Abbiamo problemi con la gente.
Dopo un paio di quindici fra Berrettini e Di Mauro l’arbitro fa il suo primo richiamo al pubblico: «Per favore, potete parlare più piano?». Siamo sul Pietrangeli e un paio di raccattapalle in libertà parlano a voce troppo alta sull’ultimo gradone dello stadio intitolato a quello lì. Il richiamo dell’arbitro, pronunciato senza microfono, si sente benissimo anche da trenta metri. I giovani arrossiscono e tacciono, Di Mauro può tornare a servire. Si gioca in silenzio in questi giorni di Foro Italico, nel torneo di pre qualificazione alle qualificazioni. Per arrivare fin qui i giocatori hanno dovuto fare altri tornei, tranne dieci, invitati a discrezione del settore tecnico della Federtennis. Un unicum italiano che si rivela un’ottima trovata di marketing per la FIT. Il pubblico è ancora assente, quiete e passo lento dettano il ritmo delle giornate. Si gioca senza il brusio di sottofondo, con l’unico fastidio dei suoni metallici degli operai al lavoro, ché c’è da terminare l’allestimento degli stand, quelli che fra qualche giorno faranno affari d’oro vendendo il completino di Nadal o la pizza col salame a quattro euro (la pizza, non il completino).
Un centinaio di persone ha gli occhi puntati su Matteo Berrettini. Il giovane romano, classe 1996, ha la palla pesante, specie col dritto e servizio. Potrebbe bastare per arrivare in alto. Berrettini non ha molti problemi ad adattarsi al gioco di Di Mauro, mancino che cerca di rimettere tutto dall’altra parte della rete aggrappandosi al mestiere, anche perché il suo coach, Vincenzo Santopadre, giocava praticamente uguale al suo avversario e ora lo guarda seduto nel player box con le gambe a penzoloni sulle fioriere.
Ci sono molte nuvole e il fresco del vento si alterna al tepore del sole. Si comincia alla nove e dopo un paio d’ore al Foro c’è più gente, ma quando ci saranno i campioni sarà tutta un’altra cosa. A ritrovarsi a seguire questi match c’è tutto il sottobosco romano del tennis, gli avvocati e i commercialisti dei circoli sul fiume accorsi al foro perché, oggi, sono in campo i loro consoci, quelli forti. Si conoscono tutti, in campo ci sono solo giocatori italiani che non hanno chance né troppe speranze di andare avanti in questo torneo pre torneo.
Berrettini tentenna un po’ ma riesce a chiudere il primo set per 6-4, è tempo di andare oltre il Pietrangeli. Il viale delle olimpiadi è vuoto. Una cancellata che l’anno scorso non c’era, ora limita l’accesso al centrale per un, si presume, ulteriore controllo biglietti, cosa che immaginiamo farà la felicità di molti. Fra una settimana si farà fatica a camminare in questo imbuto sul viale giusto sotto la Tevere, passaggio obbligatorio per raggiungere i campi o sostarvi per fare la fila agli stand culinari. Per la gioia di qualche siciliano che un anno fa si lamentava delle arancine («Mah»), quest’anno non ci sarà più quello stand di Messina, rimpiazzato dal “Catanese”. Vedremo come andrà a finire.
Arriva un po’ di gente, anche perché gioca la seconda squadra della Capitale alle tre, e perché non guardare un po’ di tennis prima? Le macchine su via del Foro Italico aumentano, si sentono i primi rumori da copertone, qualche vigile rompe il silenzio e inizia a fischiare per non far fare gli ingorghi di fronte al ponte della Musica. Il porchettaro non c’è, segno che il torneo non è ancora iniziato.
Sui campi secondari sembra esserci meno gente, ma forse solo perché in tribuna ci si siede a chiazze, a gruppi. Non ci sono partite di cartello, ma solo compagni e soci da seguire seduti sugli spalti. Il Pietrangeli rimane lo stadio più pieno, anche in questi giorni, e non solo perché ospita i match di cartello. Capiamoci: il sole si prende meglio là, perché non ci sono gli alberi a fare ombra e perché il marmo amplifica gli UV, e poi si è in favore di telecamera per la diretta Supertennis. Sui campi tre, quattro, cinque e sei, ci sono match femminili poco avvincenti, partite di livello torneo Open con montepremi. Sono tenniste sconosciute praticamente a tutti tranne che alle compagne di squadra e compagni di circolo, vestiti con la tuta sociale e facilmente individuabili quando il punto finisce.
Finita una partita femminile sul campo due, uno strazio in un palcoscenico immeritato, scende in campo l’altro Berrettini, quello biondo, Jacopo. Alla fine della presentazione (“Torneo di pre qualificazione agli Internazionali BNL d’Italia, dall’Italia Jacopo Berrettini”), duecento persone applaudono convintamente. In pratica il Canottieri Aniene è tutto sul campo due a sostenere il classe ’98, fratello del classe ’96, attualmente classificato oltre la posizione 1.000 del ranking ATP.
L’entusiasmo dei romani si spegne subito. Il biondo dal fisico skinny e dall’acme copioso perde subito il servizio a zero. L’altro, infatti, ha la barba, esperienza, classifica e ha giocato decine di questi match. L’altro è Salvatore Caruso, ha 24 anni ed è classificato poco sopra la posizione 200. Siciliano di Avola, un paesino che adesso è noto per i suoi vini ma che fu teatro di terribili scontri nel 1968, quando la polizia represse i contadini sparando ad altezza d’uomo durante le loro manifestazioni per chiedere l’eliminazione delle gabbie salariali e del caporalato, Caruso tentenna giusto un po’ quando Berrettini vince due game di fila accorciando sul 2 a 3, sempre sotto di un break. Il coach del siciliano non fa una piega e, quando Caruso si procura una palla per andare di nuovo avanti di due break, gli dice «rimani in protezione». Come a dire: continua a giocare in maniera guardinga e non pensare alla classifica.
Il siciliano esegue, e chiude poco dopo per 6-2. Allora i romani, che pure vogliono bene al giovanissimo Berrettini, si dicono che avranno altre occasioni per vederlo gareggiare con possibilità di vittoria al Foro Italico, che oggi è ancora troppo piccolo per farcela e non c’è aria di miracoli, ché Papa Francesco ha pure terminato l’Angelus da un’oretta. Si è fatta giusta ora e di pranzo e quando il ristorante chiama non c’è Federer che tenga. Figuriamoci Berrettini.