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Alcune cose che succederanno nel 2019

Torna Murray, c’è sempre Federer con Nadal e Djokovic, e poi ci sarebbero i giovani, invecchiati di un anno. Come sarà il 2019?

Torna Murray, c’è sempre Federer con Nadal e Djokovic, e poi ci sarebbero i giovani, invecchiati di un anno. Come sarà il 2019?

Federer non vincerà più uno Slam

Un anno fa di questi tempi, in Australia, Federer si preparava a vincere il ventesimo Slam della sua carriera, record assoluto fra i maschi. L’incredulità generale, per certi versi, fu ancora maggiore di quella del suo grande e vittorioso ritorno del 2017, sempre a Melbourne, quasi cinque anni dopo Wimbledon 2012, l’ultimo grande titolo vinto dallo svizzero fin lì. Il resto del 2018 ha però certificato la sua inevitabile decadenza. Federer si è tolto lo sfizio di riprendere il numero 1 a Nadal andando a vincere a Rotterdam, ha regalato un altro torneo a del Potro e poi è calato il sipario.

A Wimbledon c’è stata la famosa partita persa rocambolescamente contro Kevin Anderson, a New York la clamorosa sconfitta contro Millman. Questi sono gli esempi più emblematici di come cose una volta impossibili da immaginare oggi avvengano più di frequente. Niente di cui meravigliarsi. Per questi motivi, legati inevitabilmente all’età, difficilmente Federer potrà pensare di trionfare ancora in un torneo maggiore. Troppe le variabili in gioco dal punto di vista delle costanza di prestazione, dei bioritmi fisici e, soprattutto, degli avversari: i soliti di sempre (Djokovic su tutti) e quelli nuovi che oggi hanno meno paura di affrontarlo, anche in uno Slam.

Insomma, lo stesso paragrafo che scrivemmo all’inizio del 2017 prima degli Australian Open, con ben 5 anni di assenza di vittorie dei tornei maggiori a rinsaldare le nostre convinzioni. E poi è andata com’è andata.

Il 2019 di Roger inizia con la Hopman Cup.

Il ritorno di Murray e Wawrinka: ma come?

Il 2018 di Wawrinka è stato un anno di pure esibizioni. Qualche partita vinta decentemente, tante altre giocate giusto per onor di firma, qualcuna che poteva andare diversamente. Infortunarsi dopo i 30 anni di età non è la stessa cosa che farlo a 23, ovviamente, e quindi c’è da mettere in conto un anno transitorio dal punto di vista dei risultati. Se il ginocchio sia tornato o meno a funzionare correttamente lo sapremo presto, forse già dai prossimi Australian Open; questo ci permetterà di capire se uno Stan Wawrinka sostanzialmente riposatosi nel 2018 (sia dal punto di vista mentale che fisico) sarà in grado di competere al 100%. Se così sarà, come non considerarlo tra i favoriti nei tornei? Parliamo, lo ricordiamo, di uno che ha vinto un Australian Open, un Roland Garros e uno Us Open (su 4 finali disputate). Non robetta.

Il 2018 di Wawrinka potrebbe essere il 2019 di Murray. L’infortunio all’anca di Andy è anche più serio di quello occorso allo svizzero. Ci vorrà forse più tempo per tornare al 100%, se mai ci tornerà. Perché c’è anche questo rischio, che il Murray vincitore di tre Slam non possa tornare a competere come una volta. Probabile che la sua annata sia un’alternanza di prestazioni buone ad altre meno buone, che sia una stagione all’insegna della discontinuità, utile forse a riprendere confidenza con il campo in maniera maggiore rispetto all’annata 2018, conclusasi a fine settembre con la sconfitta contro Verdasco a Shenzhen. Parliamo comunque di un grande campione che potrebbe anche sorprenderci, tutto il movimento tennistico ne sarebbe felice, se non altro perché in conferenza stampa si potranno ascoltare risposte intelligenti a domande spesso stupide.

