Abbiamo problemi con la gente.
È stato finora un torneo superiore alle aspettative, e nonostante sembrasse un po’ sbilanciato nella parte bassa del tabellone, gli ottavi di finale hanno offerto grandi emozioni anche nella parte alta. Merito di Fognini, come vedremo, ma anche di Schwartzman e Anderson, due non propriamente noti per far palpitare il cuore al pubblico plaudente. Ma vediamo come si arriva alla stretta decisiva del torneo.
Simone Bolelli è il giocatore che ha impegnato maggiormente Rafael Nadal in questo torneo. Rafa all’esordio era contratto e ha giocato su un campo pesante, poi è cresciuto abbastanza. I successivi match con Pella e Gasquet sono stati incontri che Rino Tommasi avrebbe definitivo “allenamenti agonistici”. Il match di ottavi di finale contro Marterer, che ha approfittato di un ottimo tabellone facendosi notare anche per aver battuto Shapovalov, non ha fatto eccezione. Non inganni il tiebreak del terzo set vinto da Rafa in agilità: lo spagnolo è stato sempre in controllo della partita anche dopo la falsa partenza (0-2 sotto). Ora, per lui, c’è Diego Schwartzman, autore di una strepitosa rimonta ai danni del sudafricano Kevin Anderson.
L’argentino è partito malissimo: nei primi due set ha vinto solamente due game. Sotto di un break anche nel terzo, ad un certo punto si è messo a parlare con la giudice di sedia lamentando i continui gesti di incitamento dell’avversario anche sui propri errori. “I never see anything like this in my life”, le sue parole, le solite da parte dei tennisti in cerca di qualcosa o qualcuno con cui prendersela. La verità è che stava giocando una pessima partita, e quando il sudafricano è andato a servire sul 5-3 per chiudere il match nessuno avrebbe più scommesso un centesimo sull’argentino. Ma mai dare Diego per spacciato. Anderson non si avvicinava neanche al match point ma era Schwartzman a infilare cinque game di fila che gli facevano vincere il terzo set. Sostanzialmente, iniziava un’altra partita e il 7-5 7-6 6-2 che Diego rifilava ad Anderson gli facevano conquistare i primi quarti di finale al Roland Garros. Cinque i precedenti fra Nadal e Schwartzman, di cui tre sulla terra ma mai a Parigi. Lo score dice 5 a 0 per Nadal. Bravo Diego, bel torneo.
I due hanno cominciato il torneo con i soliti mille interrogativi. Si saprà adattare Cilic? Come starà del Potro? La strada per arrivare ai quarti è stata alla fine più accidentata per il primo che per il secondo. Merito probabilmente di un tabellone diverso perché del Potro ha giocato con due quasi ex e con Isner, uno che Palito batterà sempre. L’unico match che poteva presentare qualche insidia era quello contro Ramos ed è durato un solo set. Juan Martin e Nadal sono gli unici che non hanno ancora perso un set ma se per lo spagnolo è facile pronosticare che difficilmente ne perderà prima delle semi, per l’argentino adesso c’è l’ostacolo Cilic. Il croato sulla terra non ha mai fatto granché tanto che battendo Fognini ha eguagliato il suo miglior risultato a Parigi, i quarti che aveva ottenuto anche l’anno scorso. Con Fognini è stato il Cilic di questi ultimi tempi, quello che finalmente sembra aver trovato la sua giusta dimensione tra la promessa mancata dei primi anni e l’incredibile dominatore degli US Open 2014. Cilic è diventato un top 5 più che decoroso e negli ultimi tre Slam è arrivato due volte in finale. Che sulla terra faccia fatica è quasi normale, ma è un giocatore oramai calato in questa dimensione e che vince partite come quelle contro Fognini. E infatti l’ha vinta. Lo scorso anno il croato trovò Wawrinka in stato di grazia, stavolta parte forse leggermente favorito.
Su Fognini invece è doveroso aprire una parentesi. Fabio era già stato bravo a vincere il match contro Kyle Edmund, ancora sprovvisto di quel carattere necessario per chiudere partite di questo tipo. Fognini ne ha giocate di più e si è visto soprattutto nel quinto set. L’italiano non sta giocando male, e contro Cilic per un’ora è stato quasi perfetto. Il problema è che le partite durano di più e la capacità di tenere un livello alto a lungo è la differenza tra i grandi e gli ottimi giocatori. Fognini è nei primi 20 del mondo, la sua collocazione naturale e il suo Best Ranking al numero 13 è persino di più di quanto ci si potesse aspettare da uno con le sue pause e le sue amnesie. Se del resto contro i top 10 negli slam non ci vinci mai non può essere un caso. Con Cilic è mancato poco, ma nella propria superficie preferita contro l’avversario che gioca in quella in cui si trova meno bene, se perdi significa solo che sei meno forte dell’altro.
Dato per sconfitto contro Carreno-Busta nei sedicesimi di finale, Cecchinato non solo lo ha battuto, ma si è ripetuto contro l’attuale numero 9 ATP, David Goffin. Vero che il belga era stanco e ha giocato male, ma il palermitano che non risponde più a domande sul suo passato di Tennis & Scommesse ha meritato di raggiungere i quarti a Parigi per la prima volta nella sua vita. È l’anno delle sue prime volte d’altronde: ha vinto il suo primo torneo ATP a Budapest, è entrato stabilmente nei primi 100 ATP e ha raggiunto i quarti di finale in uno Slam (alla quinta partecipazione, la seconda al Roland Garros). È chiaramente in fiducia, se durerà o meno sarà il tempo a dirlo ma la collocazione stabile nei primi 100 è già motivo di grande soddisfazione per lui.
