Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in playlist on 8 Dicembre 2016 4 min read
A vederlo, per come si concia, sembrerebbe uscito da uno qualsiasi dei volantini del Ministero della salute, ovviamente nella metà opaca che rappresenta gli esempi da non imitare. Capirai, è pure un negro.
Invece, Dustin Brown, è tedesco. E pazienza se nel 2016 c’è ancora chi, quando lo intervista, gli domanda del camper con cui girava l’Europa nei tornei minori – il conto in banca ora sorride – Dustin non è affatto tedesco quando gioca a tennis. Cioè: Kohlschreiber è tedesco, gioca solido, vince quando deve vincere e perde quando deve perdere. E poi gioca bene ma in maniera ordinata. Brown no, Dustin è l’estro, è il menefreghismo di come finisce lo scambio applicato al punteggio, è la curva disordinata che non riesce a combaciare mai con le linee che disegnano i rettangoli del campo, è la variabile in uno sport di costanti. Gioca un po’ come gli pare, con attenzione al dio punteggio, ma mai sacrificherebbe un hot-shot in suo onore, perché sarebbe un po’ tradire il mandato che tutti gli appassionati di tennis gli hanno affidato: farli divertire quando lo guardano.
E allora, sia che lo si guardi da bordo campo che dal divano di casa, i suoi match si guardano in attesa di quel colpo là, che tanto prima o poi arriva. Sotto le gambe, dietro la schiena, di lato, di spada, di fioretto o volteggiando come un portiere che deve parare un rigore: Brown non si sottrarrà mai al mandato di essere un tennista diverso, di rompere le sacre regole del tennis che non vorrebbero mai l’avversario umiliato con qualche giochetto: Brown è coatto e fa un po’ come gli pare.
Les aventures de Dustin #Brown à l'#OpenOrléans. pic.twitter.com/5lhXFUP7Ij
— Prise Marteau (@PriseMarteau) September 29, 2016
Dopo trenta secondi e tre assurdi hot shot di Brown smetterete di guardare questo video: Benneteau vi farà pena (il match lo ha vinto Brown).
Qui siamo in modalità “sto rosicando perché io so giocare a tennis ma tu no e quindi non mi spiego perché stai vincendo”. Giannessi è a matchpoint contro Brown, che serve piano e va a rete. Gioca la volée stoppata ma neanche tanto: vuole che l’italiano la riprenda per vedere se ne esce fuori un colpo spettacolare. Sulla rimessa corta lui cosa fa? Colpisce di schiena. Giannessi lo guarda per un paio di secondi, si passa la mano dai capelli e poi si avvia a riprendere il gioco. Cosa avrà pensato? Facile: “Che coatto che sei”.
Qui c’è la combo. La volée in tuffo alla Becker è roba che lui neanche esulta: è repertorio di base, come i giocolieri al semaforo. Però poi c’è da passare Ram che si presenta a rete con una rasoiata di rovescio con taglio sotto, su erba. Si può giocare solo colpendo di piatto, ma rapidamente però perché non c’è tempo per il piazzamento. Allora lui elimina due passetti e allarga le gambe. E poi alza il braccio.
Il tennis improvvisato di Dustin Brown lo vede giocare il dritto solo di polso, senza l’uso di aperture ampie e prolungate nel tempo. D’altronde, lui è un giocatore che dà il meglio sull’uno-due, quando il tempo è poco e la superficie è veloce. Si appoggia quindi, spesso, sulla palla dell’avversario. Ma è capace anche a tirare missili, e solo con l’ausilio del polso. Guardatelo qui ad Halle contro Ramos-Vinolas.
C’è una frazione di tempo che sembra breve ma in realtà è lunghissima: è quella che segue una demivolée giocata male, uscita lunga e con il rimbalzo alto. Capita nei tornei ATP come nei circoli, ma il pensiero è sempre lo stesso: “Eccolo, ora arriva e mi tira una cannonata addosso, mannaggia a me”. La maniera migliore per fronteggiare questa situazione è non avere paura, prepararsi a prendere una pallata ma pensare di usare la racchetta come protezione, mettendola ben davanti al corpo per prepararsi al crash. E poi c’è Dustin Brown.
Verdasco prova a imbrigliare in uno scambio da fondo campo l’estro di Brown. Che a un certo punto si stufa e colpisce una smorzata che sembra altissima, e quindi destinata ad un rimbalzo comodo. Invece si vede Verdasco che manco corre verso la palla, perché ha capito tutto: il rimbalzo non c’è.
Tweener con pallonetto passante vincente? Ce l’abbiamo in repertorio.
Avete presente la frase figurativa “l’ha messa lì con la mano”? Qui c’è il cortometraggio realizzato da questa sceneggiatura.