Abbiamo problemi con la gente.
By Salvatore Termini Posted in spotting on 10 Aprile 2018 4 min read
Il week end di Coppa Davis per alcuni sarà stato sorprendente. Tutti i match infatti hanno tranquillamente rispettato il pronostico con tanti saluti alla retorica “spinta in più che ti dà giocare per la tua nazione”. Come si sia creata questa mitologia su un torneo che è visto come un impedimento praticamente da tutti non si capisce troppo bene, visto che da sempre l’andamento dei match non è mai stato troppo diverso da quello dei normali tornei. Certo, c’è un maggiore coinvolgimento del pubblico, e addirittura qualche big si traveste da ultras, come a Valencia, dove il numero 1 del mondo sembrava quasi uno scalmanato nel fare il tifo per Ferrer nell’incontro decisivo. Ma per il resto, per uno spettatore neutrale magari poco incline ad assecondare “l’ultimo rifugio delle canaglie”, la Coppa Davis resta un torneo mediocre, che nulla dice dello stato di salute di un “movimento” (sic) e che in genere offre partite di scarsissimo contenuto tecnico.
Non può certo essere altrimenti, visto che gli straordinari fuoriclasse che hanno fatto la storia del tennis non ci pensano neanche a incrociarsi in coppa Davis, e questo non certo da oggi. Per limitarci al periodo open, Borg e McEnroe (o Connors) non si sono mai affrontati in Davis; mai neanche Edberg e Becker e nessuno dei due con Lendl; stessa cosa per Federer e Nadal o Federer e Djokovic o Djokovic e Murray. A volte è capitato che si incrociassero magari Nadal e Djokovic o Lendl e Connors (o Borg), ma una sola volta e mai più. Insomma i teatri delle partite che ci accompagnano verso la vecchiaia sono ben altri. Del resto chi ricorda chi ha vinto la Coppa Davis del 2017? E anche se tutti sanno che almeno una volta l’hanno vinta tutti i big, chi mai può tenere in mente come e dove senza ricorrere agli almanacchi? Gente che è in grado di ripetere l’andamento del Borg-McEnroe dell’80 o del Fedal di Wimbledon ’08 vagherebbe smarrita nel nulla se gli si ricordasse che Federer vinse la coppa Davis perdendo contro Monfils nel “tie” finale.
Ma con il passare del tempo si è alimentata un’altra leggenda, quella che vuole la Coppa Davis in grado di “rovesciare i pronostici”. Nel week end scorso, come ricordato, nessuna partita è andata “contro pronostico”. Nè a Valencia, né a Genova, né a Nashville, né a Varazdin. La vittoria di Kukushkin contro Coric, cioè del numero 92 contro il numero 28, può apparire “effetto Davis” solo a chi non conosce i precedenti, mai vinti da Coric. E anche nel turno precedente non ci sono state sorprese da nessuna parte. Se guardiamo al 2017 la situazione è praticamente identica, e la finale del 2016 la ricordate, no? Venne decisa da Karlovic e Delbonis, vedete un po’ voi.
A dirla tutta in fondo le ultime sorprese sono arrivate proprio dall’Italia, capace di perdere contro l’Argentina di Delbonis, sempre lui, a Pesaro, ma ancora: chi può chiamarla sorpresa? E se andando indietro nel tempo è inevitabile trovare qualche risultato contro pronostico, ebbene questo non è né più che meno, forse meno, quello che succede nei “normali” tornei dell’ATP, quando qualche volta capita che Federer le prenda da Kokkinakis e che il numero tre del mondo non arrivi ai quarti di un qualsiasi Master 1000. Questo senza scomodare “il clima da Davis” o “la grande emozione di difendere i colori nazionali” buoni per far guadagnare qualcosa in futuro, quando si sarà troppo anziani per girare il circuito alla ricerca del companatico.
Del resto se nessuno parla di cambiare qualcosa a Wimbledon o negli slam mentre da sempre si cerca di capire come rendere interessante la Davis un motivo ci sarà. E il motivo, semplicemente, è che la competizione interessa soltanto quelli che difficilmente avranno possibilità di lottare per qualcosa di più prestigioso. I tennisti si farebbero tagliare un braccio pur di non rinunciare a Wimbledon ma anche a Melbourne o Flushing Meadows. Fanno allegramente i loro conti quando si tratta di Davis.
E come detto gli incontri sono spesso al livello del nostro tennista di periferia. Lo scempio visto a Genova – ma a Nashville è andata anche peggio e Cilic ha concesso 8 game in due partite – non è certo compensato dalla discreta disfida di Valencia, dove Ferrer e Kohlschreiber hanno dato vita ad un incontro certo emozionante ma a condizione di essere nati dalle parti del Manzanarre o del Reno: in mezzo, nessun impero.
Per fortuna dura poco. Anche se il tennis di questi tempi non è tanto divertente, ma questo è un altro discorso.