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Make Rafa Great Again

Il primo game di Nadal contro Monfils è stato giocato all’insegna di lenti e interminabili palleggi da fondo campo. Abbiamo guardato l’orologio e non abbiamo detto che faremo notte giusto perché si gioca in Australia. Rafael annullava una palla break e vinceva il game ai vantaggi. Dopo un cambio campo frettoloso arrivava subito il break, Rafael confermava il vantaggio portandosi sul tre a zero e, lasciando cadere a terra la seconda palla, rimasta inutilizzata dopo l’ultimo punto, guardava il suo box. La telecamera stringeva l’inquadratura e lo sguardo era quello della tigre, lo sguardo di Rocky.

Nel box erano tutti concentrati, papà, Moyá, zio Toni, la fidanzata, ma quando Rafa li ha guardati così hanno come ruggito. Il loro incitamento era rabbioso, perché per un attimo avevano intravisto il Rafa vittorioso, anche se si era solo a inizio partita. I loro occhi tradivano una voglia di arrivare fino in fondo al torneo, la stessa che ha Nadal, “e diamine se sarà Monfils a mettersi di mezzo fra noi e Raonic nei quarti di finale”.

Il 3-0 diventava 4-1 e poi 5-2. Non c’era palleggio da fondocampo che poteva turbare Rafael, almeno a quella velocità. Monfils iniziava a spazientirsi, tirava qualche dritto per provare a sfondare il muro ma spesso la palla finiva fuori o incocciava la rete. Il francese faceva qualche colpo buono per i social network e si deconcentrava un po’m al contrario di Nadal, che non aveva di certo tempo per gigioneggiare. Il 6-3 ordinario arrivava con puntualità.

Un giorno prima o poco più del match vinto in cinque set contro lo Zverev forte che ha perso però prima dello Zverev meno forte, Nadal aveva dichiarato: «Sono partite come queste, vinte in cinque set, che mi danno fiducia». E difatti il dritto di Nadal, il termometro del suo gioco, ricordava a tratti quello di una volta contro il francese. Fiducia: gira tutto intorno a questa parola il ritorno o meno dello spagnolo ad alti livelli. Barcamenare attorno ai top 10 è cosa facile per uno come lui, anche giocando così; sulla terra battuta qualche successo arriverà, d’altronde ha vinto Montecarlo nel 2016 e non giocava meglio di adesso. Ma non è per rimanere a galla fra i migliori che Rafael si è allenato tanto durante l’offseason. Lo ha confermato anche il neo aggiunto al team Nadal Carlos Moyá, che in un’intervista rilasciata al magazine francese L’Equipe ha dichiarato: «Se dovessi mettere la mia vita in mano a qualcuno la affiderei a Nadal. Questa volontà assoluta che ha di vincere, questa capacità di resistere alla pressione che ha Rafa è unica. Ce ne sono pochi nello sport come lui: Michael Jordan, Tiger Woods».

Intanto, un break di vantaggio indirizzava il set verso un altro facile 6-3, ma poi Monfils recuperava sul 3-3 con un buon game. C’era match, si sperava, e invece il francese non riusciva più a vincere un game: un altro ordinario 6-3. E man mano che lo score aumentava, in un set come in un altro, si notava che lo spagnolo era sempre in controllo del suo gioco, e quindi della partita. Perché il dritto non era così corto come contro Zverev, quando le emozioni erano confuse e così anche il suo gioco. E invece, contro Monfils, la palla girava alta e lunga, e i lungolinea arrivavano copiosi. Il grande ritorno del dritto lungolinea di Rafa, la sua novità 2017.

Poi certo, ci sono anche gli avversari. E Monfils ha già dimostrato che un set può vincerlo contro chiunque. Ed ecco la prima avversità in una partita fin lì sotto controllo, il francese che, al servizio sul 5 a 4, annulla tre palle break e poi chiude il set con un poderoso dritto vincente incrociato. Una vittoria del parziale ottenuta con l’incoscienza che lo rende un giocatore diverso da tanti altri, e forse è questa peculiarità il suo punto di forza del gioco, almeno quando incontra i migliori. Ma d’altronde di regolarità, contro Rafa, si muore.

Ma poteva aver paura di un set perso quando ne mancava solo uno per riportarlo ai quarti di finale di uno Slam, dove mancava dal Roland Garros 2015, quello della grande sconfitta contro Djokovic? Falliva buone occasioni Rafael anche nel quarto set, e iniziava a vacillare. Si arrabbiava con l’arbitro per una mancata chiamata fuori di una palla che lui ha continuato a giocare, e guardava in cagnesco i segni degli ace che Monfils metteva in campo con puntualità. Era arrabbiato. Rafa si trovava di nuovo nel limbo, indeciso se cercare di vincere questa partita vivacchiando, accorciando il raggio dei suoi colpi, o prendersela di forza. Il punteggio, intanto, lo vedeva in svantaggio di un break. Rafael non riteneva giusto come stava andando la partita, ed è per questo che recuperava dapprima il break e poi chiudeva la partita al secondo matchpoint con Monfils al servizio sotto per 4-5. E saltava Rafa, esultava col salto, come Federer il giorno prima quando ha chiuso il match contro Nishikori. È il salto di gioia, il salto del ritrovare se stessi, di sentirsi di nuovo padroni del proprio destino.

«Rafa ha riconosciuto che nel 2015 il problema è stato mentale, nel 2016 è stato fisico», ha detto Moyá ancora in quella intervista. Quest’anno testa e gambe sembrano esserci entrambe, almeno al meglio di quel che si può. E questo torneo straordinario, che tutti speriamo preannunci un anno aperto a tanti risultati, e quindi non alla sola spartizione dei titoli da parte di Murray e Djokovic, sarà di chi saprà prenderselo con la forza. La concorrenza è agguerrita, ci sono i “mediogiovani” Raonic e Dimitrov, quel Wawrinka di cui tutti hanno paura nella seconda settimana di uno Slam e poi pure quell’altro che è tornato e non per divertirsi, Federer. E poi c’è Rafa, e solo lui può “Make Rafa Great Again”.

Australian Open 2017 Rafael Nadal


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