tabellone potevi capire che Berrettini aveva una buona opportunità di arrivare in semifinale, era meglio infarcire la previsione di sospiri e lamenti perché quell’Alcaraz signori miei, è un diavolo scatenato dall’inferno per aggiungere tormento ai lamenti e che soddisfazione batterlo, al tiebreak del quinto set poi. E pazienza se lo spagnolo dopo la prestazione peggiore degli ultimi tre mesi buttava al vento il match, guai a dirlo, concentriamoci su Berrettini, Forza Italia.
Passare a Sinner significa scordarsi di Alcaraz, perché come la continui la narrazione su uno che ha due anni di più e gioca come se ne avesse due di meno? E quindi, grande entusiasmo quando si superano tre povere animelle sperdute che gravitano ben oltre la posizione numero 100, roba che ce l’avrebbe fatta persino Fognini, forse Travaglia, eh ma poi de Minaur, chi?
Contro Tsitsipas chissà cosa credeva. più che lui il suo staff e i competentissimi addetti ai lavori italiani, che si danno di gomito per cercare di comprendere se Stefanos sia più hipster o fricchettone – per quelli che sanno la differenza, quindi non noi, forse proprio loro – non capendo che il greco è un giocatore vero, con una pesantezza di palla che è solo dei vanagloriosi possono pensare di mettere in difficoltà semplicemente tirando forte.
E Tsitsipas non ha nemmeno giocato un torneo indimenticabile e deve ringraziare Fritz che crede solo fino ad un certo punto nelle sue capacità, quel punto che ti fa battere Bautista declinante e ti fa perdere con Tsitsipas. Ma è stato più che sufficiente questo parente dello Tsitsipas di Parigi per arrivare in semifinale, soffrendo solo quando si è trattato di recuperare un minimo di condizione atletica e confidenza con la partita.
La sorpresa, più o meno attesa, è stata la partita tra Medvedev e Auger Aliassime. Il canadese sembrava impantanato nel suo incostante progresso e aveva lasciato due incredibili set a Ruusuvuori al primo turno. Il suo avanzare nel torneo sembrava renderlo la vittima perfetta per un Medvedev più indolente del solito ma solidissimo, capace di trarre motivi di ilarità anche dal pubblico australiano, non il migliore del mondo, usiamo eufemismi come si capisce. Invece il canadese ha improvvisamente trovato la partita più bella della sua giovane carriera e il fatto di averla persa ci dice che il meglio deve arrivare, forse è addirittura meglio così.
In questa ordinata confusione è tornato il grande classico, Rafa Nadal – che a differenza di Djokovic dice solo banalità e quindi è amato dal pubblico – in finale. Nadal da sempre è il giocatore – tennisticamente almeno, ma la sensazione è che pure fuori sia un furbone di tre cotte – che ad una grandissima tecnica e ad una preparazione atletica che col passare del tempo è inevitabilmente calata ha sempre unito una capacità di comprendere il match preclusa sostanzialmente a tutto il resto del ranking. Se una qualità ce l’ha il maiorchino, lasciate perdere il dritto ad uncino o la sensibilità della mano, è quella di sapere esattamente cosa fare, quando farlo e perché.
Anche l’essere sempre ai limiti del regolamento – dal time violation alle toilet break con MTO annesso – è funzionale a questa costante presenza agonistica, che l’avversario non può non sentire. Sempre più spesso questa qualità non basta più, ma con uno che deve ancora imparare – e non è detto che ci riesca – a tenere i nervi a posto come Shapovalov, che gli aveva pure fatto il favore di battere Zverev, contro cui questi trucchetti non sarebbero stati sufficienti, era pure troppo. Se poi gli avversari si tolgono di mezzo da soli tanto di guadagnato.
La finale contro Medvedev è stata irreale, perché da una parte c’era un giocatore talmente più forte dell’altro che ha dovuto inventarsi delle cose assurde per perdere. Due set avanti, 3-2 servizio Nadal, sono passate 2 ore e 42 minuti. Nadal arriva tardi su un dritto e lo mette in corridoio, poi prova l’accelerazione e niente, di nuovo troppo larga, non chiude uno smash a rete e va sotto 0/40. La prima palla break se ne va con un dropshot, la seconda con un rovescio incrociato lungo, la terza su una smorzata che si direbbe senza senso se non fosse che Medvedev gioca sempre così, quindi come dice il cattivo poeta in fondo cos’è che ha senso?
Medvedev ha confezionato un capolavoro d’altri tempi, facendo apparire Shapovalov e Berrettini, ma prima di lui Thiem, Tsitsipas, dei dilettanti. Per perdere veramente una partita vinta sei volte ci vuole un russo, come vogliono i luoghi comuni sull’anima slava, ci vuole qualcuno che ha familiarità con il “boring”, la noia, che lo prende anche in campo. Contro uno che ha fatto di uno sport un’ossessione col senno di poi non poteva che finire così, in modo che si levassero fiumi di retorica da cui siamo inondati peggio che Mattarella. Perché in fondo ogni tanto va anche detto che ce li meritiamo, Nadal e Mattarella. Godeteveli.