Abbiamo problemi con la gente.
Nel 2017 Nadal vinse il torneo di Madrid e perse a Roma nei quarti di finale contro Dominic Thiem. Quest’anno, invece, ha perso nei quarti di finale a Madrid contro Thiem e ha vinto il torneo di Roma. Pronostico rispettato in pieno e saldo punti ATP invariato, a Parigi finirà come nel 2017?
Nadal è arrivato a Roma dopo la sconfitta di Madrid subìta ad opera del miglior Thiem dell’anno. Il tabellone è stato fin troppo benevolo: al secondo turno (dopo il bye riservato alle prime otto teste di serie) Nadal ha battuto Dzhumur per un test inconsistente, successivamente ha disposto di Denis Shapovalov, il giovane canadese che deve ancora capire come giocare su terra battuta e che, soprattutto, deve acquisire costanza di rendimento. Dopo queste due partite, che hanno consentito a Nadal di raggiungere i quarti di finale nel torneo che non vinceva dal 2013, è toccato a Fabio Fognini. La partita si preannunciava chiusa dal pronostico ma quantomeno interessante visto che Fognini, nelle partite precedenti, aveva ritrovato il feeling con il pubblico romano.
Liquidato il fantasma di Monfils al primo turno, Fabio ha ottenuto una prestigiosa vittoria contro Thiem, al solito discontinuo nonostante qualche giorno prima avesse disputato, perdendo, la finale a Madrid contro Zverev. L’italiano è arrivato ai quarti giocando un buon match e battendo Gojowczyk in due set. Alla vigilia del match contro Nadal, Fognini ha aizzato la folla ricordando che “più di qualche volta Rafael era tornato a casa scontento dopo averlo incontrato”. Fognini si riferiva all’annata 2015, quando ottenne tre vittorie contro lo spagnolo, che peraltro lo batté due volte nella stessa annata. Nadal deve aver preso nota della conferenza stampa. Partito forte, lo spagnolo andava subito sul 4 a 1 ma subiva la rimonta di Fognini, abile a variare le traiettorie dei suoi colpi soprattutto con il rovescio, il suo colpo forte. Fabio era in versione irresistibile e vinceva 5 game di fila per chiudere il set per 6 a 4.
Come se il primo parziale non ci fosse stato, i primi punti del secondo set con relative esultanze con gancio di Rafa lanciavano al pubblico, ma soprattutto a Fognini, un messaggio chiaro, una sorta di “io sono ancora qui, perdere un set non fa nulla tanto sempre due ne devo vincere”. Questa rimane la qualità più grande del campione spagnolo, una caratteristica che sembra migliorare con gli anni: la capacità di concentrarsi sul singolo punto ogni volta, evitando di pensare (non dimenticare) a ciò che è successo in precedenza per non sprecare energie mentali nel punto più importante del match, che per lui è sempre quello da giocare al momento. Il set di svantaggio non aveva scalfito minimamente l’atteggiamento in campo di Nadal, che chiudeva la (nuova) partita con un 6-1 6-2 che, direbbe Fognini, lo rimandava a casa contento.
La bella prova di Fognini nel primo set, sostanziosa per qualità di rendimento dei suoi fondamentali non è sembrata sostenibile sulla distanza minima per battere lo spagnolo e cioè per almeno due set. Contro Nadal, sono tanti i giocatori che sulla terra battuta giocano con il motore al massimo dei giri sperando di farcela prima che questo, inesorabilmente, ceda a partita in corso. Capitalizzare al massimo il momentum, che per Fognini è durato solo un set, è l’unica strada per battere un giocatore più forte e in assoluta fiducia sulla superficie dove è chiamato Re. Ad aiutare questi giocatori, Fognini incluso, nel cercare l’impresa contro Nadal, sarebbero serviti i punti diretti al servizio, i cosiddetti free points. Fognini, sotto questo punto di vista, non ha mai messo ansia a Nadal in risposta, ha raccolto poco con la prima palla e poi si è esposto praticamente sempre a risposte aggressive, considerata la sua fiacca seconda palla, uno dei difetti principali del suo gioco.
Al sabato era tempo di una rimpatriata, un classico Djokovic contro Nadal. Il serbo non poteva, verosimilmente, rappresentare un test proibitivo per lo spagnolo, piuttosto il contrario. Come infatti ha detto Novak in conferenza stampa, la semifinale con Nadal gli restituisce fiducia proprio per aver dimostrato di reggere il livello di Rafa per almeno un’ora. Djokovic, in passato, è stato uno dei pochi a battere Nadal anche quando questo era in forma: giusto per rimanere a Roma, nel 2014 in finale al terzo set contro un ottimo Rafa e nel 2016 nei quarti di finale contro un Nadal in ripresa dopo la crisi del 2015 ma non ancora ai livelli del 2017.
