Abbiamo problemi con la gente.
Succede così, all’improvviso. Bastano un paio di game, i primi della partita, per capire che il dritto non uscirà mai dalle righe della metà campo avversaria, che il vituperato rovescio, sì, proprio il colpo più insicuro del tuo repertorio, si trasformerà in un pilastro del gioco da fondo campo. Addirittura, colpirai cercando i vincenti, angolando verso le righe. Al servizio, al solito, sarai implacabile come sempre, costringendo gli spettatori ad applaudire dubito dopo il “toc” della pallina, non appena questa lascia le corde della tua Head. È una giornata perfetta, come quella lì che tutti ricordano, ed è ricapitata proprio contro Federer, nei quarti di finale di Wimbledon.
Dopo aver vinto il primo set al tiebreak, giocando questo ultimo game benissimo, riuscivi a “sbrigare” il secondo set come una formalità, dopo aver ottenuto il break al terzo game, sull’uno a uno, con Federer che tirava fuori i soliti rovesci steccati. Di lì in poi, hai chiuso 6-4 salvando solo una palla break, quando per un attimo hai titubato, quando hai cominciato a pensare: “E se lo battessi anche oggi?”. Poi, magari, avrai guardato Goran nel tuo angolo sorridere nervoso, quasi incredulo, e allora hai abbassato di nuovo la testa, tirando dritto. E pazienza se Federer metteva dentro una prima palla su due: giocava male di rimbalzo, non veniva mai a rete, ed era scuro in volto come nelle giornate peggiori. C’era da capirlo: con Djokovic fuori dal torneo, il Federer 2014 o 2015 di Wimbledon avrebbe vinto il torneo senza cedere un set. Oggi invece rischia di uscire ai quarti di finale, giocando contro avversari che non lo potranno battere nemmeno tra diec’anni.
Sul 5 a 4 per te, quando sei andato a servire, sembravi sicuro. Invece Federer ti ha tirato una risposta nei piedi che non sei riuscito a ribattere: 0-15. Poi hai seguito a rete un rovescio corto, Federer ti ha fatto giocare una volée in mezzo le gambe e tu gli hai offerto in risposta una palla molto facile, un assist enorme per far sì che Roger andasse sullo 0-30 sul tuo servizio, costringendoti a pensare. Il sette volte Re di Wimbledon ci è arrivato, ha piazzato i piedi, ed è stato costretto ad aspettare che la palla scendesse all’altezza giusta, quella dell’anca, per colpire il vincente con il rovescio. Quando la sua palla si è stampata sul nastro, nella sua metà campo, hai capito che era fatta. Game vinto e due set a zero per te, con il record di Federer in rimonta dal quinto set che non poteva farti paura: 9 sole vittorie e 32 sconfitte da sotto di due set.
I commentatori cominciavano a parlare della partita al passato: consideravano Federer per spacciato, ma davano il merito a te. Stavi giocando troppo bene e loro, per descrivere la tua prestazione, usavano quell’aggettivo che non esiste in italiano: “ingiocabile”. Sbagliavi nulla o poco più, Federer non ti guardava mai in viso ai cambi campo, preferendo fissare l’erba che lo stava tradendo. Ma mancava ancora un set per vincere la tua partita. Tutti erano concentrati su Federer intanto, cercavano di scrutarne il volto, per leggere le sue emozioni. I ripetuti incitamenti in tedesco tradivano smorfie rabbiose, l’opposto della calma che traspariva guardando il tuo volto imperscrutabile. Chissà se quella rabbia di Federer era solo dovuta a questa partita, o se stava prendendo coscienza che era entrato ancora di più nel crepuscolo, fra gli infortuni fastidiosi e le sempre più frequenti giornate storte.
Quindici punti persi al servizio nei primi due set, il rovescio indirizzato in lungolinea come raramente ti abbiamo visto fare: a Federer concedevi qualche punto spettacolare. Sul tre pari sei stato semplicemente perfetto: sei andato 0-40 sul servizio Federer, ma un rigurgito d’orgoglio dello svizzero annullava le tre palle che avrebbero chiuso la partita. E pazienza se Federer esultava sui tuoi errori. E allora hai cominciato a ripensare, con la coda dell’occhio hai visto Goran portarsi le mani al volto per mordersi le unghie. Hai tremato, e Federer ne ha viste troppe a 35 anni per non cogliere l’occasione: 6-3 per lui e un nuovo set da giocare, il quarto.
