Abbiamo problemi con la gente.
Alle 17 dovrebbero arrivarci e questo è quasi tutto quello che si può dire del secondo slam di questo inaspettato 2020, un anno che non accenna a finire e che non è detto che non duri più del solito. Le storie sono più o meno note. Dopo lo stop di fine febbraio, con la solita inutile coda della Coppa Davis o “come si chiama adesso”, il tennis si è arrotolato su se stesso, cercando di capire cosa diavolo fosse successo al mondo e come sopravvivergli.
Dopo che a maggio si è deciso che il virus ok, ma insomma si deve pur vivere, invece di ricominciare, il mondo del tennis ha deciso di mostrarsi competitivo nello scatenare idiozie delle quali si fatica molto a capire il senso. Aiutato dall’essere uno sport per definizione internazionale, perso tra le mille raccomandazioni differenti di 150 stati diversi che coinvolgono mascherine, distanziamenti, contatti, assembramenti e via delirando con grande dignità il tennis ha detto “no grazie, noi ci fermiamo qui”.
Peccato che anche gli addetti ai lavori devono pur campare e se Federer e Nadal si possono fermare pure fino a Natale del prossimo secolo, migliaia di magazzinieri, bigliettai, ristoratori, allenatori, sparring partner, persino qualche giornalista “o come si dovrebbero chiamare ora” e tutti quelli fuori dalla top 100 qualcosa dovevano pur fare. CI ha pensato Djokovic, che a metà giugno si è disinteressato del coronavirus e ha organizzato un torneo che è finito sui giornali perché, come è ovvio e come è sempre successo, qualcuno si è beccato il virus. Risultato? Nessuno, perché lo stesso Djokovic si è ripreso rapidamente ed è tornato a vincere, come al solito insomma.
Lo Slam da giocare a tutti i costi però ha avuto in Benoit Paire la variabile impazzita. Impensabile che non ci fossero positivi all’interno di questa cosiddetta bolla degli US Open, con tanti lavoratori che vi accedono ogni giorno per poi tornare a casa dalle famiglie, così com’era facilmente prevedibile che i giocatori si incontrassero nell’hotel dove sono confinati – quelli con un ISEE normale e non come Djokovic, che ha affittato una villa. Uno come Benoit Paire è stato in contatto con almeno 11 giocatori, quasi tutti francesi, più uomini che donne e fra queste sicuramente c’è Kiki Mladenovic, venuta a New York con suo fratello, accreditato come coach. Ora, coerenza avrebbe voluto che a Paire e ai suoi “contatti”, e quindi diversi altri giocatori, si fosse applicato il metodo Pella/Dellien, non dei dittatori sudamericani ma due tennisti squalificati dal torneo di Cincinnati perché il loro coach è risultato positivo. Loro, pur essendo sempre stati negativi al SARS-CoV-2, solo per il fatto di esserci stato in contatto sono stati costretti al ritiro dal Western and Southern Open.
In America si giocherà senza pubblico, il Roland Garros avrà al massimo 5.000 persone sugli spalti contrariamente a quando volevano gli organizzatori e Roma, beh a quindici giorni dall’avvio del torneo c’è gente con ancora i biglietti per maggio senza notizie di rimborso o altro. Guardare dal vivo i match dei campioni senza pubblico è un’esperienza surreale, immaginiamo, in televisione la situazione migliora un po’. Anche perché non ci fossero i soliti famosi in campo le tribune non sarebbero esattamente piene. Gli US Open si giocheranno senza tanti campioni che hanno preferito rimanere o rientrare a giocare in Europa: Nadal, Wawrinka, Monfils, Halep, Barty e altri ancora. Questa poteva essere l’occasione buona per portare gli Slam sulla formula dei due set su tre, che consentirebbe di avere match al massimo di tre ore di gioco, che sono già tante per uno sport del quale al massimo si sa l’orario d’inizio e non quando finisce la partita. Anche perché le televisioni sono oggi l’unica fonte di guadagno per l’organizzazione dei tornei, figuratevi quanto sono contente le TV di mandare in onda 4 ore di Opelka e Isner al poligono o Ramos Vinolas che palleggia con Carreno Busta. Quattro ore a guardare tennis in tv ci sono solo se giocano Federer, Nadal, Djokovic e se la partita è pure bella o combattuta, altrimenti i risultati di pubblico sono quel che sono. Meglio passare al 2 su 3, renderebbe più vulnerabili anche i campioni ammazza tornei rendendo il circuito più interessante e arricchendolo di nomi nuovi per quanto riguarda i vincitori. Non è questo che tutti vogliono?
