Abbiamo problemi con la gente.
Matteo Berrettini ha chiuso il 2018 al numero 54 della classifica ATP e un anno dopo, per male che possano andare le Finals, chiuderà al numero 8. Succedesse l’inimmaginabile, il romano non potrebbe in ogni caso andare al di là della sesta posizione, ma forse un pensierino al settimo posto di Zverev qualcuno potrebbe anche farlo, considerata la stagione deludente del tedesco. Nell’anno che avremmo dovuto celebrare con l’agognata top 10 conquistata da Fabio Fognini, una presenza fra i migliori dieci del tennis che mancava da 40 anni, ecco che, silenziosamente e a piccoli passi, Berrettini si è preso la scena, relegando il best ranking di numero 9 del mondo di Fognini a una sorta di medaglia al valore arrivata quasi ad honorem nella fase finale della sua carriera.
L’ultimo italiano nella top 10 prima di Fabio Fognini e Matteo Berrettini è stato Corrado Barazzutti. Correva l’anno 1978, il tennis era diviso fra federazioni che si litigavano i giocatori migliori. Per dire: Corrado Barazzutti, certo di partecipare proprio al Colgate-Palmolive Master 1978, le ATP Finals di allora, rinunciò a partecipare agli Australian Open che in quel periodo iniziavano subito dopo Natale (il Masters infatti si giocava nel gennaio dell’anno seguente).
Da allora abbiamo dovuto aspettare Fabio Fognini, che ce l’ha fatta soprattutto grazie a Rublev, che nel primo turno di Montecarlo 2019 era in vantaggio per 6-4 4-1 40 a 15 sul proprio servizio. Avesse perso quella partita, e i 1000 punti ATP che ne sono conseguiti battendo Lajovic in finale, Fognini starebbe dalle parti della top 30. Ad ogni modo la volatile posizione di top 10 di Fabio (durata giusto qualche settimana) è stata oscurata dai progressi continui nel ranking di Berrettini. L’ascesa del romano non è stata travolgente, ma è stata piuttosto il risultato di un’accorta programmazione, tesa a centrare appunto avanzamenti nel ranking piuttosto che, forse improbabili, successi in tornei di rilievo.
In questo modo va vista ad esempio la scelta di fine aprile, quella di andare a giocare – e vincere – il torneo di Budapest invece di affrontare le qualificazioni al Masters 1000 di Madrid. Scelta felicissima in ottica ranking perché i 250 punti accumulati superando avversari come Djere, Bedene o Krajinovic sono un po’ meno complicati di una semifinale Masters 1000. Ad ogni modo, Matteo ne ha approfittato per mettere insieme un buon terzo trimestre tra la vittoria sull’erba di Stoccarda che ha fatto da prodromo agli ottavi di Wimbledon, nel quale è incappato in quella giornata da dimenticare contro Federer, e soprattutto la semifinale di New York, risultato che gli ha consentito di eguagliare quanto fatto da Cecchinato a Parigi.
Ma è stato l’ultimo trimestre del 2019 a consacrare il romano. Novanta giorni cominciati male, con le sconfitte in Russia e Cina, per poi arrivare a Shanghai e conquistare due splendide vittorie contro Bautista Agut prima e Thiem poi. A quel punto, a Berrettini è bastato vincere tre partite a Vienna per qualificarsi a Londra.
Questi risultati sono certamente buoni ma non travolgenti e, come accennavamo all’inizio, quello che è sembrato straordinario per Berrettini è molto deludente per Zverev. E del resto qualcosa in più forse ci si aspettava anche da Tsitsipas, che ha avuto una stagione molto migliore del romano, con successi molto pesanti come quello contro Federer a Melbourne, contro Nadal sulla terra di Madrid e contro Djokovic a Shanghai.
Non sarà male ricordare che mentre Berrettini è un ‘96, Zverev – che ha già vinto 3 masters 1000 – è un ‘97 e Tsitsipas addirittura un ‘98: è 28 mesi più giovane di Berrettini. Il risultato del romano torna straordinario se guardato in ottica locale, posto che nel tennis abbia senso. Basti considerare che Fognini, il miglior giocatore italiano degli ultimi 30 anni, negli Slam vanta come miglior risultato quel quarto di finale conquistato al Roland Garros 2011 (battendo Albert Montanes negli ottavi, non Borg). Fognini non giocò quel match per infortunio, avrebbe dovuto affrontare il Djokovic del 2011, quello invincibile.
Ma proprio da Fognini arriva una diversa interpretazione di questa “strategia” tesa a conquistare posizioni nel ranking più che a misurarsi su tornei importanti. Fognini infatti è stato in corsa per qualificarsi alle Finals fino al torneo di Parigi Bercy, sconfitto contro Denis Shapovalov. Le sue ultime parole prima di dedicarsi appieno alla famiglia però sono state di rammarico proprio per essersi reso conto di aver programmato male il 2019.
Fognini ha accusato direttamente il suo team, il “dimissionario” Franco Davin, di avergli suggerito di preferire i tornei minori nella caccia ai punti ATP. La strategia Davin, secondo Fabio, non ha pagato in termini di possibilità di qualificarsi alle ATP Finals. Va detto che il primo a non crederci, in questa ultima fase di stagione, sembrava proprio lui: sconfitta al primo turno contro un ex giocatore come Janko Tipsarevic a Stoccolma e al secondo turno del torneo di Basilea contro Filip Krajinovic. Poteva fare punti, si è trovato invece a fare le valigie spesso e in fretta. Verosimilmente, una chance così vantaggiosa per Fognini di partecipare alle ATP Finals difficilmente ricapiterà.
Naturalmente una strategia di questo tipo “premia” soltanto se i più forti hanno annate deludenti. Berrettini si è qualificato con appena 2670 punti, punteggio più basso da quando l’ATP assegna punti con il sistema oggi in vigore, cioè dal 2009. Questo significa che sostanzialmente Matteo ha dovuto fare un po’ meno di chi l’ha preceduto per raggiungere lo stesso risultato. Il che sposta un po’ la questione, nel senso che diamo pure grandi meriti a Berrettini, ma il livellamento del 2019 è stato tale che appunto è bastato poco per arrivare alle Finali.
I punti del giocatore n.8 alle ATP Finals dal 2009:
2019: Matteo Berrettini 2670 punti
2018: John Isner 3155
2017: Jack Sock 2765
2016: Dominic Thiem 3215
2015: Kei Nishikori 4035
2014: Marin ccilic 4150
2013: Richard Gasquet 3300
2012: Jo-Wilfried Tsonga 3490
2011: Mardy Fish 2965
2010: Andy Roddick 3665
2009: Robin Soderling 3000
Ma questo è un discorso un po’ più generale e che riguarda lo stato del tennis contemporaneo, ancora sospeso nel limbo di un ricambio lentissimo. I giocatori più forti giocano solo gli Slam e lasciano ampie briciole a quelli che vengono dietro; ma la generazione di mezzo – Dimitrov e Nishikori soprattutto – si è logorata nell’attesa e deve vedersela adesso con i nuovi rampanti, come Tsitsipas, la sorpresa Medvedev, Zverev e lo stesso Shapovalov che però non si sono ancora stabilizzati.
In questo limbo di tanto in tanto possono emergere giocatori come i nostri, molto forti ma non proprio a livello dei migliori. Resisteranno negli anni ‘20? Fognini sembra ormai nella fase discendente della carriera e Berrettini può certo migliorare qualcosa soprattutto dalla parte del rovescio ma difficilmente sarà mai a livello di quelli appena citati. Se proprio siete interessati alle sorti del tennis patrio meglio guardare dalle parti di Sinner.