A 25 anni, Cecchinato non sembra la grande speranza che il tennis italiano attende. Salirà in classifica, ma l’impressione è che nonostante abbia già raggiunto il massimo risultato di Fabio, non raggiungerà mai i livelli di Fognini, forse neanche quelli di Seppi. Lo attende il match contro il miglior Djokovic dell’anno, quello che sembra si stia ritrovando sulla terra battuta. Non era chiaramente pronto per i tornei sul cemento, superficie dove si esprime al meglio, e sulla terra europea ha dovuto ritrovare il suo spirito combattivo per vincere partite che una volta avrebbe vinto solo schierando il cognome. Un Bautista-Agut distratto per la morte della madre non è comunque un tennista che si batte da solo. E poi Verdasco, che è incappato in una delle sue tante giornate no e quindi nulla ha potuto contro la regolarità di Novak. Vincerà Djokovic, e sarà meglio per tutti, anche per il movimento in salute.
Questo match sta diventando un classico, un bel classico. Nessuno dei due ha un gioco molto diverso dall’altro tale da creare quella miscela di stili propedeutica ad una bella partita di tennis – almeno così si diceva in passato, chissà oggi visto che giocano un po’ tutti uguale – ma di certo l’agonismo e le capacità fisiche dei due spostano sul lato psico-fisico il terreno di battaglia. Thiem contro Zverev è il nuovo Djokovic contro Nadal, capaci di scambi lunghi, partite ancora più lunghe e pathos da battaglie con la spada più che con il fioretto. Thiem è arrivato nei quarti battendo l’ottimo Tsitsipas in quattro set e subito dopo l’altrettanto ottimo Marco Berrettini sempre in quattro set. (Il tennista del Canottieri Aniene è uno di quelli destinati a salire in classifica se il fisico con le esili caviglie sosterrà a dovere servizio e dritto, che hanno già le velocità di questa categoria).
Il potenziale big match, quello fra Thiem e un Nishikori in ripresa, si è rivelato un flop, anche se il giapponese è riuscito a vincere il terzo set dopo aver vinto 2 giochi nei primi due parziali. Del cammino di Zverev fin qui si è parlato e scritto anche troppo. Normale vincere qualche partita al quinto set negli slam, più raro vincere un torneo giocandone parecchie. Thiem ha rimontato per tre volte di fila uno svantaggio di due set a uno: contro Lajovic al primo turno in maniera molto netta (6-1 6-2 il punteggio dei due parziali finali), contro Dzumhur salvando un match point e approfittando di alcuni errori dell’avversario nei momenti decisivi, e contro Khachanov, calato a livello d’intensità negli ultimi due set, vinti da Zverev con un doppio 6-3. Come finirà? Zverev, scherzando in conferenza stampa, ha detto che serviranno cinque set. Ci sperano tutti. Noi diciamo che vincerà Thiem.
L’altra metà del cielo era entrata in fibrillazione per la riedizione di un grande classico, quello tra Serena Williams e Maria Sharapova. Le due non si vogliono troppo bene, per usare un eufemismo, e dai recenti eventi “privati” non si erano mai più incrociate. Quindi erano tutti alla finestra per scoprire se avremmo assistito all’ennesima prodezza di Serena o ad una parzialissima rivincita di Masha. Con un mezzo coup de théâtre Serena ha lasciato perdere, ritirandosi qualche minuto prima del match. Non c’è troppo da sorprendersi, queste rivalità vivono anche della capacità di far credere all’avversario di essere troppo forte per lui e giocare una partita in queste condizioni Serena ha forse pensato che avrebbe potuto dare troppa fiducia alla russa. Meglio lasciarla nel dubbio che se si fosse giocato non l’avrebbe scampata neanche questa volta.
Rimane un peccato che l’attenzione mediatica per queste due straordinarie protagoniste degli ultimi anni stia nascondendo un momento decisamente buono del tennis femminile. Simona Halep, che è prima nel ranking ma con l’enorme macchia di non avere mai vinto uno slam, è di nuovo ai quarti e ci proverà ancora una volta. Non ha la strada spianata, perché adesso dovrà vedersela con Angelique Kerber, una che di Slam ne ha vinti due e che in Australia la impegnò duramente in una splendida partita finita solo 9-7 al terzo. E se mai vincesse non sarebbe finita, perché si troverebbe davanti la vincente del quarto forse più atteso del torneo femminile, quello tra Muguruza e la solita Sharapova. La spagnola non ha mai vinto contro la russa ma l’ultimo incontro risale a quasi quattro anni fa e da allora sono successe tante cose. La Sharapova di quest’ultimo periodo è stata ammirevole per l’incredibile forza di volontà che la sta rendendo pressoché imbattibile dopo le due ore e mezza di partita. Muguruza ce la farà a chiudere più in fretta?
L’altra parte del tabellone è meno interessante, soprattutto adesso che pure la Wozniacki è stata sconfitta – sorpresa solo per quelli che considerano il tennis femminile un inutile riempitivo tra due partite del singolare maschile – e non è improbabile che la finalista esca fuori dal match tra Stephens e Kasatkina, appunto la “giustiziera” della Wozniacki. Sloane Stephens è stata due volte sul punto di perdere contro Camila Giorgi e poi ha invece demolito una stanca Kontaveit. Meglio non prenderla sotto gamba, visto che è pur sempre la detentrice dello US Open.
L’ultimo quarto rimasto, quello tra Keys e Putintseva è per aficionados. Le due sono arrivate a Parigi pensando ad una breve permanenza e invece si trovano a disputarsi nientemeno che un posto in semifinale. Non vengono certo da un periodo splendido e hanno approfittato del buco lasciato da Elina Svitolina, capace di farsi superare dalla Burzanescu. Vincerà chi starà meglio, magari la Putintseva, che ha vinto l’unico precedente.