Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in tennis di periferia on 26 Marzo 2021 15 min read
L’Italia tutta trattiene il fiato in attesa della conferenza stampa di Draghi, il nuovo decreto che potrebbe fermare il tennis a 10 mesi dalla ripartenza, c’è ansia, indiscrezioni vogliono un nuovo lockdown, la chiusura di tutto, ristoranti, negozi, circoli, parchi, la preoccupazione cresce ma poi il giudice arbitro del torneo batte pure il Governo e pubblica l’orario: sono in campo lunedì, quando tutta Italia sarà praticamente zona rossa.
Potenza del tennis, e della tessera FIT, oggi nettamente più importante del vaccino. Quando lo dico a mia moglie, approcciandola con un goffo vamos con salto à la Nadal, lei mi insulta pesantemente fregandosene che il piccolo di casa sia testimone. Già orfana della palestra da ottobre, lei ha appena perso pure il fitness al parco, proibito nelle nuove disposizioni mentre io, il tennista, continuerò a fare come sempre. Facendo l’eco al presidente Scalfaro, lei non ci sta.
E così il circolo tennis chiude ma rimane aperto per noi agonisti di interesse nazionale, scopriremo poi col passare dei giorni che lo siamo tutti, di interesse nazionale, poi dice che lo Stato se ne frega di noi. Basta essere iscritto ad un qualsiasi torneo, e quindi essere munito di tessera FIT, per continuare ad allenarsi e giocare i tornei, che sono tutti di interesse nazionale, perché oggi basta mettere il montepremi ad un torneo Open, pagare quindi le dovute tasse, ed ecco che il Coni approva. A Roma ci sono tabelloni con 800 iscritti, una cosa che non si era mai vista prima.
Da quel maggio 2020, quando l’Italia riaprì e quindi pure il tennis ripartì, non ci siamo fermati praticamente mai. Lo smartworking vero ci ha dato una mano per giocare con più continuità, il tennis è migliorato, la classifica pure, adesso dopo qualche mese di allenamento invernale è di nuovo tempo di giocare i tornei, anche perché è l’unico sport praticabile agonisticamente e che, oltretutto, ci consente anche di spostarci. Pare che nell’auto-certificazione bisogna mettere che si sta andando ad un evento agonistico e avere a portata di mano l’orario di gioco e anche il tabellone in caso di stop nei posti di blocco: fantastico.
Il circolo dove si svolge il torneo veterani è a sud di Roma. Sul raccordo c’è il solito casino, quando mi perdo nelle strade di campagna vicino il parco dell’Appio mi sento palesemente fuori zona, alla fine trovo il circolo, il cancello è chiuso ma si apre per noi del torneo. Che spettacolo. Dentro, però, l’atmosfera è desolante. Le tribune dei campi perfetti e curati sono vuote, manca la caciara dei soci, i pensionati che a quest’ora stazionerebbero in qualsiasi circolo, mancano le voci dei maestri intenti a fare lezione, manca qualche curioso a vedere le partite. Niente di tutto ciò, adesso entra solo chi deve fare il torneo, che sembra uno di quelli che si vedono in TV a porte chiuse.
Al primo turno gioco contro un mancino, e come tutti i mancini di queste categorie ha movimenti poco fluidi, storti mi verrebbe da dire, e però come tutti i mancini riesce a imprimere degli strani effetti sulla palla. Realizzo subito che è fastidioso, però non dovrebbe essere difficile. Nel discorso pre partita mi dico che devo solo rompere il ghiaccio, che è la prima partita di torneo dell’anno e quindi se avvertirò tensione sarà tutto normale. Fra me e lui, tennisticamente, c’è troppa differenza. E questo anche se lui non mi fa giocare due colpi di fila e io odio quando lo scambio finisce entro i tre, quattro colpi. Non riesco a prendere ritmo, i miei colpi “non si allenano”, allora devo giocare in maniera ordinata, prendere pochi rischi, preferire traiettorie ad altezze sicure. Il servizio funziona bene, dà un po’ fastidio il vento ma il primo set finisce con un netto 6-0 in pochi minuti.
