Abbiamo problemi con la gente.
Ho scelto di partire per le vacanze l’ultima settimana di luglio, tornando a Roma quindici giorni dopo, e così ho scoperto quanto è difficile trovare qualcuno con cui giocare a tennis ad agosto. A luglio il caldo non tradisce mai, l’acqua del mare è calda, le piogge sono assenti e ti risparmi anche due settimane di lavoro, perché a fine luglio ancora c’è da fare; poco, ma c’è da fare. E poi, pensavo prima di partire, mi godrò Roma d’agosto, quando è deserta e puoi girarla in macchina raggiungendo le zone dove di solito non puoi andare mai: il centro, Trastevere, San Lorenzo, dove potrò parcheggiare con facilità e passeggiare senza schivare le persone, ché gli studenti del sud sono tutti a casa.
E magari, prima andare a cena in qualche ristorante libero dagli affollamenti del sabato sera, posso godermi i musei, specie quelli che nessuno visita mai a Roma, quello delle Arti e Tradizioni Popolari o l’Etnografico, che sono ancora più deserti del solito. All’Eur dalle strade sovradimensionate tanto poche sono le auto che incontro, infatti, persino i custodi si incuriosiscono della visita, che si svolge senza udire il minimo rumore. Il tempo sembra dilatarsi, tutto si riesce a fare senza prescia, la fretta come la chiamano i romani. Roma, d’agosto, si gode.
Anche quelle partite di tennis che ho fatto prima di partire, a luglio, erano più tranquille. C’era infatti molta meno gente al circolo, perché i soci hanno praticamente tutti casa al mare, il casale in Umbria o qualche amico che li invita in barca, e quindi farsi vedere al circolo tennis a luglio è quasi un attestato di mediocrità economica. Ecco perché i soci come me, quelli che sono soci perché gli serve un posto dove giocare a tennis, e sticazzi del Burraco, dei pranzi conviviali e del torneo di doppio giallo, hanno difficoltà a trovare con chi giocare. Io, che già ho una rosa ristretta per via del livello di gioco fra cui scegliere i giocatori, mi sono ritrovato come Carlo Verdone quando interpreta Enzo in Un sacco bello, il suo esordio alla regia del 1980.
Nel film, Enzo cerca disperatamente un compagno per andare a Cracovia, quando ancora c’è il mito delle ragazze facili dell’Est grazie alle calze messe in valigia, ma si imbatte in tanti no dopo che il suo amico storico si ritira dal viaggio. Sono gli stessi no che incasso io, quando appena tornato in Italia comincio a mandare messaggi su Whatsapp per vedere chi è disponibile a giocare. Il mio compagno abituale, il Sergio del film, non c’è, e allora tocca scorrere la rubrica per trovare qualcun altro.
Uno dei soci mi preferisce un doppio, come Sergio che alla fine sceglie la famiglia. È uno di quelli che chiamo ogni tanto, una terza o quarta scelta, perché ci ho giocato almeno 100 set e non ne ho mai perso uno. Si divertirà più col doppio, immagino. Lo prenoto per un altro giorno ché agosto è ancora lungo. Il circolo, poi, è pure chiuso. C’è solo la piscina aperta la settimana di ferragosto, ma parlando con un socio ho scoperto che si può giocare, magari usando gli spogliatoi della piscina per la doccia.
Il telefono fisso di Verdone («Signora ma lei non lo può rintracciare? È una cosa urgente. È una cosa urgeeeenteeee. Va bene, mi passi il fratello») è stato sostituito da Whatsapp, che a un certo punto lampeggia: è Chiara, che per giocare con me anticipa il rientro da Santa Marinella giusto per farmi fare un paio d’ore di tennis. Giochiamo, ed è bello ricominciare, come quando Sergio parte con Enzo sull’autostrada. Ma finisce presto: il suo amico ha un malore che lo costringe a tornare a Roma, Chiara ha una cena fuori che mi rimanda a casa in tempo per la cena. Sono un po’ fuori forma, fermo con le gambe e fuori tempo con i colpi, ho molto bisogno di giocare. Scopro da Chiara che c’è un torneo a un circolo vicino casa, limitato ai quarta categoria. Io, dopo la promozione di giugno, sono 4.1, mando la mail e mi iscrivo. Ma devo arrivarci in forma, mi servono partite.
E allora scorro la rubrica, non quella cartacea di Enzo dove c’è anche il numero delle FF.SS, le Ferrovie dello Stato, alla ricerca del Fraticelli da chiamare, quel tennista che anche se non hai mai filato quando erano tutti disponibili ora è l’oasi nel deserto, la borraccia d’acqua sul Mortirolo mentre sei in bicicletta. E quando si è in queste condizioni non ci si fanno scrupoli: Enzo rintraccia gli amici del militare, gente sconosciuta («Ce siamo conosciuti al distretto militare a prende la copia der congedo, io ero quello dietro de te: c’avevo ‘na maglietta de spugna, tipo mare»), e io scorro la rubrica ritrovando gente che non sento da mesi, anni. A differenza di Enzo io non trovo il coraggio per chiamarli a cavallo di Ferragosto. Intanto, incasso altri no.
«No mi spiace, sono al mare con la famiglia».
«No Claudio, torno dopo il 20».
«Ho due tornei da giocare assieme, appena mi libero mi faccio sentire io».
Vabbè. Roba da desistere. Anche il calcetto degli amici, cui mi sono unito per l’ultima partita prima dello stop, quando non era ancora il 10 di agosto, va in pausa. Volevo fare fiato, per rimettere in moto le gambe. E a nulla valgono i rimbrotti della moglie, «vabbè ma pure ad agosto? Ma prenditi una pausa!»: io devo rimettermi sùbito in forma tennistica.
Enzo, alla fine, prova rintracciare Martucci, e non può neanche lui. Ma gli manda un amico, che si presenta all’appuntamento con una camicia sudicia chiara, l’occhiale da miope tipo Andreotti, vecchio e stempiato, con la giacca piegata sul braccio. Enzo, camicia nera aperta davanti a esaltare il girocollo d’oro, capello tirato indietro alla John Dean, con la sigaretta in mano, lo guarda mentre poggia il sedere sulla spider nera con due fulmini rossi sulle fiancate, pronta a rombare verso la Polonia. Indugia sull’amico di Martucci con sguardo incerto, ma alla fine sorride, e allargando le braccia un po’ sconsolato gli dice mentre gli porge la mano: «Vabbè, ce diamo subito der tu, va bbene?».
E quindi alla fine uno di questi messaggi è un sì, è l’amico di un socio, una pippa probabilmente, e lo capisci sùbito non appena si presenta, quando lo vedi camminare. «Va bene», dico a me stesso, «Piacere Claudio», dico a lui. Giochiamo, Cracovia sia.