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Italiani che perdono a tennis

Tutti dicono che il tennis è lo sport del diavolo. Sarà, quello che è certo è che vedendo i giocatori da vicino, a Wimbledon, pare di essere in un centro per persone disagiate. Tra ragazzi che cominciano terribili soliloqui non appena mettono i piedi in campo, ragazze che ad ogni punto si rivolgono tremanti al raccattapalle per asciugare un inesistente sudore, e tutti, ragazzi e veterani, ragazzine e donne fatte, che aspettano la fine del punto solo per guardare smarriti il proprio angolo nell’attesa di un suggerimento che non arriverà mai e che se arriva è sbagliato, insieme a tic vari, sguardi bassi e vuoti, e davvero ci si chiede dove diavolo si sia mai capitati.

Qualsiasi punteggio sembra provocare in queste povere anime in pena una forma estrema di terrore. Se si è avanti di un break la paura di vincere, se si è sotto il terrore di perdere, se si è in parità la preoccupazione per la partita. Mai, in nessuna occasione, è concesso, all’interno di quel rettangolo, un pizzico di serenità. E se raggiungi l’obiettivo di una vita e ti rilassi, ecco che arriva un lungagnone qualsiasi che ti butta fuori dal torneo più prestigioso del pianeta terra, o in ogni caso quello più avvezzo alle iperboli, con effetti sulla psiche che a questo punto si possono immaginare.

Ma visto che siamo italiani limitiamoci ai nostri ragazzi. Intanto perdono tutti, perdono sempre, cosa che nel tennis è terribilmente usuale, visto che a vincere sono pochini. Ma la via italiana alla sconfitta non pecca certo di originalità. Cominciamo dal più tranquillo di tutti, Andreas Seppi. L’altoatesino è un ragazzone ormai maturo, che prende il tennis più o meno come un decente lavoro d’ufficio, magari pagato bene e che ti fa girare il mondo, anche se conoscerlo rimane un’altra cosa. Seppi al secondo turno si è scontrato con Milos Raonic, uno che quando gioca tutto sembra fare tranne che divertirsi. Il problema è che si divertono poco anche gli avversari, perché il gigante canadese – in realtà è montenegrino ma viva l’integrazione – tira delle terribili mazzate di servizio che quasi nessuno riesce a rimandare dall’altra parte. A parte Murray, si capisce.

Immaginatevi che significa stare fuori in pantaloncini con una racchetta in mano per due ore a guardare uno che fa sempre lo stesso eterno movimento e ti scaglia una pallina che mai e poi mai riesci a colpire come si deve. A meno che non ci si rifugi in sé stessi – come fanno Federer, Nadal e altri disadattati, in attesa del momento che questo qui si stufi – ti assale solo voglia di essere ovunque tranne lì. E quindi Seppi, semplicemente, ha smesso di giocare dopo un set e mezzo. Avete presente quei giocatori che dicono «non è finita fino a quando non è finita?» Bene, Seppi dopo un’ora non ne poteva più e voleva solo andar via: «Anche se prolungavamo la partita cosa vuoi che succedesse? Io mi diverto a giocare a tennis ma francamente così…».

camila giorgi
Giorgi, a Wimbledon, ha perso contro Garbine Muguruza per 6-2 5-7 6-4

Da un altoatesino all’altra, Karin Knapp, perde una partita al freddo contro una croata e comincia una seduta di autocoscienza: «è colpa mia, non devo cercare scuse, è colpa mia. Ma è un anno che le cose mi vanno male, che ci posso fare?». E se vi impietosisce la ragazzona di Brunico, allora meglio che evitiate le conferenze stampa di Sara Errani. Dopo l’ultimo punto contro Alize Cornet, Sara ha cominciato a strepitare e a piangere in campo. Già a Roma era stata colta da un vero e proprio attacco di panico: non riusciva neanche a respirare. A Wimbledon, invece, si è limitata agli occhi arrossati di pianto sotto un cappellino che doveva nascondere chissà cosa: «no è tutto a posto, mi dispiace solo per la sconfitta». Certamente.

Persino una come Roberta Vinci non si è sottratta alla stizza. Tutta contenta per essere arrivata al terzo turno, la miglior giocatrice italiana è andata a sbattere contro una specie di camion, tale Coco Vandeweghe, che l’ha letteralmente presa a pallate. Risultato? «Queste ragazze non pensano, sono tutte uguali, tirano a casaccio, per loro ogni punto è uguale. Io sono abituata a pensare, loro no». Quelle cretine, poteva aggiungere, visto che c’era.

Detto che la Schiavone odia chiaramente l’intero universo mondo e non saremo di certo noi a darle torto, non è che ci siamo scordati di Fognini, è che proprio al di là della compassione ormai annoia. Le sue partite sono sempre uguali: buona partenza, progressivo nervosismo, bestemmie, insulti a quelli che ha intorno, più o meno originali, che vanno dalla «vacca di tua sorella» al sempiterno «-inserire nazionalità a caso- di merda (inevitabilmente)”.

È davvero curioso che alla fine, almeno fuori dal campo una sola tra tutti questi sembra sveglia e tutto sommato equilibrata: una che – come darle torto? – ha l’aria di non capacitarsi di trovarsi di fronte a gente così (i giornalisti) e che una volta rispose alla domanda «in percentuale quanto sei dispiaciuta?» con una cosa tipo «il 12,8%». Sicuro che Camila Giorgi abbia bisogno di qualcosa?

Wimbledon 2016


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