Nel secondo set lui è lui a rompere il ghiaccio e vincere un game, io vado ancora una volta in avanti e mi accorgo che ad un certo punto lui sta giocando di fretta. Non si ferma più al cambio campo, non faccio in tempo a raggiungere la linea di fondo e girarmi che lui ha già lanciato la palla per battere; cerca, per quanto possibile, di accorciare gli scambi ancora di più. Capisco che se ne deve andare, maledetto lavoro che non ci lascia in pace quando giochiamo a tennis, io gli vado dietro e chiudo 6-2 set e partita. Mentre attraversa il campo salutandomi, è già in call. Abbandono il circolo rapidamente perché non c’è veramente niente altro da fare.
Torno il giorno dopo, consapevole che il match sarà molto più impegnativo. Affronto infatti un tennista di un gradino più basso in classifica, l’ideale per scaldare il motore per il turno successivo, quando ce ne sarà uno più bravo. Sono già ai quarti di finale, questi tabelloni Over sono come i tornei ATP 250; trenta e passa iscritti posizionati in tabellone secondo classifica, io sono il numero 4 del seeding. Pensa te.
Incontro l’avversario e iniziamo a parlare mentre ci prepariamo. Lui è un tipo socievole, mi pare che non si dia tante arie come la maggior parte dei tennisti, che quando entrano in campo è come se salissero sul palco di un teatro pronti per la loro pièce. Con lui parliamo come se ci stessimo prendendo un caffé al bar, mi piace questa cosa anche perché non mi capita spesso. Palleggiamo tranquillamente e continuiamo a chiacchierare, una cosa insolita per un match di torneo. C’è vento, scaldarsi diventa talmente noioso che propendiamo entrambi per iniziare il match rapidamente.
Al circolo, al solito, non c’è nessuno. Inizio a battere e perdo subito il servizio a zero. Non riesco a mettere un dritto in campo, lui praticamente non fa niente, è un tipo molto alto, parecchio, e capisco subito che si muoverà poco cercando di colpire da fermo il più possibile. Solo che io non riesco a tenere la palla in campo, specie col dritto, considerato che il giorno prima non sono riuscito a tirarne due di fila alla stessa maniera. Non che il mio dritto sia come quello di Edberg, inteso come termometro del suo gioco, però l’avversario serve e gioca palle basse e lente, sono praticamente poco abituato a giocare così piano che non riesco a mandare la palla di là. Mezzo assurdo.
Fortunatamente, l’ambasce dura poco. Il rovescio è un colpo che non mi abbandona mai in ogni condizione di tempo e superficie, arrivano i primi vincenti, col dritto cerco di arrotare in contenimento ed ecco che il primo set si chiude per 6-1 in mio favore. Si gioca male però, c’è molto vento e il sole che esaltava il verde della campagna romana ora non c’è più, il cielo è velato, fa pure freddo.
Al circolo a ora di pranzo siamo in quattro a giocare, di fianco a noi c’è l’altro quarto di finale con in campo la testa di serie numero uno. Mentre iniziamo il secondo set, è proprio l’avversario che mi dice che chi vince fra di noi giocherà contro uno di loro. Io fra una pausa e l’altra me li studio, sono due che giocano bene. Individuo subito quello più forte, il numero uno, fisico scolpito e allenato, colpi precisi e calibrati, mai una scelta troppo sconsiderata. Sarà una bella partita, penso, ma prima devo vincere un altro set.
Il vento peggiora le condizioni, per quanto possibile, il belare di un enorme branco di pecore che rincasa dietro il pastore fiancheggiando il campo rende ancora più bucolico il match, io continuo con lo spartito minimo e vinco anche questo set per 6-1. Mi fermo per bene a guardare l’altra partita. Il giudice mentre me ne vado mi dice che non giocherò il giorno dopo. Allora, dopo due partite nelle quali ho veramente colpito poco, scrivo ai soliti sparring per allenarmi al mio circolo. E quando ci torno vedo che rispetto ai primi giorni comincia a esserci più gente. Tennisti che si sono affrettati a fare la visita medica necessaria per la tessera agonistica, altri che giocano esattamente come prima. Non ci sono i vecchietti, quelli che di solito occupano i campi per ore, specie al mattino, praticamente adesso è il paradiso tennistico.
