Abbiamo problemi con la gente.
By Salvatore Termini Posted in spotting on 21 Ottobre 2019 5 min read
Il 2019 è stato, fin qui, un anno sin troppo simile al 2018 e al 2017. Dopo dopo la Golden Age nera era forse giusto attendersi il tedio e sbagliamo da queste parti a lamentarsi troppo. Però una sola partita decente in tre anni è forse troppo – e no, non parliamo della finale di Wimbledon 2019 – e per questo, alla stessa stregua di chi dopo tanto digiuno trova un pezzo di fame raffermo, siamo pronti ad esaltarci per un normale settimana passata al chiuso dei palazzetti del nord Europa.
È successa la piccola cosa che a vincere i tre “250” siano stati tre giocatori cari agli dei, per motivi vari. L’anestetizzato pubblico del tennis (certo certo: del tennis) ha già riempito i siti internet e quel che resta dei giornali con il ritorno di Andy Murray, il Ringo Starr degli anni che dal 2007 al 2017 hanno monopolizzato questo sport con la racchetta di cui spesso si sente il peso. E quel che è sempre piaciuto in Murray è che sembrava lo sentisse anche lui, il peso, e che da quello cercasse di sfuggire, rifugiandosi nella vita reale ed evitando di occuparsi di dritti e dropshot, sconfinando tra l’indipendenza della Scozia e l’idea di non giocare mai più su un campo intestato ad una volgare signora venuta dai buchi più neri dell’animo umano, più che dall’altra parte del mondo.
In mezzo, Murray ha sempre dispensato umanità, come quando dopo essere diventato numero 1 del mondo la cosa che gli venne in mente fu “a cosa serve vincere tanti slam se poi da grande tua figlia racconta agli amici che a casa non c’eri mai?”. Uno così era sin troppo eccezionale per un ambiente in cui tutto è amazing, un posto nel quale se si piange è perché si è perso il millesimo titolo. Se non ci si fossero messe le articolazioni delle anche, si sarebbe trovato altro per evitare che le luci puntassero troppo su Andrew Murray.
Anche il suo ritorno promette di essere diverso da quello degli altri tre, ma Anversa per quanto ci riguarda basta e avanza specie se se poi, tra un torneo e l’altro, riesce a trovare tempo per spiegare a certi figuri di rivedibile intelligenza la differenza tra l’essere spiritosi e essere inopportuni. Speriamo resti a lungo tra noi e anche se non arriva a domenica meglio così, saremo liberi di andare al mare e di stare anche noi con le nostre figlie.
È finalmente arrivata anche la prima vittoria di Denis Shapovalov, che dopo un 2018 di assestamento si era un po’ fermato. Il canadese ha appena 20 anni, lo ricordiamo diciottenne conquistare la semifinale nel Masters 1000 canadese dopo aver battuto nientemeno che Rafa Nadal. In quel fine estate in cui tutto sembrava facile, Denis arrivò ad un passo dal quarto di finale a New York. Sembrava che la vetta fosse lì, a pochissimi passi. Shapovalov, invece, ha fatto dei progressi un po’ più lenti di quanto ci si aspettasse e dopo la top 20, raggiunta proprio alla vigilia del ventesimo compleanno grazie alla semifinale di Miami, sono arrivate alcune sconfitte in serie che forse hanno insinuato qualche dubbio nella testa del canadese.
Shapovalov ha fra l’altro un gioco senza margini, nel senso che tutto deve girare per il verso giusto per permettergli di esprimere il potenziale enorme che si ritrova, altrimenti finisce col perdere facilmente il controllo dei colpi, a partire dal rovescio, colpo splendido da vedere ma di difficoltà enorme. Ad ogni modo, Shapovalov anche in questi sei mesi di relativa oscurità ha sempre mostrato un gioco divertente, basti ricordare i 5 set contro Monfils a New York. A Stoccolma ha vinto un torneo contro avversari non certo irresistibili ma si è detto tante volte che la strada per acquistare fiducia passa dal saper sfruttare anche occasioni semplici.
La terza buona notizia riguarda Andrey Rublev, che ha festeggiato il suo ventiduesimo compleanno vincendo il suo secondo torneo, due anni dopo il primo, vinto da lucky loser ad Umago. Il russo è un altro dal talento cristallino, capace di muoversi benissimo e di colpire con grande anticipo e violenza sia di dritto che di rovescio. Paradossalmente, anche lui soffre dello stesso problema di Shapovalov, quello di dover avere tutti i pezzi del gioco a posto e forse anche quelli fuori dal gioco, perché ci vuole nulla per fargli perdere la calma e con quella partite e tornei.
A Mosca ha tenuto benissimo di testa, chiudendo tutte le partite in crescendo e giocando bene anche nei momenti delicati, cosa che aveva già fatto vedere a New York ma che non è proprio la sua caratteristica principale. Rublev è stato sin qui terribilmente discontinuo, ma preso per il verso giusto a tratti riesce semplicemente a non far giocare l’avversario. Il fatto di avere ormai anche scalpi prestigiosi nel carniere, non ultimo quello di Federer (ma anche Tsitsipas e Thiem hanno dovuto arrendersi al russo), potrebbe indurlo a cercare una approccio più sereno, per così dire, al tennis, ma è un pronostico impossibile da fare seriamente, non siamo certo bravi come quelli che sanno che un diciottenne con meno di 15 partite alle spalle vincerà tutto quello che c’è da vincere, beati loro.