A Roma si è rivisto un Djokovic decente. Siamo lontani da quel giocatore imbattibile, ma la “restaurazione” del suo storico team, capeggiato dal fido Marian Vajda, sembra avergli ricordato cosa deve fare vincere. E cioè lottare, portare la partita sul piano mentale della battaglia, incitarsi e caricare il pubblico, perché nessuno gli regalerà più nulla in virtù del suo passato. Se non altro, Djokovic in campo ha abbandonato quell’atteggiamento passivo visto nei primi mesi dell’anno, quando non si arrabbiava mai e sorrideva scorato non appena andava sotto nel punteggio, anche di fronte a modesti comprimari.
Nadal ha sciupato un break di vantaggio nel primo set facendosi raggiungere proprio nel momento in cui doveva chiudere. La partita ha ricalcato il solito schema tattico, con Nadal a tenere lo scambio con il rovescio lasciando scoperta la zona alla sua sinistra, come ad invogliare l’avversario a mettere la palla lì. Djokovic non faceva eccezione e su quello spazio più volte trovava vincenti, ma le altre volte Nadal riusciva comunque ad arrivare sulla palla per rispondere con un dritto incrociato caricato solo di braccio, che risultava lento ma profondo.
Nadal utilizza molto questa tattica: è talmente sicuro della sua corsa e della capacità di opporsi ai lungolinea di dritto degli avversari destrorsi che alla sua sinistra lascia molto spazio. Gli avversari, ingolositi, piazzano la palla lì prendendo dei rischi, lui arriva e ribalta il fronte giocando di dritto incrociato, così l’avversario perde tutto il vantaggio accumulato fin lì nello scambio e deve fronteggiare una palla che rimbalza alta e profonda, e che il più delle volte ritorna incrociata sul dritto di Rafa che può sfruttare, lui questa volta, il campo aperto sul lato destro dell’avversario.
Non poteva che essere Sasha Zverev, il fresco vincitore del torneo di Madrid, suo terzo Master 1000 in carriera, l’avversario di Nadal alla domenica. Senza punti deboli da fondo campo, sfrontato e irriverente nei riguardi dei big praticamente da sempre, Zverev ha conquistato la finale del torneo cedendo un solo set, a Goffin nei quarti di finale. In semifinale ha battuto Cilic e in finale, chiamato a confermare il titolo del 2017, si rendeva protagonista di una partenza pessima. L’iniziale break a suo favore era il prologo a sei game persi di fila. Nadal gli impartiva un’autentica lezione tecnico-tattica, alternando cambi di traiettorie soprattutto con il rovescio, che colpiva spesso in back spin costringendo il tedesco a scendere sulle gambe, cosa che non ama, e ad alternare colpi caricati a colpi che potevano sfruttare la velocità di palla di Rafa.
Nadal rispondeva anche quattro metri dietro la linea di fondo campo al servizio del tedesco, riuscendo a rimandare dall’altra parte una palla pesante e profonda, depotenziando una delle armi principali di Zverev. Nadal è uno dei pochi a potersi permettere di rispondere così lontano dalla linea di fondo campo. Wawrinka è un altro di quei giocatori capace di allungare le traiettorie dei loro colpi di metri senza perdere potenza. In molti altri ci provano ma senza riuscirci.
Nel secondo set cambiavano le condizioni climatiche, con le nuvole a coprire d’ombra il campo, rinfrescare l’aria e a promettere pioggia che di lì a poco sarebbe arrivata. Zverev saliva improvvisamente di livello. Il tedesco giocava in maniera più aggressiva e riusciva ad ottenere punti direttamente in battuta o a comandare gli scambi in seguito alla prima palla. Nadal, improvvisamente, perdeva fiducia e smarriva il suo gioco dopo aver appena vinto il “set migliore della stagione su terra”, come dichiarerà in seguito.
Lo spagnolo perdeva la misura del rovescio coperto, che finiva spesso lungo, tornava a giocare corto con il dritto e commetteva errori di precisione: le sue smorzate rimbalzavano lunghe, e i recuperi a quelle di Zverev – da sempre un’eccellenza in casa Nadal per via della sua ottima manualità anche quando impugna con la presa classica – erano spesso sbagliati. Sascha chiudeva da fondo campo praticamente da ogni lato, impattando ad altezza spalla le traiettorie improvvisamente lente di Nadal e si portava sul 5 a 0 con la stessa autorevolezza di Rafa nel primo parziale. Zverev chiudeva 6-1, Nadal era inebetito; la statistica dello spagnolo alla voce “vincenti” del secondo set recitava un misero 1.
Zverev partiva subito con un break anche nel terzo, consolidava il vantaggio fino al 3 a 1 e Nadal sembrava spacciato e incapace di reagire. Poi le nuvole che avevano aiutato prima Zverev soccorrevano Nadal: pioveva. Una prima interruzione, di pochi minuti, veniva seguita da una seconda di cinquanta. Al ritorno dei due al gioco, il campo era umido e più lento, ma non era tanto questo a fare la differenza. Zverev tornava in campo ammosciato dalla pausa, incapace di mettere una prima palla in campo e Rafa invece aveva la determinazione dei giorni migliori. Riconosceva il favore al fato e, vincendo cinque game di fila, conquistava l’ottavo titolo a Roma, dove vinse per la prima volta nel 2005, tredici anni fa.
