Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in tennis di periferia on 31 Luglio 2017 10 min read
Roma brucia, e il traffico su via Nomentana è rallentato per l’ennesimo incendio estivo a opera di chissà chi. Appena usciti dal raccordo in direzione circolo tennis tocca accostare di fretta che l’enorme camion Iveco dei pompieri deve raggiungere una radura che è in fiamme; dove i vigili del fuoco hanno già finito di operare il taglio giallo del fieno è diventato nero. Ci sono già meno macchine per le strade di Roma, i semafori sembrano rallentarmi meno e al circolo arrivo quando Eddy è già pronto. È vestito totalmente di bianco, sarà per via della concomitanza con Wimbledon, e ha le racchette sotto braccio come se fremesse dalla voglia di giocare.
«Ho fatto presto a studio oggi», mi dice. «Capirai, io è da stamattina che voglio scappare dall’ufficio», gli rispondo. Sono giornate molto calde quelle di luglio, in cui le nuvole sono già in ferie e con il concetto di lavoro che diventa sempre più astratto. Al centro di tutto torna, finalmente, il tempo libero. E finalmente noi padri di famiglia torniamo a gestirlo in totale libertà: il piccolo di casa è al mare dai nonni, le donne di Eddy – diventate tre nel frattempo dopo l’arrivo dell’ultima neonata di casa – sono anche loro al mare. Roma è nostra, il tempo è nostro e non sapremmo come impiegarlo meglio se non su un campo da tennis.
Sul viale lastricato che taglia a metà il prato verde per l’ingresso al campo cinque, il preferito del circolo e ancora totalmente assolato alle 7 di sera, vengo stoppato dal barista, che freme dalla voglia di raccontarmi che è stato a Wimbledon.
«Cioè aò nun poi capì me so fatto nove ore de fila pe comprà er bijetto ma poi aò ‘na ficata ce sta un vialetto che passa in mezzo ai campi che c’hanno le tribune co dieci posti aò cioè stai talmente vicino che ‘npoi capì na cosa incredibbile un sacco de gente cioè guarda sta foto che ho fatto te la devo troppo fa vedè che è uscita troppo bbene ma te ce sei mai stato a Wimbledon?» «Ho visitato l’impianto ma mentre non c’era il torneo», gli rispondo mentre mi restringo anche fisicamente e realizzo che sarebbe stato meglio rispondere con un secco No, che sto rosicando talmente tanto che quasi non mi sento in diritto di parlare di questo torneo.
Io e Eddy iniziamo a palleggiare ma veniamo interrotti dal primo questuante della giornata. Il mio compagno-avversario è infatti avvocato e incarna lo stereotipo del tennista romano, quello con lo studio a Roma Nord, quello che, quando gli chiedono in che circolo gioca, risponde «Alla Roma». Sottintende Canottieri ovviamente, il circolo più bello situato sul Tevere, uno di quelli dove è obbligatorio giocare vestiti di bianco. Un socio del circolo gli parla avvicinandosi al suo orecchio, mettendogli la mano sulla spalla. Capisco che la situazione è delicata, Eddy ha lo sguardo serio. Io perdo tempo in campo in attesa dello «Scusate l’interruzione» che puntualmente arriva.
Fa caldo anche alle sette di sera ma si gioca molto bene. Il campo è un po’ secco, la palla delle volte schizza anche se non tocca le righe; sento di stare bene in palla da fondocampo e penso che farò una buona partita. L’ultima volta Eddy mi battuto per 7-6 ma io ho sciupato un set point sul 5-3 in mio favore. Voglio batterlo ma neanche il tempo di iniziare e lui va sul 2-0. Servo male, faccio doppio fallo addirittura nel primo punto della partita. Questo fa la differenza nel primo set, che lui vince 6-3 dopo che pure l’avevo ripreso sul 3-3. Io parto con un handicap di un punto a game per via di un doppio fallo, quando non sono due, e lui ha vita facile a condurre nel punteggio. Anche perché da fondocampo gioca bene, col dritto non sbaglia mai e con il rovescio tiene; io devo giocargli traiettorie alte, che lui non ama, e se non ci riesco perdo sempre il punto.
Di fianco a noi, intanto, sono arrivati altri due soci. C’è quello che prima aveva chiesto informazioni a Eddy e che, evidentemente, ha trovato un altro socio con cui giocare. Durante le brevi pause del cambio campo li guardo giocare: non c’è partita, uno è nettamente più forte e giovane dell’altro. Si vede che è una coppia di fortuna. Sono più le palline raccolte che quelle colpite, anche perché uno dei due gioca facendo il serve and volley, vestito di bianco com’è, con addirittura una coppola alla Fred Perry. Sulla Nomentana.
Decido che inizierò meglio il secondo set e infatti riesco ad andare in vantaggio di un break, prima 2-1 e poi 3-2. Ma qualcuno deve aver detto a Umberto, patron del circolo, che Eddy è in campo. Lo vedo arrivare in lontananza, so che non si fermerà a guardare ma interromperà il gioco e allora mi fermo in attesa che poggi il bastone e chiami Eddy per avviare un lungo conciliabolo. Umberto gli passa una carta, una lettera ricevuta da uno studio legale, mi pare di capire. Eddy paga dazio, passa la sua Head sulla mano sinistra e con la destra tiene alto questo foglio.
