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Fuori servizio

Il torneo di Parigi-Bercy edizione 2016 verrà ricordato, oh se verrà ricordato. Bercy è il Master 1000 più snobbato da parte dei migliori, che preferiscono avere la settimana di riposo per le ATP Finals, o lo giocano solo quando gli manca qualche punto per qualificarvisi. Oppure, vi partecipano quando devono difendere la posizione di numero 1 della classifica ATP, Djokovic, dalla protervia insistenza del numero 2, Murray.

E così, questo torneo malinconico del buio autunno parigino, ha preteso di essere seguito da tutti, perché è da mesi che il margine di distacco in classifica fra Murray e Djokovic si assottiglia, e da giorni i giornali hanno cominciato il valzer del: “Murray è numero 1 se…”. Intanto, Djokovic batteva Muller e rimontava un set di svantaggio contro Dimitrov. Murray arrivava ai quarti di finale lottando in una partita contro Verdasco e lasciando nel turno successivo tre game al francese Pouille. E si arrivava al venerdì, con Djokovic che doveva affrontare Marin Cilic, una pratica che il solito serbo avrebbe archiviato senza problemi e invece.

La partita era bruttina, il primo set in special modo. I due pensavano solo a tenere il servizio, e il loro linguaggio del corpo diceva tutto: pimpante Cilic, sorridente e carico, abulico Djokovic, chiamato all’ennesima giornata di tennis forzato, per quel dannato numero 1 della classifica da difendere.

Giocava col pilota automatico il serbo, cercando di vincere le partite solo con il braccio, colpendo a memoria come fa oramai da anni. Solo che a tennis, maledetto sport, serve anche metterci la testa: pensare a come costruire il punto, cambiare tattica o, addirittura, strategia. Senza pensare, a tennis non vinci. Corollario: per fare questo serve voglia, voglia di soffrire in special modo se sei un giocatore di contrattacco come Novak. E così un Cilic galvanizzato dalla qualificazione alle ATP Finals, ritrovata la verve ammirata agli US Open 2014 e a Wimbledon di quest’anno, tornava a mostrare il pugnetto con convinzione dopo aver vinto il primo set per 6-4, quasi casualmente. Djokovic non era preoccupato, era ancora in vita.

Riusciva a recuperare, a giocare un pochino meglio, e arrivava a servire addirittura per il set sul 5 a 4. Ma ecco il click, l’ennesimo cigolio di questa seconda parte di stagione. Due doppi falli di fila rimettevano il tennista croato in partita. Ma qui arrivava il miglior Djokovic, che annullava i matchpoint come se, arrivato a un punto dalla sconfitta, non volesse più perdere. Ma tutti sapevano che quel momento sarebbe passato presto. Un altro click arrivava subito dopo: una smorzata senza senso usciva larga di parecchio. Il tiebreak, dove Djokovic si rifugiava con tenacia, era solo un mero prolungamento di un’agonia durata fin troppo. Quell’abbraccio a rete con Cilic è stato il sollievo, una liberazione.

Djokovic, il tennista che non pensava e che sapeva solo vincere, l’imbattibile, il giocatore di un altro pianeta, colui che poteva provare a battere il record di Slam di Federer, Robonole si è infine rotto. E questa volta non c’è un menisco o un polso da far guarire, c’è da ritrovare quello che molti chiamano il fuoco sacro, il motivo che spinge questi professionisti ad abusare del loro corpo e della loro vita per vivere in hotel 300 giorni l’anno. Per Djokovic, questo fuoco sacro affievolitosi dopo la vittoria al tanto atteso Roland Garros è probabilmente la volontà di superare il record di Slam di Federer, perché i numeri non dicono tutto ma insomma.

Ma intanto, potrebbe aver abdicato. Infatti, dopo questa sconfitta è tutto nelle mani di Andy Murray per quanto riguarda il n.1 ATP. Prima di Wimbledon, Djokovic aveva 8.035 punti di vantaggio sul secondo, Murray, che per diventare numero uno dovrà battere Berdych e poi uno fra Tsonga o Raonic. Contro questo terzetto, Murray è imbattuto da 17 partite. Se Murray raggiungerà la finale del torneo sarà il nuovo numero uno, per cinque punti. L’alba del nuovo giorno del tennis è molto vicina.

Novak Djokovic


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