Non che ci si annoiasse, almeno c’era un po’ di tennis in tv da guardare, ma Novak Djokovic mentre lottava contro il torcicollo e avversari ha trovato tempo per battezzare la Professional Tennis Players Association, un sindacato dei giocatori di cui si parla da circa 50 anni e che nessuno ancora è riuscito a formare. Si tratta della sfida più ostica che dovrà fronteggiare Novak, che nel caso non diventi il tennista più forte di sempre (almeno per titoli e numeri dovrebbe farcela entro qualche anno) potrà essere celebrato come colui che formò il sindacato che migliorò la vita dei giocatori. Che pure è migliorata negli ultimi anni, pensiamo al livello del prize money negli Slam significativamente cresciuto, ma che rimane pur sempre fra il 18 e il 20% degli introiti totale, come ha sottolineato il solito Murray. Un po’ poco, no? Murray però non è entusiasta dell’associazione perché non comprende le donne, almeno fin qui. Pospisil, scudiero di Djokovic in questa guerra contro i giganti, ha detto che è tutto in divenire e tutto potrà essere. Di certo i nemici si chiamano Gaudenzi (che praticamente sta “minacciando” via WhatsApp i giocatori che aderiscono all’associazione), US Open, Roland Garros, Wimbledon, Australian Open, Roger Federer e Rafael Nadal, ci aggiungiamo anche l’ITF, che organizza non sappiamo più neanche cosa. Chi ha i soldi, insomma, osteggia Djokovic, e questa è già una seria indicazione per scegliere il proprio lato in questa guerra. Il serbo però si è “dimenticato” delle donne ma potrebbe recuperare e allora non ci sarebbero scuse per non aderire a questo sindacato che, sensibilmente, potrebbe riuscire a far campare di tennis più persone di quante oggi campano di tennis.
Djokovic non è riuscito a perdere l’ennesimo Masters 1000 con un pochino di torcicollo, contro un Bautista Agut che è stato a due punti dalla vittoria e col forse miglior Raonic di sempre. Potrà perdere questo torneo con l’ulteriore conforto della formula best of five?
L’antagonista di gennaio, quel Thiem che ha già perso tre finali Slam, ha vinto solo tre game al primo turno contro Filip Krajinovic, il famoso “zingaro di merda”, secondo l’ipse dixit del nostro eroe nazionale Fabio Fognini (che non ci sarà, impegnato ad allenarsi per la terra con Sampei-Barazzutti). Detto che Thiem potrà, si spera per lui, riprendersi, c’è Tsitsipas che nel torneo non è mai arrivato al terzo turno, c’è Medvedev che a Cincinnati ha perso (male) proprio contro Bautista Agut, e poi c’è Berrettini chiamato a una verifica importante, stante la sconfitta contro Opelka al primo turno del W&S Open che ci può stare. Altri nomi? Suvvia.
Sarebbe una vera sorpresa se Serena Williams riuscisse a vincere il torneo e, così, lo Slam numero 24. Un po’ tutti tifano l’impresa sportiva, quelli più intelligenti anche con la motivazione che questa vittoria varrebbe il record di Slam in ambito femminile, anche se ex aequo con Margareth Court. Ma Serena a Cincinnati è parsa in condizioni fisiche precarie, e qui il torneo è più lungo. Potrebbe vincere chiunque, come in ogni torneo femminile, ma sempre quelli intelligenti tiferanno per Naomi Osaka, la vera vincitrice di Cincinnati. Ha di fatto imposto uno stop di un giorno al torneo dichiarandosi pronta a saltare la semifinale contro Elise Mertens per solidarietà con le proteste delle strade USA contro l’uso brutale e mortale della forza da parte della polizia. “È un genocidio, quando ne avremo abbastanza?”. Dei vecchi non ha parlato nessuno, giusto il canadese Raonic. Vi preghiamo, giovani, fate presto.