Abbiamo problemi con la gente.
L’autunno toglie i colori dalle foglie degli alberi, ci bagna con le prime piogge e si porta via pure la voglia di seguire il tennis. Gli US Open sono finiti da più di un mese, ma il tennis era già ripartito l’indomani, con partite “minori”. Un giorno bisognerà fare i conti con il fatto che non si apprezzano mai a sufficienza quei giocatori che non sono i big, che non riempiono gli stadi, ma che comunque fanno in modo che si giochi a tennis per tutte le settimane dell’anno. Ma questa è un’altra storia e qui parliamo di Asia, che Zverev ricorderà perché in Asia vince il suo primo torneo ATP. Tanto forte da far vaticinare la prima vittoria Slam da qui a cinque anni ai più avventati, confidando nella buona stella di Tommasi che scommise su Edberg e quasi sbagliava. In Asia ha vinto anche Khachanov, altro giocatore di cui si dice un gran bene e che forse un giorno vincerà qualcosa. Ma non lo abbiamo detto e letto già di tanti altri?
E allora perché in un pomeriggio d’autunno ci ritroviamo a seguire la prima partita dalla finale degli US Open? Nadal e Dimitrov sono due speranze deluse, in tempi e modi diversi. Nadal prova a rientrare, forse per non deludere i suoi tifosi, ma è costretto alle recite di sé stesso, alla ricerca del dritto perduto e della mobilità che non tornerà. D’altronde quella, quando arrivava ovunque con le gambe e rimetteva qualsiasi cosa con il dritto, era la stagione dell’amore per Rafa, e Battiato sbagliava, quella stagione non tornerà.
E poi c’è Dimitrov, anche lui impegnato nell’ennesima replica del leitmotiv della sua carriera: diventare un campione. C’è stato un momento in cui un po’ tutti, tifosi e addetti ai lavori, hanno perso la pazienza nei confronti di Grigor. Un giorno preciso in cui i tifosi, quegli stessi che preferiscono ritrovarsi sempre davanti la TV o sugli spalti a seguire le solite repliche a velocità ridotta dei vari Federer e Nadal, ha smesso di aspettare Grisha, e di bocciarlo. Definitivamente. E lui continua a provare a smentirli, d’altronde fa ancora in tempo: Wawrinka non ha vinto forse il suo primo Slam a quasi 29 anni?
I due incrociano i destini a Pechino, per un posto in semifinale. Hanno convinto fin qui, anche se Nadal per battere Mannarino ha avuto bisogno di un tiebreak dopo il 6-1 del primo set. Iniziano a giocare e giocano come al solito: Nadal cerca di comandare da fondo campo, ma il suo dritto spesso s’inceppa, ha lo stesso rumore di una volta ma non la stessa velocità, sono le gambe il problema, lo sappiamo. Dimitrov gioca grosso modo alla stessa maniera di sempre, solo che sembra avere una nuova verve: non è più negativo con il linguaggio del corpo, in campo cerca di essere semplice, elementare nelle soluzioni, anche perché lui può: Grisha sa fare praticamente tutto.
— doublefault28 (@doublefault28) October 7, 2016
E però la partita conta di più di una semplice semifinale da conquistare. E cinque break nei primi cinque game di gioco è roba da WTA, non da due campioni o presunti tali del circuito ATP. Grisha tiene per primo un turno di battuta nonostante un banana-shot di Rafa che fa urlare al telecronista un “vintage Rafa” che è tutto dire: sale 4 a 2 e chiude 6-2 poco dopo.
Non indugia più Grigor, ora, e quindi arriva anche il break all’inizio del secondo set: sono passati più di tre quarti d’ora e Rafael Nadal non è ancora riuscito a tenere un turno di servizio. La partita è in discesa, il volto di Nadal si rabbuia, quello di Grigor sembra sicuro. Rafa per fare i punti deve fare i miracoli, Grigor solo correre e rimettere tutto dall’altra parte. Nadal è quello che comanda ogni singolo punto, Dimitrov è quello che lo vince: sembra incredibile, ma è tennis d’autunno. I colpi dello spagnolo colpiscono il nastro, ed escono larghi. Lui si dispera, si piega in due dalla rabbia guardando a terra: è voglia di ribellarsi all’autunno, che arriva poco dopo quando Grigor chiude il secondo set e la partita sul 6-4.
È la prima vittoria di Dimitrov contro Nadal, ci aveva provato sette volte e non c’era mai riuscito. La prima partita tra loro, sette anni fa, finì al terzo e per Dimitrov fu quasi una vittoria. Nessuno lo sapeva che sarebbe andata più o meno sempre così, che le quasi vittorie sarebbero diventate rimpianti di un tennista che non ha ancora trovato sé stesso. Difficile che lo faccia oggi, in un autunno di Pechino, ma da qualche parte bisogna pur cominciare, no?