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Guida agli US Open maschili 2018

Nadal, Federer, Djokovic o una sorpresa, magari un giovane? Iniziano gli US Open, il torneo più interessante dell’anno.

Nadal, Federer, Djokovic o una sorpresa, magari un giovane? Iniziano gli US Open, il torneo più interessante dell’anno.

I Big 3: Nadal, Federer o Djokovic?

Nel 2018 hanno vinto uno Slam a testa, come pensare che a New York non vinca uno di loro? Quel che appare pronosticabile (oltre che auspicabile per il bene del tennis), è che l’ultimo Slam dell’anno abbia una finale vera dopo quella dall’esito mai incerto degli Australian Open e quelle con il punteggio a senso unico al Roland Garros e a Wimbledon. I tre candidati alla vittoria arrivano tutti in ottime condizioni, per quanto possibile. Nadal ha vinto senza problemi il Masters 1000 canadese, trentatreesimo della sua carriera (record assoluto) e ha scelto saggiamente di non giocare a Cincinnati per arrivare riposato fisicamente e mentalmente per il torneo che ha vinto nel 2017; Federer ha giocato un discreto torneo a Cincinnati (ha saltato il 1000 canadese per non giocare troppo dopo aver imparato la lezione a Wimbledon, torneo giocato con qualche match di troppo nelle gambe e in testa) ma in finale ha deluso molto, ma solo chi lo valuta dimenticando che ha 37 anni.

Il problema del replicare lo stesso livello prestazionale in un arco ridotto di tempo è uno dei principali problemi del fare sport nell’età avanzata: un tennista che vince uno Slam a questa età e che raggiunge puntualmente le fasi finali di tutti i tornei dove partecipa non può essere considerato una delusione. Federer, a Cincinnati, ha trovato un buon Djokovic ed è incappato in una pessima giornata. Australian Open a parte, il suo 2018 non è (ovviamente) il 2017, difficile che in un torneo lungo e con una concorrenza in forma possa trionfare, ma sempre di Federer si tratta.

E poi c’è Djokovic, quello che non doveva giocare su erba dopo aver perso contro Cecchinato al Roland Garros e che poi ha raggiunto la finale al Queen’s per poi vincere Wimbledon poco dopo e che, a Cincinnati, ha alzato una specie di portafiori spacciato per trofeo vincendo l’ultimo Master 1000 che mancava nel suo palmares. Come non considerarlo favorito? Djokovic, rimettendo un allenatore sanguigno come Marian Vajda nell’angolo, ha ritrovato la cattiveria agonistica, senza la quale non riuscirebbe a vincere neanche un Challenger. Ora non si parla più del gomito e neanche del servizio depotenziato, semplicemente si riparla di Djokovic cannibale modello 2011/2015.

Il serbo, per via della sua classifica, è stato sorteggiato nel quarto di finale di Federer, la zona di tabellone apparentemente più competitiva. Dalla sua parte, quella bassa del draw, ci sono anche Sascha Zverev e Marin Cilic. A Nadal è andata meglio: il giocatore più forte in classifica fino agli ottavi è Kyle Edmund, che dopo la semifinale agli Australian Open ha perso sei partite su nove sul cemento, poi ai quarti potrebbe esserci la rivincita della finale dello scorso anno, contro Kevin Anderson, e in semifinale la replica della semifinale dello scorso anno contro Juan Martín del Potro.

Oltre alle 5 vittorie consecutive (2004-2008), Federer ha giocato altre due finali: nel 2009 e nel 2015.

Effetto Anderson

«Sono in buona forma, ho buone sensazioni all’approccio con gli US Open». Tra i candidati alla vittoria, va tenuto certamente in considerazione anche Marin Cilic, d’altronde il croato ha già vinto il torneo nel 2014 e quest’anno ha raggiunto la finale nell’altro Slam giocato sul cemento. Negli ultimi due tornei ha perso contro Nadal ai quarti in Canada e contro Djokovic in semifinale a Cincinnati, è 16-6 nel computo vittorie-sconfitte sui campi in duro quest’anno: di sicuro è uno di quelli da evitare sulla strada per la vittoria finale. Cilic è numero 7 del mondo, ha giocato finali Slam a Wimbledon 2017 e Australia 2018, il cemento è la sua superficie ideale e non possiamo non considerarlo tra i favoriti. Ha dimostrato di avere molta fiducia in sé, e ha un gioco esplosivo che gli permette di poter battere chiunque se ha la giornata in cui non esagera negli errori. È lui, più di altri, a essere il nome più blasonato dopo il terzetto di cui sopra.