Nadal e Djokovic un anno dopo

Cosa ricordiamo del 2018 di Nadal? Il solito Roland Garros vinto e i puntuali infortuni. E cosa invece del 2018 di Djokovic? Mezzo anno dominato come ai suoi bei tempi. Due annate tutto sommato classiche, nel senso di già vissute. Lo spagnolo che risulta il solito dominatore sulla terra battuta e che gioca bene in Australia, dove è frenato da un infortunio (contro Cilic) e anche a Wimbledon (storica sfida e sconfitta contro Djokovic) per poi ritirarsi in diversi tornei nell’ultimo quarto di stagione (dagli US Open in poi, torneo nel quale si è ritirato contro del Potro, ha praticamente smesso di giocare). Il solito Rafa di questi anni insomma, capace di vincere dove ha sempre vinto e costretto a fare i conti con infortuni sempre crescenti e chissà quanto superati. E nel 2019? Con un anno in più sulle spalle, sarà già un ottimo risultato confermare il Roland Garros.

E Djokovic? Dei tennisti nominati fin qui è il più giovane. I sei mesi del 2018 nei quali ha vinto tutto non dovrebbero averlo logorato mentalmente, e comunque ora nel suo angolo c’è un sergente e non più un filosofo. Fisicamente integro, non sarebbe una sorpresa vederlo dominare ancora una volta il tennis. Non ce lo auguriamo, tifiamo competizione, ma potrebbe accadere. Dovesse farlo, sarebbe caccia grossa ai 20 slam di Federer, e lì poi i tifosi dello svizzero penserebbero a una Jonestown 2 (si scherza eh).

I due inizieranno la stagione con i soliti bonifici degli Emirati Arabi Uniti, a Mubadala.

https://twitter.com/DjokerNole/status/1077127376591499266

Il primo NextGen che vincerà uno Slam

Se dovessimo dare retta al finale di 2018 pare che proprio stia arrivando davvero (ma quante volte l’abbiamo scritto?) il momento del ricambio. Khachanov e Zverev – e prima di loro Tsitsipas – hanno superato Djokovic senza neanche faticare più del dovuto, nonostante il serbo sia riuscito a vincere gli ultimi due Slam e superare Coric in finale a Shanghai. Ma la sensazione è che davvero finalmente ci siamo, tant’è che il prossimo Zverev-Djokovic non vedrà necessariamente il numero 1 del mondo come favorito. Questo naturalmente non significa che Djokovic non potrà batterlo, ma la partita non sarà più scontata come è sembrata fino all’atto conclusivo delle Finals. E la stessa cosa si può dire sia per Federer, superato dallo stesso Zverev a Londra ma anche abbastanza nettamente da Coric a Shanghai, sia per Nadal, che dal suo canto pare aver abbandonato l’idea di poter essere competitivo sul cemento. Naturalmente il nome che viene facile giocarsi è quello del tedesco, che prima o poi inevitabilmente risolverà i suoi problemi con gli Slam, ma in ogni caso Tsitsipas e Shapovalov non sembrano lontanissimi. Poi c’è sempre l’enigma Kyrgios, che dopo aver sistemato un po’ la testa si è trovato a dover fare i conti col fisico. Superasse anche questo problema sarebbe lui a mettere d’accordo tutti quanti; però anche qui: quante volte l’abbiamo scritto? Da questo quartetto, insomma, uscirà un vincitore Slam del 2019.

https://www.instagram.com/p/BrxOi91H9RA/

#PrimaGliItaliani

Secondo molti commentatori il 2018 è stato un anno di rinascita per il tennis italiano. La semifinale Slam ritrovata 40 anni dopo l’ultima, la crescita impetuosa di un giovane big server buono forse più per i campi duri che per la terra e la miglior stagione del nostro numero 1, capace di vincere tre tornei, fare finale in un quarto e raggiungere altre quattro volte le semi. Eppure, dietro questa panoramica, la situazione resta molto preoccupante e anche la lettura dei risultati è un po’ superficiale.