Quando torno al circolo del torneo c’è un’atmosfera totalmente diversa. È infatti il giorno delle finali di altri tabelloni Over e quindi c’è un po’ di pubblico, tutta gente rigorosamente del club, qualcuno a fare le foto, un paio di giornalisti locali a fare video. Si gioca su almeno quattro campi e quindi ci sono anche diversi tennisti. Due over 65 litigano per dei segni di palla, c’è la coppa in palio, fanno confusione, litigano pur essendo amici perché, scoprirò poi, sono quasi sempre loro a contendersi il titolo della categoria.
Sull’altro campo c’è la finale degli over 50. Uno dei due lo conosco, è un tennista di un circolo blasonato che però in campo propone un tennis sparagnino, di rimessa, giocando palle alte senza peso così, un po’ nonsense, nella speranza che l’altro, in questo caso un tipetto muscoloso dallo sguardo incazzato, si spazientisca. Non c’è nessuno tranne me a vederli per alcuni tratti, si vede che fra i due c’è un po’ di trascorso, della ruggine tennistica; capisco quindi che è per questo che quello del circolo importante gioca di rimessa, vuole fare innervosire l’altro, che però vince il primo set per 6-4. Tifo per lui, cerco di farglielo capire con lo sguardo mentre abbandono il campo.
Tocca anche a me. Quando inizio a palleggiare col mio avversario capisco subito che questo sa fare praticamente tutto, che è la cosa peggiore che ti può capitare a questi livelli. Lui è un seconda categoria, dovrò tirare fuori il meglio di me per competere.
L’inizio però per me è negativo. Vado avanti 40-0 servendo molto bene, perdo però cinque punti di fila e sono sùbito un break sotto. Lui consolida, accorcio sull’1 a 2 ma mi rendo conto che non sono in controllo di quello che sto facendo, lui invece sì: allunga 4-1. Non sono ancora riuscito ad arrivare a 40 sulla sua battuta, che è forte, ha una seconda solida, da fondo campo ha un rovescio in back che rimane molto basso, arrota in maniera ordinaria il dritto, sa giocare anche il rovescio lungo, insomma: è un bel giocatore che vale la classifica che ha. Io però non sono ancora entrato in partita, ma magari è solo lui che sta dominando. Chiude 6-1 poco dopo in maniera fin troppo facile.
Mentre mi godo il sole senza vento al campo campo, tanto che sono in pantaloncini e maglietta, a differenza del giorno prima, cerco di capire cosa posso fare per fare match pari. Non sto scambiando da fondo campo, mi dico, quindi non sento i colpi sicuri negli scambi brevi, quelli da 4 o 5 colpi in cui bisogna essere rapidi di pensiero e di azione. Lui in questo mi sta surclassando. Ci può stare eh, può essere più bravo, posso perdere, sono in pace con questo pensiero ma adesso il mio obiettivo è quello di rendergli difficile vincere il secondo set, non posso e non voglio uscire dal campo con un doppio 6-1.
Inizio vincendo il game in battuta, lui pareggia, io vado di nuovo avanti 2-1. Da fondo campo sto cominciando a tirargli qualche palla fastidiosa, colpi carichi di spin e profondi in maniera tale che lui non possa impattare con i piedi dentro il campo e ad altezza anca, la sua comfort zone. Sul due a due però va di nuovo in vantaggio di un break. Io però ottengo subito una palla break per recuperare, ma quando lui serve sul 30-40 scende a rete sulla prima e chiude un serve and volley impeccabile. Tiene il servizio e sale sul 4-2. Rimango in scia, accorcio sul 3-4 pensando a fare più game possibili, che magari un’opportunità arriverà, ed ad un certo punto arriva, nella forma di una palla break.
Giochiamo uno scambio abbastanza lungo, io accorcio sul suo rovescio e lui colpisce di rovescio tagliato in direzione incrociata seguendo l’attacco a rete. Io leggo bene l’attacco, arretro la posizione, metto bene le gambe e lascio partire un rovescio al corpo alla massima potenza, lui non fa una piega: impatta bene davanti, con l’avambraccio flesso ma che sembra d’acciaio, chiude incrociato e mi nega il 4-3.