Ma chi sono gli altri? C’è Juan Martín del Potro, vincitore del torneo nel 2009, ma seppur tornato in ottima forma e fra i migliori 10 del mondo, l’argentino non sembra avere l’afflato per vincere un torneo sulla lunga distanza e che si gioca al meglio dei cinque set. Giocò benissimo nell’edizione 2017, batté un buon Federer, ma poi si presentò spompato al cospetto di Nadal, incapace di fare partita. L’argentino, però, è tipo da partite storiche (contro Nadal a Wimbledon qualche mese fa, per esempio) e quindi meglio non averlo dalla propria parte di tabellone. Menzione d’obbligo per Kevin Anderson, finalista 2017 e reduce dalla finale Slam di Wimbledon. Una finale poteva essere un caso, due no. Il sudafricano è migliorato molto nella fase finale della sua carriera (ha 32 anni), il cemento è la sua superficie e non solo perché ha nel servizio l’arma migliore. Si muove bene e non ha particolari lacune tecniche: non va sottovalutato. Inutile nominare per l’ennesima volta tennisti che hanno fallito troppe volte alla prova del nove: Dimitrov ha vinto le Finals ma è in crisi e ha pescato di nuovo Wawrinka al primo turno, come a Wimbledon, Raonic un giorno sta bene e il giorno dopo forse, Wawrinka è in ripresa ma gli Slam sono un’altra cosa, Murray non è pronto e chissà se tornerà mai ad esserlo, Thiem vabbé, e Alexander Zverev, ecco, Zverev per l’appunto.

Sascha Zverev fallirà ancora negli Slam?

Alexander Zverev ha poco più di 21 anni eppure alcuni cominciano a temere che possa essere più simile alla generazione perduta dei Dimitrov, Thiem e Nishikori che a quella d’oro dei Fab Four. Nonostante sia l’unico ad aver vinto tre Masters 1000, il tedesco sembra in effetti entrato in uno strano vicolo cieco, visto che da un anno a questa parte, invece di crescere, ha dato la sensazione di non aggiungere niente al suo gioco. La personalità rimane quella di un grande campione, e per quanto non possa aiutarlo a vincere i concorsi per la barzelletta più divertente, il disgusto che manifesta per i suoi cattivi risultati dovrebbe far sperare. Sembra pure che si sia accorto di avere un qualche problema nel capire cosa gli sta succedendo, visto che dopo aver rubricato la partita di Toronto contro Tsitsipas – quando non gli bastò né servire per il match né avere match point con il servizio a disposizione né un break di vantaggio nel terzo set per vincere – a semplice incidente abbastanza casuale, dopo la sconfitta successiva contro Robin Haase a Cincinnati ha deciso di rivolgersi a Lendl.

Cosa potrà fare l’ex cecoslovacco è sempre un mistero, ovviamente la speranza è che gli porti quanto meno la stessa fortuna che portò a Murray. Che possa lavorare meglio del fratello sul gioco a rete, davvero inguardabile per un top 4, è abbastanza inverosimile ma appunto potrebbe spiegargli cosa sta succedendo, raccontare di quanto dovette pensare lui per vincere uno Slam, anche se in finale ci arrivava, e magari rasserenarlo un po’. Uno dei dei problemi di Sascha è che deve fare in fretta, perché dietro stanno cominciando a spingere sia Tsitsipas che Shapovalov, senza considerare che Kyrgios magari deciderà di interessarsi un po’ di più ad un torneo, se non proprio al tennis. Per un motivo o per l’altro è tutta gente che a Zverev potrebbe rovinare quella che tutti pronosticavano la carriera di numero 1 e toccherà a Lendl, appunto, cercare di evitarlo. Quando Federer vinse il primo Slam era un po’ più grande e non era mai stato numero 3. Ma Zverev non è Federer.

Zverev non ha ancora passato il secondo turno agli US Open, lo Slam in cui ha vinto meno partite (2).