E poi, ad un tratto, erano di nuovo palle break. Con quelle due erano cinque consecutive, tre a metà del terzo set e due di fila ora sul 2 a 1 per te. E di nuovo non riuscivi a concretizzarle: sembravi Federer. E quindi toccava a te concederne due, anzi è Roger che se le guadagnava con dei punti spettacolari. Non ci hai pensato molto al da farsi, bravo. Testa bassa e 3 ace: questo sai fare. La partita era diventata tale, c’era da soffrire, ma soprattutto c’era da guadagnarsela questa vittoria. Salivi 5 a 4, e d’improvviso arrivava un match point. Federer si era sentito di nuovo sicuro e ti aveva regalato almeno un quindici in quel game. Ma la tua risposta andava lunga. Sul cinque pari andavi sotto di un quindici, Ivanisevic aveva finito le unghie, ma comunque ti salvavi salendo 6 a 5. La partita era bella e tu eri a tanto cosi da vincerla. Match point, il secondo, e tu cosa fai? Ovviamente scuoti la testa sull’ace di Federer.
Il pubblico si alzava, le urla erano coinvolgenti, e la tensione era ingestibile da tifoso, figuriamoci da giocatore. Contro Federer, nel centrale di Wimbledon, roba che se ci riesci a gestirla sei un campione vero. Noi ti guardavamo in volto, e sembrava quasi di leggerti la mente punto dopo punto:
“Eccolo qui il primo punto per me, con un mio servizio, bene Marin. Ace con la seconda di Federer, che campione. Dritto fuori di Federer: minibreak, Goran non mi guarda. Mio rovescio fuori, maledizione. Rovescio steccato di Federer, ancora uno. Servizio vincente di Federer, Dio come sta battendo. Cambio campo ma non guardo Goran, starà sicuramente con la testa a guardarsi i piedi. Eccolo qui, ancora un altro servizio vincente. Sta battendo veramente bene. Risposta vincente appena lunga di Roger, anzi no: dannato falco, per una volta lo svizzero ha indovinato a chiamarlo. Dritto vincente, 5-4 lui. Vediamo che succede. Tremo un po’, il dritto esce. Set point Federer. Dritto fuori ciccato dallo svizzero: incredibile. È un segnale, credici Marin. Ace, cambiamo campo. Servizio vincente: match point, di nuovo. Risposta in rete, cazzo. Va bene dai, ha servito bene. Ecco no, sbagliare questo punto sotto la rete no, 8-7 per lui. Ah, vieni a rete su questo rovescio in back per mettermi pressione? E io ti passo in lungolinea. Doppio fallo: no dai, non ci credo. Glielo annullo il setpoint: 9 a 9. Dai. Questo dritto che mi è uscito di un soffio è una grande ingiustizia, sarei andato a match point sul mio servizio. Ecco, e questo che sbaglio dopo è anche peggio. Quinto set, non me lo merito”.
E arrivava il boato dello stadio, per la partita più bella del torneo. E tornava di nuovo la paura. Raramente ti eri trovato in quelle situazioni, al contrario di quell’altro. Ma tenevi duro. Annullavi una palla break sul 3 a 2 Federer, e lo raggiungevi sul 3 pari. Stavi giocando bene, ma ti mancava l’allungo, perché quell’altro, di mollare, non ne voleva proprio sapere. Annullavi un’altra palla break sotto per 4 a 3, di nuovo, ma poi ne arrivava un’altra. Non ce la facevi più, cedevi. Quello lì aveva ancora troppa voglia di giocare a tennis. Tu giocherai fino ai 35? Certo che no, lo sappiamo. Ci hai provato ad annullarla quella palla break, ma oramai noi non ci credevamo più. Avevamo capito che la partita era girata.
E quando la folla ha esultato per l’ultima volta ci è venuta voglia di abbracciarti. Perché eri apparso ancora, come quella volta là, e forse il tennis questa volta si è ripreso quel qualcosa in più che ti aveva dato a New York nel 2014. Peccato Marin, è stato bello rivederti. Non fare che ora sparisci per altri due anni però, ok?