Abbiamo problemi con la gente.
E all’improvviso arrivò una partita di tennis. Con alcuni fra i più forti alle prese con condizioni di forma precarie, e con quelli che dovrebbero approfittarne ma che invece riescono ancora a perdere nei primi turni dei tornei più importanti, le aspettative per avere un bel torneo a Indian Wells erano basse. Salve qualche partita di secondo piano infatti, si è dovuti arrivare alle semifinali del torneo per vedere Federer costretto al primo vero impegno della settimana. Lo svizzero è riuscito a qualificarsi alla finale in California, l’ottava in carriera, giocando male. Borna Coric ha perso forse perché ha pensato troppe volte di avere già vinto visto che è stato avanti di un set e di un break e sul 4-3 e servizio nel terzo, come ha ammesso lui stesso nel post partita. Nell’altra semifinale, Juan Martín del Potro raccoglieva i pezzi sparsi di un Raonic che era andato in California per verificare a che punto era il suo recupero e che poi si era trovato in semifinale quasi suo malgrado.
Si è arrivati alla finale con un del Potro riposato, nonostante le 10 partite di fila tra Acapulco e Indian Wells e un Federer contento di aver vinto una partita che poteva perdere, dimostrando di essere capace di vincere anche le partite in cui non tutto funziona a meraviglia. Gli spettatori avevano ancora in testa il ricordo della vittoria di del Potro ai quarti di finale dello US Open 2017, non l’ultimo precedente fra i due ma sicuramente il più importante dell’anno scorso. Federer, dopo quella sconfitta americana, ha battuto l’argentino sia nella semifinale del Masters 1000 di Shanghai che nella finale dell’ATP 500 di Basilea, sempre rimontando un set di svantaggio e sempre in buona tranquillità.
La partita iniziava con del Potro determinato a suggellare il suo rientro con uno scalpo grosso, una vittoria in un torneo importante e contro un avversario di prestigio: cosa chiedere di meglio di battere Federer, ancora imbattuto in stagione, nella finale di Indian Wells? Che non sarebbe stata una giornata semplice per lo svizzero lo si è capito molto presto, visto che il solitamente iperaggressivo Federer (ricordate il “nuovo rovescio”?) in risposta arretrava di parecchio rispetto al solito. Se del Potro con la prima palla cercava sistematicamente la velocità (aumentando la velocità media settimanale della prima da 196 a 205 chilometir orari), con la seconda l’argentino optava spesso per dei servizi in kick, i cui rimbalzi molto alti costringevano lo svizzero a perdere campo. Federer era già sembrato fuori forma tennistica contro Coric, in una partita che «dovevo perdere», come ha dichiarato nel post-match. E anche l’inizio contro del Potro ha ricalcato la prestazione in semifinale: disastroso con il dritto, Roger è parso anche più lento sulle gambe, sprovvisto com’era di quella brillantezza fisica che è il vero ingrediente magico di questa ritrovata giovinezza.
Più lento sul campo, Roger si è ritrovato improvvisamente a giocare come qualsiasi altro tennista della sua età farebbe. Impatti in leggero ritardo, gambe meno scattanti del solito: e non aiutava certo il fatto che dall’altra parte ci fosse un avversario che tirava a tutta con il dritto. Con un rendimento ottimo al servizio, in soli 34 minuti e con un netto vantaggio nei punti conquistati (34 punti a 23) del Potro vinceva il primo set. Il linguaggio del corpo dei due contendenti era esplicativo: testa alta e fisico rilassato l’argentino, sguardo basso verso il campo Federer, disastroso in termini di punti conquistati con la seconda palla al servizio, un misero 38% contro l’80% del rivale.
Roger aveva un atteggiamento di chi non aveva molto da perdere e iniziava il secondo set al servizio senza crederci molto. Le due magie per annullare le prime palle break sembravano solo una manifestazione di orgoglio estemporanea, ma prima un “Komm jetzt” e poi un “Come on” diventavano improvvisamente la colonna sonora del salvataggio ma soprattutto del cambio campo sull’1 a 0 per lui. Federer, a questo punto, si scuoteva e giocava più di spada che di fioretto contro un avversario in forma eccellente e che fin lì non aveva sbagliato né concesso nulla. L’argentino sembrava anche più fresco fisicamente. Ma il bello doveva ancora venire.
Con i cosiddetti free points, i punti ottenuti senza faticare troppo e quindi solo con la battuta, del Potro gestiva facilmente i suoi turni di servizio, facendo aumentare in maniera pericolosa la frustrazione di Federer, incapace di trovare nuove soluzioni per cercare di battere l’avversario.
«So bad» esclamava Federer dopo l’ennesima risposta sbagliata di rovescio. Intanto, DelPo continuava a non dare tempo di spostarsi sul dritto a Federer palleggiando a buona velocità anche con il rovescio, un colpo che ha ritrovato (o quasi) la pesantezza pre-infortuni al polso. Il rovescio in back che Juan Martin ha imparato a giocare in questi anni è un colpo che lo ha penalizzato fin troppo. Giocato con apertura minima proprio per contrastare le grandi velocità dei dritti che gli arrivavano da quella parte, questo rovescio non ha mai creato problemi agli avversari, lesti ad aggirarlo per colpire di dritto e costringere l’argentino a giocare in difesa o a depotenziare il suo dritto facendoglielo giocare in corsa e mai da fermo.