Storie di chi manca e di chi saluta

Dei primi 65 del mondo, per ora, nessuno ha ancora annunciato il ritiro, ma tra gli assenti ci sono comunque due nomi di alto livello: Jo-Wilfried Tsonga, che è fermo da febbraio, e Tomas Berdych, fermo invece da giugno e costretto a saltare il secondo Slam di fila. Entrambi perderanno pochi punti, avendo perso al secondo turno lo scorso anno. Anche Martin Klizan, che agli US Open ha ottenuto il suo miglior risultato in uno Slam, quando batté Tsonga per poi arrivare fino agli ottavi, ha annunciato la sua rinuncia: lo slovacco preferisce proseguire con i tornei su terra battuta e quindi i suoi fan potranno ammirarlo trionfare al Challenger di Genova anziché alzare la coppa a New York. Doloroso, ma non quanto il taglio dell’ormai mitica coda di cavallo, il forfait di Dolgopolov, che perderà 180 punti visto che l’anno scorso batté Berdych e perse agli ottavi contro Nadal. L’ucraino, che a novembre diventerà trentenne, uscirà dai primi 100 del mondo per la prima volta dopo la bellezza di otto anni e mezzo. Sembra incredibile, ma nonostante tutti gli alti e bassi della sua carriera, Dolgopolov è sempre riuscito a galleggiare in quella zona di classifica che permette la qualificazione diretta ai tabelloni principali degli Slam.

Gli US Open 2018 saranno l’ultimo Slam per quattro senatori: Mikhail Youznhy, Florian Mayer, Julien Benneteau e Gilles Müller. Il russo, tra questi quattro, è certamente quello che ha ottenuto i migliori risultati in carriera: 10 titoli ATP, una manciata di settimane in top 10 e due semifinali Slam, proprio agli US Open. Lo ritroveremo poi a San Pietroburgo, per l’ultimo torneo di una carriera più che discreta. Florian Mayer, che quest’anno ha vinto solo due partite nel circuito maggiore, non ha mai avuto troppa fortuna a New York (sempre fuori prima degli ottavi) e quest’anno non andrà meglio: speriamo almeno che, al suo ultimo torneo, ci regali un ultimo drop shot al salto. Benneteau, come Mayer, chiuderà invece a New York, e avrà quindi la sua ultima chance di vincere un titolo del circuito maggiore: difficilmente migliorerà (o peggiorerà) il suo record nelle finali, che è di 10 sconfitte su 10, anche perché agli US Open non ha mai passato il terzo turno. Gilles Müller, in pochi lo ricordano, nel 2008 giocò i quarti di finale agli US Open da numero 130 del mondo: agli ottavi, dopo aver battuto Haase e Almagro, vinse una delle partite più belle della sua carriera, risparmiando a Nikolay Davydenko l’ennesima sconfitta contro Federer ai quarti di finale. Infine dovrebbero essere gli ultimi US Open per David Ferrer, ma lo spagnolo non ha ancora fatto capire esattamente quando si ritirerà: potrebbe essere ad aprile o maggio prossimo, nel torneo di Barcellona o in quello di Madrid. In ogni caso, il pubblico di New York non dovrebbe più avere occasione di vedere le sue corse e le sue arrotate esasperate, che lo hanno portato per due volte in semifinale: nel 2007, con la vittoria su Nadal negli ottavi, e nel 2012, quando riuscì perfino a vincere il primo set contro Novak Djokovic.

E i giovani?

Eppur si muove. Tsitsipas ha raggiunto la finale a Toronto prima di cedere contro Goffin a Cincinnati; Shapovalov sta provando a fare in modo che i pezzi del suo gioco si possano incastrare, con la sensazione che quando succederà di partite potrebbe perderne pochine; un infortunio piuttosto serio ha fermato Chung che in Australia era arrivato in semifinale e un altro ha rallentato la corsa di Rublëv, che era arrivato fino alle soglie della top 30 ma che adesso ha perso quattro partite di fila.

Dei quattro quello messo meglio sembra il greco, che del resto ha vinto quattro partite di fila contro dei top10. Tsitsipas è quasi coetaneo di Shapovalov, ma a questa età, tra i diciannove e i vent’anni, anche i mesi contano e gli otto a favore di Tsitsipas si vedono un po’. La differenza tra i due resta abbastanza contenuta ma a questo punto non è certo impossibile trovarseli in top 10 già alla fine di quest’anno. Poco per vincere uno Slam, molto per essere tra i favoriti del 2019. Chung sta provando a ritrovare le sensazioni di inizio d’anno e comunque anche lui si aggira dalle parti della top 20. Forse ha meno talento degli altri due ma sembra più solido, c’è solo da sperare che il fisico regga. Rublëv forse rimane il più forte di tutti ma il rischio è di fare più o meno come Kyrgios, cioè di non avere voglia, tempo e testa per esprimerlo con una certa costanza. A proposito di Kyrgios. Ha 23 anni suonati, o si sbriga oppure ci rassegneremo sospirando.