Umberto spiega qualcosa, Eddy finge di ascoltare mentre io passeggio in campo. Dopo qualche minuto arriva la diagnosi: «Mah guarda ‘na cosa così non la pagheranno mai, figurati se la risarciscono ‘na cosa del genere. Sta’ tranquillo». Lo rassicura, ma sembra più che volesse levarselo di torno per tentare di recuperare il break di svantaggio. Lo fa, nonostante da qualche game ha iniziato a lamentarsi del caldo, che lo stanca molto e gli spezza le gambe. Gli suggerisco di ritirarsi: «No, mai» mi risponde.
Va avanti sul sul 5-4 ma io riesco ad agganciarlo sul 5 pari. Eddy alterna lunghi scambi da fondo campo, che vinco quasi sempre io, a repentine discese a rete seguendo il servizio. Non sbaglia una volée, lui che è più efficace che stilisticamente bello nelle esecuzioni. Al servizio è solido, gioca dei game mettendo sempre in campo delle robuste prime. Io rispondo da un paio di metri lontano dalla riga e se riesco a incocciare facendo rimbalzare la palla alta e profonda passo subito a condurre lo scambio. Se rispondo corto Eddy colpisce di dritto e inizia a farmi correre, costringendomi a recuperi che pure lo costringono a faticare per chiudere il punto, ma che comunque vince.
Arriva un altro socio al campo e si ferma per vederci giocare. Al cambio campo Eddy lo saluta:
«Lo vedi questo? Fa il commercialista, è uno de quelli che ‘sto periodo tirano fuori le Lotus, le Maserati e le Lamborghini dal garage»
«Certo, quanto dichiarerà? 25.000?» gli chiedo.
«No no, ma che sei matto?» risponde Eddy
«Meno meno, molto meno» conclude il commercialista sorridendo.
Al servizio cerco di mettere la prima sul rovescio, perché da quel lato non mi attacca mai. Solo che sono in totale sfiducia e, anche se quando batto miro verso il suo lato sinistro, la palla mi esce centrale e lui risponde con il dritto facendo diversi vincenti. Lui, nonostante aumenti la frequenza dei suoi lamenti sulla sua stanchezza, presunta visto che non molla una palla, non regala un punto. Quando gli servo sul rovescio e lui mi risponde centrale, inizia a correre verso il lato scoperto. Io però colpisco di dritto anticipando e indirizzando ancora sul rovescio, cercando un contropiede. Lui prova a cambiare direzione ma scivola e cade a terra. Il bianco della sua tenuta, pregna di sudore, si sporca della terra del Nomentano, forse anche meno rossa di quella della “Roma”. Riprende a giocare e sembra quasi avere un piglio diverso. Io però gioco un buon game e lo raggiungo sul 6-6 non prima di aver chiuso un liberatorio rovescio in lungolinea, ancora una volta in contropiede.
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Sul campo adiacente, il 6, i due intanto hanno finito. Li facciamo attraversare – c’è un entrata unica ai due campi – per giocare in tranquillità l’ultimo game. Il sole è sceso, il campo è totalmente ombrato adesso ma fa ancora caldo. Eddy va sùbito avanti nel punteggio e in pochi minuti si ritrova sul 6-3 anche per delle mie scellerate scelte tattiche. Sul primo match point gioca una smorzata improbabile, gli altri due li annullo io.
«Se esistesse giustizia dovrebbe essere amministrata ora facendoti perdere questo tie break» gli dico mentre ci incrociamo al cambio di campo. La giustizia esiste ma il problema è che lui ne è ministro. La amministra in maniera tale da fare gli ultimi due punti, l’ultimo dei quali rispondendo in maniera vincente al mio ennesimo servizio finito sul suo dritto in maniera totalmente opposta al mio intento.
«A me due cose mi fanno incazzare al tennis: quando mi tirano la palla addosso e quando cado. E tu mi hai fatto cadere»
«Ho capito ma sei tu che cadi, che c’entra l’avversario?»
«E lo so ma è così: se cado mi incazzo e non perdo più»
Mentre ci perdiamo in chiacchiere sulle panchine del campo arriva un altro socio del circolo. Ci racconta dell’ennesimo screzio fra soci occorso durante una partita insignificante, per la solita chiamata di palla sbagliata, vai a sapere se volontariamente o meno. I personaggi protagonisti dell’accaduto sono volti oramai a me noti, ci scherzo sempre quando li vedo. Apprendo però ora che uno dei due si fa chiamare “il tennis”.
«Aò l’hanno dovuti regge, Vittorio je stava proprio a menà poi capirai quell’altro se vola ‘no schiaffo è il primo a prenderlo». Mentre qualche raggio di sole ancora filtra fra i pini che fanno ombra sui due campi io e Eddy rimaniamo ad ascoltare i racconti di Nino, uno che è socio del circolo da una quarantina d’anni e che alterna storie tennistiche ad altre con protagoniste le sciate di gruppo, sempre fra soci.
Noi ascoltiamo senza fretta, non ci sono figli in attesa e messaggi sullo smartphone da parte di mogli che chiedono dove siamo. Il tempo di luglio non ha padrone, è solo piacere senza dovere, è poter giocare anche tutti i giorni, uscire di più con gli amici, ascoltare i concerti finalmente all’aperto e vestire in pantaloncini anche di notte. A parte le ore trascorse in ufficio, dove imprigionano il mio corpo ma mai la mia mente, mi sento un uomo più libero, quasi un sognatore.
Sarà per questo che poi a casa oso più del dovuto con mia moglie.
«Senti, il prossimo anno vado a Wimbledon»
«E allora il prossimo anno vai pure da ‘n’altra famiglia».