Abbiamo problemi con la gente.
Brad Gilbert scrisse “Winning Ugly – Vincere sporco”, per spiegare al mondo come lui, tennista mediocre, fosse riuscito ad essere il numero 4 del mondo, e per insegnare ai tanti giocatori amatoriali o professionisti a basso livello che il tennis è più semplice di come appare in tv. Mai avrebbe pensato che qualcun altro potesse scriverne il seguito. E pagine e pagine e pagine potrebbero essere scritte da questa giocatrice che ha perfino una laurea in psicologia. Quello che le vedete fare in campo, infatti, è deformazione professionale.
“Sono molto brava ad adattarmi alle diverse condizioni, che siano esse l’avversaria, la superficie o il meteo.”
Diceva il Marco Antonio shakespeariano che di un uomo rimane solo il male che ha fatto ed il bene invece viene sepolto con lui. Così di Laura Siegemund non rimarrà il titolo di Stoccarda sui campi WTA, ma rimarrà il suo tennis, sporco, pilotato, maligno. Rimarranno le macchinazioni, i calcoli, gli stratagemmi per mettere l’avversaria in difficoltà. Rimarranno i dropshot impertinenti, quelli che a furia di essere ripetuti diventano insulti, con quel taglio sotto, improvviso, che vuole essere irrispettoso più che incisivo. Si dice che il tennis sia uno sport mentale ma generalmente questo vuol significare che oltre al piano del gioco bisogna valutare anche questo aspetto secondario. Per Siegemund piano mentale e piano del gioco si fondono e il filo del match proviene da un’unica matassa, ma al contrario di quello di Arianna, questo porta nel cuore del labirinto. Pazienza se vuol dire utilizzare mezzi poco ortodossi ed extra-tennistici.
La volée di cui parlavo ieri. In corsa, col taglio sotto, una delicatezza di @laurasiegemund. pic.twitter.com/OMBX47eIv9
— Giulio Fedele (@fedele_giulio) April 29, 2017
Delicata, quanto sgraziata. Questa stop volley racchiude tutta Laura Siegemund
Siegemund è il calciatore che rischia l’espulsione pur di non far entrare l’avversario in area di rigore. Perché a tennis si vince anche con l’uso dei medical time out per spezzare il ritmo dell’avversaria, coi toilet break e con gli eccessivi intervalli di tempo tra un servizio ed un altro. Come tutti gli inganni però, anche questo ha un suo drawback: sul punto di vincere la Porsche, servendo per il match, Siegemund è stata punita dall’arbitro con un punto di penalità per time violation. Un punto che le è poi costato il game, e poteva costarle il match, se non fosse per la sua forza mentale, che le ha fatto vincere il decisivo tiebreak. Ma il rischio è calcolato e paga molto più di quanto non costi. E ancora una serie di piccole accortezze che nell’insieme farebbero l’invidia di Iago: la corsetta per arrivare a sedersi al cambio campo come a dire “questo game che ho vinto è ordinaria amministrazione, testa al prossimo”, o l’urletto di esultanza su un errore cruciale dell’avversaria, in un perfetto tedesco intimidatorio.
https://twitter.com/WTA/status/858750814772314113
Soltanto la quarta tedesca a vincere il torneo in quarant’anni di storia.
Se Radwanska è la Maga, Siegemund è la strega. E che sortilegio deve aver fatto per incantare Stoccarda, rimane un mistero. Appena un anno fa, diventava la prima giocatrice proveniente dalle qualificazioni ad arrivare alla finale del torneo. Quest’anno, incredibilmente, è riuscita a fare meglio, conquistando il titolo. L’oracolo di Delfi aveva osato predire che una wildcard avrebbe vinto questo torneo, ma tutti hanno scelto la wildcard sbagliata. Sette anni fa era Justine Henin a riuscire nell’impresa di portare a casa la macchina in palio, essendo stata invitata a partecipare dagli organizzatori. L’ultima vittima di una serie di giocatrici annichilite è stata una smagliante Kristina Mladenovic, che aveva precedentemente ricordato in semifinale a Maria Sharapova cosa si prova a perdere. Prima ancora Halep, Pliskova, Kuznetsova, nomi d’élite ma che su questa superficie non hanno capito come uscire dalla tela del ragno.
“In una scala da uno a dieci, quanto ti è piaciuto giocare questo match?” “Zero.” — Karolina Pliskova, in conferenza stampa dopo la sua sconfitta contro Laura Siegemund.
Un mix, quello di Stoccarda, che permette di sfruttare la velocità di palla dei campi indoor e le variazioni della terra rossa; perfetto per una giocatrice aggressiva ma intelligente come Siegemund. Il suo gioco è costruito a tavolino, ma allo stesso tempo è imprevedibile. Quando pensi di aver capito che tirerà una palla corta, allora ecco che aggredisce il lungolinea; quando ti trovi sotto pressione, ecco la variazione che ti spezza il ritmo.
“Yes! It’s on the line!” gridato con cattiveria, sul matchpoint
“Delightful horror”, lo chiamava Edmund Burke, quel concetto di sublime, che rintraccia in ciò che è brutto, sporco, orrendo un connotato di grandezza. I colpi di Siegemund sono brutti, stilisticamente parlando, sgraziati, a volte scomposti, ma acquistano armonia d’insieme. E quanto sono efficaci. Non è importante il come, ma il perché. E quel rovescio a due mani che viene spinto al di là della rete da tutto il corpo, come se davvero dovesse spostare un camper, non sarà certo la perla monomane di Carla Suarez Navarro, ma fa quello che deve. Perché, checché se ne dica, il tennis rimane ancora quello sport dove bisogna pensare a vincere il punto in tutte le maniere possibili, e non a come eseguire il colpo perfetto.
“Sul campo non c’è alcuna teoria. Anche se sai le cose, non ci fai niente con quelle conoscenze. Devi soltanto fare la giusta decisione, trovare la maniera, devi rimanere concentrato. Sai che devi essere sveglio e concentrato sul punto successivo ma la domanda è: come ci riesci? La teoria… con la teoria non ci fai niente. Per questo si chiama teoria.”