La nuova palla break però è quella buona, recupero il break, adesso sento che sto giocando bene e vado subito sul 4 pari. L’ho ripreso, sono in partita, adesso posso giocarmela penso, anche lui avrà finalmente qualche pensiero per la testa. Il game del 4 pari è combattuto, lui ha palla per il 5 a 4, gliel’annullo, poi salva una palla break finché sul 40 pari non fa due doppi falli. La sensazione che ho della mia parte di campo è che il suo computer abbia commesso un errore per la prima volta.
Quando vado a servire per il set però, io sto giocando già da qualche game senza battuta, nel senso che la prima palla mi ha abbandonato. Quando c’è tensione, il servizio è il primo colpo che diserta. Fortunatamente non sbaglio la seconda, il game però lo perdo ugualmente, lui lo gioca con decisione, io stecco una palla, un rovescio finisce largo di poco. Tempo cinque minuti e con ritrovato vigore lui si riporta in vantaggio 6-5.
Ma io voglio il tiebreak, servo per arrivarci. Sul 15-15 pari giochiamo lo scambio più bello della partita. Battagliamo da fondo campo sull’incrociato di dritto per una decina di colpi, ad un certo punto cambio in lungolinea, lui mi fa un back incrociato profondo, io neanche ci penso, non dovrei forse prendere rischi visto che, sbagliando, lo manderei a due punti dalla vittoria. Colpisco in rovescio lungolinea a tutta velocità e sbraccio con una violenza inaudita, la palla è un tracciante imprendibile. Mi fa i complimenti, quando mi giro verso le tribune incrocio gli sguardi di quei cinque o sei che stanno seguendo le fasi finali della partita più combattuta in quel momento.
Prendo fiducia, è un buon momento, ed è così che nello scambio seguente chiudo il punto alla stessa esatta maniera. Ancora uno scambio lungo, ancora un back incrociato, stavolta però corto oltre che basso, colpire il lungolinea è ancora più difficile perché ho meno margine; è questa la parte più bella di questo gioco, leggere la palla dell’avversario, capire dove atterrerà, quanto rimbalzerà a seconda dell’effetto che ha e realizzare quindi dove posizionarsi, poi scegliere il colpo da fare, e qui iniziare a fare i calcoli, nel mio caso so bene che per mandarla in lungolinea la palla dovrà passare pochi centimetri sopra la rete, però poi so che dovrò darle tanta forza perché sto cercando un vincente, ma non troppa, altrimenti andrà lunga. Tutti questi pensieri, progettazioni e calcoli, si svolgono in un secondo: fantastico. Come è fantastico il risultato se i calcoli sono giusti, il mio rovescio lungolinea è di nuovo perfetto, vincente. Arrivano altri complimenti.
Arriviamo al tie-break. Fino al due pari sono in partita. Lui però va sul 4-2, con coraggio segue un rovescio a rete e il mio passante lungolinea stavolta è largo di poco, una mia stecca lo manda sul 5-2. Qui fa il pugnetto, mi sento spacciato. Vince rapidamente altri due punti e mi manda a casa.
Mentre mi complimento sinceramente con lui, decido di non farne un dramma, inizio a pensare però come ho perso facilmente quel tie-break, nel quale ho fatto solo due punti. Ne parlo pure con lui, che è uno a posto e con il quale mi intrattengo volentieri. Guardiamo un po’ dell’altra semifinale sull’altro campo, commentiamo le altre partite. Pensiamo le stesse cose dei giocatori in campo, perché alla fine nel circuito over romano nelle fasi finali ci sono sempre gli stessi, questa volta ci sono anche io.
Esco dal campo quando una donna mi ferma per farmi i complimenti e mi chiede una fotografia, sorrido imbarazzato, assecondo la richiesta e poi guadagno l’uscita non prima che la sua amica mi faccia alt con la mano per dirmi qualcosa: “Senza nulla togliere all’avversario, hai il rovescio ad una mano più bello del torneo, complimenti”. Mi strappa un sorriso, decido che per il weekend mi farò bastare questo.