Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in monografie on 13 Settembre 2016 6 min read
Nella conferenza stampa subito dopo la vittoria contro Juan Martín del Potro, a Stan Wawrinka hanno chiesto perché giocasse ancora, visto che «sei ricco, non raggiungerai mai il numero degli Slam di Federer, Nadal e Djokovic, e vincerne un altro non cambierebbe molto la tua vita. Cosa ti motiva?». La risposta di Stan è stata secca: «Cosa vuoi che faccia? Che vada in spiaggia?». Poi, serio, mettendo su un’espressione corrucciata, ha chiesto al giornalista se avesse posto la stessa domanda a Rafa, Novak e Andy, dimenticando l’amico Roger, cosa che non poteva essere più freudiana.
Quella che potrebbe sembrare una domanda ridicola, ha però il pregio di andare diritta al punto, perché è la domanda che in molti avremmo voluto fare a Wawrinka, un tennista che per molti anni ha fatto fatica a trovare un filo conduttore logico alle sue prestazioni. La differenza di rendimento tra i tornei dello slam e i tornei in cui si gioca due su tre, i Masters 1000 in particolare, la dice lunga su quanto Wawrinka faccia fatica a rimanere concentrato nel breve. E di fatti Wawrinka, oltre ai tre Slam, ha vinto un solo Masters 1000, a Montecarlo nel 2014, e solo altre due volte è arrivato in finale, nel lontano 2008 romano e tre anni fa a Madrid.
Dopo la finale di Roma, forse un po’ casuale, Stan sembrava avviato ad un’onesta carriera da top 20, con incursioni più o meno lunghe nella top 10 e con qualche sprazzo di gran talento qua e là. Nel 2009 a Wimbledon giocò una partita meravigliosa contro Andy Murray, la prima in assoluto sotto il tetto del Centre Court. Ovviamente la perse al quinto, confortando gli esperti che mai si sarebbero aspettati di doverne commentare una vittoria Slam, figuriamoci tre. Stan proseguì l’onesta carriera perdendo altre splendide partite, sempre negli Slam, stavolta contro Djokovic. Nel 2013 prima a Melbourne poi a New York, costrinse il serbo a due memorabili quinti set, ovviamente perdendoli entrambi.
La prima sconfitta di Wawrinka post US Open è contro Jimmy Fallon
Sembrava tutto già scritto quando a Melbourne, l’anno dopo, la storia si ripetè. Stan perse nettamente il primo set, vinse agevolmente secondo e terzo e Djokovic riuscì a pareggiare nel quarto. Esattamente come l’anno precedente il quinto set fu splendido, ma anche sul 7-7 nessuno avrebbe scommesso più di tanto sulla vittoria dello svizzero. Quando sull’8-7 per Stan, Djokovic riuscì a compiere due disastri sul 30 pari a cambiare non fu la carriera del serbo ma quella dello svizzero. Perché fu una volée sbagliata a creare The Man. Da allora Stan ha vinto tre slam ed è diventato il più anziano vincitore dello US Open dai tempi di Ken Rosewall, quando il tennis chissà cos’era. C’era riuscito anche Sampras a vincere dopo i 30 anni, ma era stato l’ultimo match della sua carriera, poi smise.
Nonostante abbia raggiunto Andy Murray nel numero degli slam vinti, Wawrinka si ritiene ad un livello inferiore del britannico. A giugno infatti, quando ancora Murray era a quota due Slam, Wawrinka aveva affermato in conferenza stampa al Roland Garros: «Lui è stato sempre uno dei quattro, anche se abbiamo vinto lo stesso numero di Slam. Se confrontate le nostre carriere noterete che Murray ha vinto più titoli e conquistato più finali».
E forse è proprio questo approccio rilassato, che manca proprio dell’ossessione verso i risultati che invece caratterizza i Fab Four (ora diventati Fab Five per voce di Djokovic) ad aver reso Wawrinka un pluricampione Slam. Nella conferenza stampa post vittoria ha dichiarato di «essere venuto a New York senza grosse pretese». Quando gli hanno chiesto come ha fatto a tenere calmi i nervi, ha risposto a modo suo: «I had to put my shit together», un’espressione che tradotta in italiano perderebbe tutta la sua potenza.
Wawrinka non aveva brillato nei tornei precedenti, una semifinale a Toronto e un terzo turno a Cincinnati, però è riuscito a vincere il torneo anche dopo aver rischiato di perdere contro Evans al terzo turno. Ed è questo approccio spensierato che lo rende imprevedibile. Anche il suo coach Norman non è riuscito a trasmettere a Stan l’approccio freddo e ragionato che lo contraddistingueva. Per Wawrinka questo non vale: quello che succede al mercoledì non è collegato al lunedì, e se poi lotti in cinque set contro Evans riesci a sbarazzarti con relativa facilità di del Potro, Nishikori e Djokovic, riuscendo a vincere il torneo.
Ora, c’è da scommetterci, tornerà in letargo. Il suo 2016 non è stato brillante fino al torneo statunitense e in un certo senso ha ricalcato quello che successe nel 2015: titolo Slam non confermato (sconfitto sia a Melbourne che a Parigi in semifinale) e l’impressione che da un momento all’altro lo svizzero avrebbe perso la magia. Invece, come dodici mesi fa, Wawrinka ha ritrovato la bacchetta e ha finito per alzare la coppa dopo un buon torneo. Un buon torneo, non un eccellente torneo: dopo tutto è andato ad un punto dalla sconfitta contro Evans, ha ceduto tre set nei tre turni successivi senza mai brillare ma piuttosto approfittando dei saliscendi dei suoi avversari. In finale, poi, non ha nemmeno dovuto rispolverare la migliore versione di sé stesso, perché è bastato un Wawrinka ordinato – per quanto possa essere ordinato uno come lui – per battere un Djokovic in evidente calo. Ci sarebbe da farsi due domande sul livello del circuito, forse, ma per ora è meglio rimandarle.
Certo è che dal Roland Garros 2015 a Wawrinka non fanno più domande sulla famosa frase di Beckett e i fallimenti, considerato il suo incredibile score nelle finali. Ne ha vinte undici di fila e nelle tre finali Slam che ha disputato, ha sempre battuto il numero 1 del mondo. E dopo la vittoria contro Djokovic, i giornalisti non hanno fatto domande neanche su Federer, in ritiro sulle alpi svizzere. Alla fine, Wawrinka è diventato un giocatore normale. Gli è bastato vincere un altro Slam.
Edit: una precedente versione di questo articolo riportava la vittoria di Wawrinka a Montecarlo nel 2015: la vittoria è del 2014.