Nonostante fosse in partita, Federer scuoteva la testa palesando una rabbia dovuta al suo livello di gioco, non da Federer. Eppure, sul 5-4 si procurava due set point giocando un ottimo game in risposta. Il solito dritto vincente di Juan Martin annullava il primo set point mentre, sul secondo, Roger falliva un dritto incrociato vincente, fuori di poco. Lo svizzero sembrava agitato, ne aveva per tutti: per il suo angolo, per l’arbitro, per i raccattapalle, ma soprattutto per se stesso. Si arrivava al tie-break quando la partita sembrava più una corrida che un match di tennis. Sul setpoint del 6-5 in suo favore, il quinto, ma il primo col servizio a disposizione, Federer piazza un servizio vincente ed esultava. L’arbitro chiamava il punteggio, i raccattapalle stavano cambiando campo ma del Potro chiedeva il challenge, seppur in ritardo. Palla fuori di un soffio e Federer, a quel punto, sembrava molto vicino a sbroccare, come gli abbiamo già visto fare contro del Potro. Commetteva doppio fallo, esasperando ulteriormente la situazione, anche perché poco prima lo svizzero aveva colpito l’argentino con un rovescio dopo uno scambio ravvicinato a rete. Tutto legittimo ma non sono cose che si accettano di buon grado, specie se si considera che del Potro protestava con l’arbitro già da un po’ perché incapace di tenere a bada il pubblico, che rumoreggiava sistematicamente fra la prima e la seconda palla dell’argentino.
Sul 7 pari l’argentino arrivava a matchpoint ma falliva un dritto inside-out non impossibile. Federer ribaltava il punteggio e chiudeva sul 10-8 un set caldissimo, usando anche un sonoro “Fuck off” nei confronti di chissà chi (anche se un’idea ce la siamo fatta tutti). La partita a quel punto sembrava un match di Coppa Davis, con il pubblico felice di avere il terzo set dopo aver disturbato Juan Martin per larghi tratti del secondo, e ben lieto di vedere i giocatori andare in escandescenza. Se del Potro è un tennista ancora molto sensibile agli umori del pubblico, è più raro vedere Federer farsi trascinare dal momento. Ma l’arbitro di sedia, Fergus Murphy, ci ha messo del suo, non riuscendo a contenere l’esuberanza del pubblico, limitandosi (tardivamente per del Potro) a qualche richiamo. I due giocatori, a quel punto avevano smesso di rispettarlo già da un po’, ognuno per i suoi motivi.
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All’inizio del terzo set Federer cambiava atteggiamento: capiva che poteva farcela ancora una volta, nonostante il brutto inizio. Improvvisamente tornava a essere centrato da fondo campo e oculato nel variare gioco per togliere certezze all’avversario. DelPo scendeva in termini di rendimento al servizio, i due si calmavano e la sfida tornava a essere solamente una partita tennis, con i due giocatori impegnati a spendere tutte le energie fisiche e mentali per vincere.
Solo che, a quel punto, nel serbatoio dell’argentino sembrava esserci meno benzina, mentre Federer tornava fresco e pimpante. Lo svizzero si ricordava di anticipare le traiettorie e di colpire con i piedi vicino la riga. Si procurava una palla break sul 4-4 ma l’argentino colpiva un vincente di dritto impattando sotto il livello della rete, negandogli il vantaggio. Che arrivava comunque due punti dopo grazie ad una risposta anticipata di rovescio di Federer su una seconda palla.
Nel game che lo avrebbe potuto consacrare come vincitore, Roger semplicemente non ha servito come avrebbe dovuto. Piazzava due prime sul 40 a 15, con due matchpoint a favore, ma del Potro rispondeva senza problemi e annullava prima le due palle match consecutive e poi una terza. Federer non effettuava le scelte migliori sui matchpoint e si ritrovava sul 5 pari dopo un dritto incrociato imprendibile giocato da del Potro con la consueta noncuranza. Con il pubblico gasato per la contesa che non terminava, Roger e Juan Martin arrivavano al tiebreak dopo due turni di battuta interlocutori.
Sembrava di vederli nel Far West, darsi le spalle, contare i dieci passi e poi girarsi per vedere chi fosse il più veloce a sparare, visto che a quel punto entrambi avevano meritato di perdere e vincere la partita. L’argentino era aggressivo fin dalla risposta al servizio, prendeva un vantaggio con una risposta vincente di rovescio ad uscire, impensabile fino a qualche tempo fa. Era lui il più veloce a “sparare” e chiudeva per 7-2 al tiebreak la partita dell’anno. Il nervosismo di un’ora prima svaniva nell’abbraccio a rete e tra le belle parole. Federer ha perso la partita di rabbia mentre del Potro disegnava sulla telecamera un cuore scrivendoci il nome di Cesar, il suo cagnolone morto di recente.
Cosa ci lascia questa finale? Oltre ai numeri positivi dell’argentino, vincitore del suo primo Master 1000 in carriera e del secondo titolo in due settimane dopo 11 partite vinte consecutivamente, rimane la sensazione che il vero antagonista della stagione per Federer possa essere lui, tornato a essere una certezza e non più una speranza.
La dedicatoria de Del Potro a su perro César, que falleció en febrero pic.twitter.com/YzvC8dAY82
— LA NACION Deportes (@DeportesLN) March 18, 2018