Il torneo di Roma non cambia di molto le previsioni di vittoria del Roland Garros, dove Nadal (che torna con la vittoria romana ad occupare il primo posto in classifica ATP) sarà la prima testa di serie e potrà incontrare il secondo favorito, Sasha Zverev, solamente in finale, considerato che il tedesco sarà il numero due in tabellone visto che Federer non gioca sul rosso.
In conferenza stampa post torneo, Nadal ha parlato molto bene di Sasha, dicendo che «uno che vince i Master 1000 non può non vincere i tornei dello Slam». «È solo una questione di tempo, se poi non ci riuscirà potrete tornare da me e dire che avevo sbagliato a dirlo, ma non credo succederà». Rafa ha detto inoltre che il tennis al meglio dei cinque set avvantaggia i grandi giocatori, e quindi anche Zverev. «A Parigi, comunque, le condizioni di gioco saranno diverse, a cominciare dalle palline». Il classico Nadal che fa pretattica e che, un’ora dopo aver alzato l’ottava coppa a Roma, pensa già all’undicesima vittoria da conquistare a Parigi.
Mai si era visto un giocatore così forte nel demolire le certezze dell’avversario tanto da chiedersi: chi può fermarlo dalla undicesima vittoria al Roland Garros? Un Djokovic che deve ritrovarsi e che solo a maggio è riuscito a vincere tre partite di fila? un Dimitrov incapace di trovare consistenza? un Thiem che giusto un anno fa conquistò 7 game in tre set nella semifinale parigina contro Rafa? Più facile cercare nel reparto giovani, dalle parti di questo arrogante come Zverev che, a buon ragione, ha giocato fin da subito con i pro senza la riverenza di tanti altri cresciuti ammirando Nadal, Federer e compagnia bella. Lui, da subito, è stato un parricida tennistico.
Le parole di Zverev in finale quando ha ringraziato il suo team hanno compreso fra l’altro un «beh, però abbiamo perso contro Rafa». Non sappiamo quanto ci credeva mentre diceva queste parole, lui che senza pioggia avrebbe probabilmente vinto il torneo. Zverev, in conferenza stampa, ha parlato di momentum, quella parte di una partita in cui tutto va come deve e che, se perdura, ti permette di battere chiunque, anche Nadal. Fognini è durato un set, Djokovic idem, Zverev ce l’aveva quasi fatta. Il giovane tedesco ha detto che porterà questa esperienza a Parigi, dove qualsiasi risultato peggiore di una semifinale sarebbe un fallimento per il numero tre del mondo – ma Zverev non è mai andato oltre gli ottavi di finale in uno Slam, raggiunti a Wimbledon 2017.
Al netto dei momentum avversari, quel che Rafa soffre oggi sono dei blackout dovuti a momentanea mancanza di fiducia. Ci sono avversari, Zverev su tutti, che sanno di poter battere Rafa. Quel che Nadal ha sofferto in finale non è tanto un surclassamento sul piano del gioco – Nadal è il primo a essere consapevole che il suo tennis non è quello di qualche anno fa – ma piuttosto quello di essere stato costretto a pensare in campo, e cioè vedere demolite le proprie certezze di gioco dall’avversario. Come ha ricordato lui stesso in conferenza stampa subito dopo il match vinto contro Djokovic, «se devi pensare meno allora ti stanchi meno in campo». Nadal è già passato, nel 2015 e 2016, dove ora si trova Djokovic. Non è questione di allenamento, forma fisica, ma di fiducia nei propri mezzi. Quando Rafa è in fiducia, il dritto è profondo e il rovescio un colpo vincente e non solo di manovra. Quando Djokovic ritroverà la fiducia – e un torneo come Roma gliene darà tanta specie in vista del Roland Garros – se non tornerà a essere quello di prima sicuramente diventerà un giocatore di nuovo vittorioso.
In attesa che Zverev rompa il ghiaccio con gli Slam e che Djokovic torni a incutere timore ai suoi avversari, solo un infortunio più mettere K.O. Rafael Nadal a Parigi. Contro di lui, gli altri avversari perderanno prima di scendere in campo. Perché il Re ha perso la battaglia di Madrid ma ha subito vinto la successiva di Roma. Al Roland Garros, il suo château de Versailles, è pronto a vincere la nuova “guerra”. Le mura sono fortificate, gli arceri sono in posizione e il ponte levatoio è alzato. Per entrare, servirà che Rafa apra la porta, altrimenti ci si può sdraiare sui prati circostanti la reggia, che Wimbledon non è tanto lontano.