Stefanos Tsitsipas giocherà per la prima volta nel main draw degli US Open: l’anno scorso perse al terzo turno delle qualificazioni.

Gli arditi d’Italia

La grande speranza, più che Cecchinato, si chiama Matteo Berrettini, che è un anno più giovane di Kyrgios ma due più vecchio di Tsitsipas e tre di Shapovalov. Questo per rimettere un po’ le cose nella giusta proporzione. La situazione del tennis italiano, maschile e femminile, rimane francamente pietosa e l’unico merito dell’establishment è essersene accorti anche loro. Così hanno lasciato perdere i sogni di gloria e si sono messi a fare gli imbonitori, con titoli sui giornali sui nostri 150 mila rappresentanti nelle qualificazioni e pazienza se poi al main draw non ci arriva nessuno. È curioso che a dover fare i grilli parlanti siano piccole realtà tennistico-giornalistiche come la nostra (o forse no, forse è logico) ma tra Toronto e Cincinnati, i due Masters 1000 di agosto, in tabellone avevamo solo Fognini e Cecchinato, che in due tornei hanno vinto una partita. Gli altri erano così indietro da non potere neanche accedere al tabellone di qualificazione, che per quanto possa sembrare strano, è più selettivo di quello degli slam.

La scelta di quello che rimane il giocatore più avanti nel ranking, lasciamo perdere se più forte o meno forte, è estremamente significativa: dedicarsi al vulturing, rastrellando i tornei minori, quelli che i più forti usano per fare qualche spicciolo, e lasciar perdere i tornei di livello troppo elevato, pare di capire già a partire dai “500”. Dal punto di vista individuale scelta legittima, perché questi qui ci devono campare con questo lavoro, dal punto di vista sportivo cosa un po’ fastidiosa per chi guarda e chi legge del “rinascimento del tennis italiano”. Anche la strategia di Berrettini sembra simile: niente tabelloni di qualificazione e tentativo di costruirsi una classifica dignitosa in grado di portarlo almeno nel main draw di uno Slam. Se poi ci scappa la settimana fortunata, come quella di Cecchinato a Parigi, siamo a posto. Che importanza ha che a quasi 26 anni non si abbia ancora vinto una partita sul cemento?

I risultati dello scorso anno di cui non vi ricordate

È già passato un anno dall’imbarazzante spettacolino messo in scena da Fabio Fognini contro Louise Engzell, la giudice di sedia che stava arbitrando il suo match di primo turno. Il ligure, sempre bravo ad attirare l’attenzione su di sé, fece passare in secondo piano la sua sconfitta (6-4, 7-6 (8-6), 3-6, 6-0) nel derby contro Stefano Travaglia, che vinse allora la sua prima (e unica) partita in un tabellone principale di uno Slam. Travaglia si fece poi battere da Troicki, il quale a sua volta perse contro Dolgopolov: in quello spicchio di tabellone, occupato da Nadal, fu solo lo spagnolo a raggiungere il terzo turno, fra le quattro teste di serie.

È passato un anno anche dall’ultimo grande torneo giocato da Andrey Rublëv, che prima di perdere contro Nadal ai quarti, sconfisse Dimitrov e Goffin senza lasciargli nemmeno un set. Nick Kyrgios, invece, si trovava in rotta di collisione con Federer, esattamente come quest’anno, ma perse già al debutto contro John Millman (6-3 1-6 6-4 6-1) e ad approfittarne fu Philipp Kohlschreiber, che grazie al ritiro in extremis di Andy Murray ebbe la 33ma testa di serie e con la sconfitta di Kyrgios un tabellone piuttosto semplice: arrivò fino agli ottavi, per poi perdere contro Federer.

Tra le sorprese della prima settimana, ci furono quelle di Radu Albot, proveniente dalle qualificazioni e capace di arrivare fino al terzo turno (quando riuscì a vincere un set contro Querrey) e naturalmente quella di Thomas Fabbiano, che pure arrivò al terzo turno in un derby perso nettamente contro Paolo Lorenzi. Difficile che il senese riesca a replicare i 180 punti dello scorso anno (perse agli ottavi contro Kevin Anderson, portandogli via un set) e probabilmente lo vedremo uscire dai primi 100.

Notevole infine la sconfitta di Marin Cilic, 4-6 7-5 7-5 6-4 contro Diego Schwartzman al terzo turno, ma il croato, dopo la finale di Wimbledon, era ancora in una condizione precaria. Ad approfittarne fu l’argentino, che arrivò fino ai quarti, dopo aver battuto agevolmente anche Lucas Pouille.

US Open 2018


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