La semifinale è stata raggiunta da un 25enne su cui nessuno puntava più e che aveva trascorso la carriera vivacchiando nei challenger e finendo immischiato anche nel giro scommesse-squalifiche. Cecchinato ha vinto il suo primo match lontano dalla terra soltanto a settembre 2018, e quel Roland Garros è stato così anomalo da permettere ad un giocatore sotto due set a zero contro Copil, che sulla terra invece non vince mai, di arrivare appunto fino alle semi. Che possa capitare una volta nella vita è raro ma, appunto, può succedere. Che indichi qualcosa di più di una casualità invece è impensabile in fondo a Parigi in semi c’è arrivato persino Gulbis…

Su Matteo Berrettini il 2019 ci dirà di più. Il ragazzo è in crescita e in fondo i suoi quasi 23 anni non sono poi tantissimi, nonostante sia impietoso il raffronto con quelli veramente forti, come Zverev o anche Tsitsipas e Shapovalov. Il problema del rovescio sembra serissimo, nel senso che gli avversari sapranno sempre cosa fare se dovessero entrare in difficoltà, ma servizio e dritto possono regalargli la top20, sempre che il fisico, un po’ fragile, l’aiuti. Insomma Berrettini appare un buon ricambio per Seppi, del quale sembra abbia preso anche la serietà agonistica. Per chi si accontenta va bene così, ma non sarà lui a raggiungere costantemente la seconda settimana di uno slam.

Last e forse anche least, il solito equivoco Fognini. Lo abbiamo detto e ridetto, Fognini è stato bravissimo a creare un personaggio inesistente, quello tecnicamente in grado di fare chissà cosa ma tradito dal carattere. La realtà è quella – ammirevole per altri versi – di un gruppo bravissimo a fare i propri calcoli e ad approfittare dei calendari. I risultati di Fognini sono di una costanza impressionante, che mal si adatta all’immagine dello scapestrato: bene, a volte benissimo, nei tornei minori, per niente competitivo quando le cose si fanno serie. I tornei di cui si parlava sono tutti dei “250” e i risultati sono stati raggiunti contro onesti mestieranti, ma nei “1000” e, figuriamoci, negli Slam, il 31enne ligure non è mai stato un problema per nessuno. Non lo diventerà certo nel 2019, ma qualche altro “250” lo vincerà, così i giornali potranno fare il titolone sul record di Panatta superato. Come no.

Fognini nel 2018 vestirà Armani anche in campo.

4 finali per 4 fratelli (Slam)

Se volessimo avere indizi sul panico che serpeggia nel mondo del tennis, terrorizzato dalla transizione tra i Fab e l’ignoto, niente di meglio che il nuovismo frenetico che non sta risparmiando manco l’ITF. Dopo la pagliacciata delle NextGen, che lascia intravedere un disprezzo per l’intelligenza del pubblico che tutti i milioni del mondo non riescono a nascondere, adesso l’obiettivo è il tempo. Passi – e si potrebbe anzi dire che era l’ora – per lo shot-clock, che è chiamato a dirimere una disputa regolamentare che non era il caso di lasciare alla discrezionalità del giudice di sedia, ma l’obiettivo è il tempo di gara. L’ipotesi, banale ma non per questo necessariamente falsa, è che la lunghezza del match lo renda poco appetibile sia a sua maestà la TV, per il tempo che le resta da vivere, sia per gli appassionati delle varie latitudini, la cui età avanza inesorabilmente e con quella il tempo da dedicare ad un hobby che si nutre di pause. Il tiebreak non pare bastare più e le eccezioni vanno eliminate.

Così due dei tre tornei dello Slam che non prevedevano il tiebreak al quinto set hanno deciso di cambiare. Ma siccome non li convinceva il modello alternativo quello dello US Open con tie-break anche al quinto set, si sono spremuti le meningi per evitare di passare il venerdì pomeriggio a vedere Isner-Anderson. Wimbledon ha tirato fuori la storia del tiebreak classico sì, ma solo sul 12 pari del quinto set; a Melbourne, hanno invece deciso di fare il tiebreak anche al quinto set ma di giocarsello nella formula “long”, cioè a 10 punti invece di 7 per la vittoria, sul modello dei terzi set dei match di doppio.

Il risultato è che sostanzialmente ogni torneo gioca con regole sue, il che magari non è proprio il massimo visto che sarebbe più o meno come far giocare i campionati nazionali in un modo, la Champions League in un altro e i mondiali in un altro ancora. Ma questo ci aspetta nel futuro prossimo e se il calo di interesse degli ultimi due anni, attenuato sempre più parzialmente dal racconto dell’invincibilità dei Fab 4, non troverà una qualche forma di reversibilità, aspettiamoci il peggio. Per adesso accontentiamoci di aver evitato veri e propri scempi, come il tie-break sul 3 pari.


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