Abbiamo problemi con la gente.
By Daniele Vallotto Posted in monografie on 7 Gennaio 2019 6 min read
Tra i migliori match femminili del 2018 c’è un ottavo di finale agli US Open tra la testa di serie numero 20 e la testa di serie numero 26. Sulla carta un match di secondo piano, visto che agli ottavi, almeno in linea teorica, cominciano a scontrarsi tenniste con teste di serie più alte. In pratica, fu il match più equilibrato e incerto di quegli ottavi, ma soprattutto fu quello dal livello qualitativo più alto, e non di poco: lo vinse Naomi Osaka, 6-3 2-6 6-4 ad Aryna Sabalenka. Una classe 1997, che una settimana dopo vincerà il torneo, contro una classe 1998. Poca esperienza, sì, ma tantissima potenza. Fu il match più duro che Osaka dovette giocare in quelle due settimane, e non è poco considerato che in semifinale e finale affrontò Keys – che due anni prima l’aveva rimontato da 5-1 nel terzo – e Serena Williams. «Per una volta», disse a fine partita «ero io quella con più esperienza». E in effetti la sensazione fu che solo un pizzico di abitudine in più avesse aiutato Osaka a superare un’avversaria dal braccio velocissimo, talmente veloce da far sembrare normali i colpi potentissimi della giapponese.
Aryna Sabalenka non era arrivata a giocarsi la chance di qualificarsi ai quarti degli US Open per caso. La settimana prima aveva vinto a New Haven il primo torneo della carriera, battendo cinque ottime tenniste, tutte molto diverse l’una dall’altra: Stosur, Gavrilova, Bencic, Görges e Suárez-Navarro. A Cincinnati, battendo Konta, Pliskova, Garcia e Keys, si era qualificata per le semifinali, fermandosi contro una Halep che giocò un match al limite della perfezione. Con 5 vittorie su 9 contro le top 10, insomma, c’era da aspettarsi che la bielorussa avrebbe dato filo da torcere alle migliori. Non sappiamo se avrebbe vinto il torneo, anche s fosse riuscita a mantenere il break di vantaggio nel terzo set contro Osaka, ma sappiamo che nessuno più di Sabalenka ha messo in crisi il tennis quasi impeccabile che la giapponese mise in mostra a New York.
Con la vittoria a Shenzen, terzo torneo vinto in carriera, è salita al numero 11 del mondo e già agli Australian Open potremmo trovarla in top 10. Considerato che ha un record negativo negli Slam – 4 vittorie e 5 sconfitte – l’exploit degli ultimi mesi potrebbe sembrare sorprendente, ma per chi segue Sabalenka da un po’, c’è ben poco di cui stupirsi. Messasi in mostra nel 2017 in Fed Cup – quando sconfisse in tre set la campionessa degli US Open, Sloane Stephens -, la bielorussa ci ha messo poco a trovare i pezzi del puzzle. Dmitry Tursunov, che è diventato suo coach da qualche mese, non usa mezzi termini per descriverne il potenziale. Ha detto, per esempio, che Sabalenka ha il potenziale per cambiare il tennis come hanno già fatto Steffi Graf, Monica Seles e Serena Williams. In attesa che il campo dia ragione al suo allenatore, Sabalenka vince sempre più spesso e sempre più volentieri. Dopo gli US Open ha vinto il titolo più importante, finora s’intende, a Wuhan e ha chiuso la stagione con un ottimo 8-4 contro le top 10 a fine anno, battendo Kvitova a New York, Svitolina a Wuhan e Garcia a Pechino. Non è bastato per qualificarsi alle WTA Finals, ma in molti si aspettano di vederla a Shenzhen, sede delle Finals nel 2019, magari già con un titolo dello Slam in bacheca.
I bookmaker l’hanno già messa tra le prime favorite agli Australian Open e non c’è dubbio che fuori dalle prime 8 sia lei la tennista più temibile. Sabalenka mette in campo una ferocia agonistica che fa impallidire perfino quella della sua più celebre connazionale, Viktoria Azarenka. È alta 1 metro e 82 e i suoi ampi movimenti non possono che intimidire le sue avversarie. L’alto lancio di palla al servizio, per dirne uno, sembra quasi dare ancora più efficacia ad un colpo che è già tra i migliori nel circuito e che probabilmente sarà quello su cui Sabalenka lavorerà di più. Quando le hanno chiesto su cosa pensava di dover migliorare, ha risposto molto decisa: «La percentuale di prime palle». È stato un doppio fallo a costarle il match contro Osaka, ma più che le percentuali, il nemico di Sabalenka sembra la sua irruenza, che Tursunov sta pazientemente gestendo: «Il mio lavoro è capire in cosa può migliorare. È una questione di fiducia. È come se fosse una conversione religiosa: non puoi forzare la gente, devono fidarsi di te e tu devi essere bravo a trasmettere il tuo messaggio con convinzione, spiegare fino al minimo dettaglio e rispondere a ogni domanda che ti viene rivolta. Se non sei capace di farlo, se usi la tua autorità e basta, il giocatore si chiude in sé stesso».
Meno di un anno fa, Sabalenka era considerata una sparapalle che giocava un tennis senza margini, ma c’è voluto ben poco perché in molti si ricredessero. È capace di giocare con molto spin, specie dalla parte del dritto, di giocare degli ottimi colpi difensivi e se viene costretta a scambiare a lungo, riesce a tenere a bada l’istinto primario della tigre, quella che ha tatuata sul braccio sinistro. La partita con Osaka, anche lei spesso vista come una grandissima colpitrice scriteriata, è la perfetta dimostrazione che Sabalenka ha tutto ciò che serve per vincere ad alti livelli. Le manca ovviamente un po’ di malizia, ma per quella è solo questione di tempo. A Melbourne sarà l’undicesima testa di serie, sempre che non arrivino dei ritiri, e se magari pensare alla vittoria può sembrare affrettato, va ricordato che Naomi Osaka, che ha solo qualche mese in più, non aveva mai passato il terzo turno in uno Slam prima di vincere a New York. Ad ogni modo, a soli vent’anni, Sabalenka sembra aver già trovato l’equilibrio necessario per poter pensare in grande mentre il circuito femminile, decisamente più aperto alle sorprese di quello maschile, sembra già pronto a incoronare una nuova regina.