Abbiamo problemi con la gente.
Andrei Kozlov è un ex tennista russo che dopo una brillante carriera da junior ha deciso di intraprendere la carriera da allenatore negli Stati Uniti, aprendo un’accademia a Pembroke Pines, Florida, nella quale si è allenata anche Camila Giorgi (Sergio Giorgi l’ha definito «il miglior coach con cui abbia mai avuto a che fare»). I suoi due figli portano il nome della sua passione: il maggiore, nato nel 1998, si chiama come Edberg ed è una delle principali speranze del tennis statunitense, il secondo si chiama come Becker (non Benjamin, quell’altro) e sta cercando di seguire le orme del fratello. Il sito dell’accademia di Kozlov, con un font ereditato da Microsoft Word 1998 e una sfrontatezza ingenua e caciarona à la Jimmy McGill, dice molto sobriamente che «la filosofia di Andrei è semplice: sa quello che ci vuole per rendere campioni!». Ma al di là della filosofia, ciò che è interessante è che Andrei si definisce un “developmental coach”, un coach che punta più a far sviluppare potenziali campioni che a puntellare un marchingengo ormai quasi perfetto. E per restare fedele a quanto dice di sé, Andrei si è fatto da parte quando ha intuito che il suo primogenito, Stefan, aveva il potenziale per realizzare quello che non era riuscito a lui: diventare un campione. Nel 2010 l’USTA comincia a seguire questo ragazzo mingherlino tramite Nicolas Todero, un ex tennista argentino di cui la Federazione pare fidarsi parecchio, tanto che l’anno scorso gli ha affidato anche il talento di un’altra potenziale next big thing, Francis Tiafoe.
Stefan Kozlov non ha nulla di americano: né il nome, né il tennis. Non ha né un servizio potente come Taylor Fritz, per esempio, né tantomeno i colpi esplosivi di Tiafoe, eppure è stato il più precoce e promettente della nuova generazione a stelle e strisce. Nel 2011 vinse ad appena undici anni l’AEGON Teen Tennis di Bolton, uno dei tornei più prestigiosi per gli under 14; a 15 anni era già al numero 1 del ranking junior ed è stato il più giovane statunitense ad arrivare in una finale Challenger dai tempi di Michael Chang. Ma per ora la sua carriera è associata solo a grandi, onorevoli sconfitte. Nel 2013 ottenne una wild-card per l’ATP 250 di Newport. Michal Przysiezny, il suo avversario nel primo turno, disse: «Normalmente si fa fatica a trovare un quindicenne con cui allenarsi, mentre io oggi stavo quasi per perderci!».
Quasi, appunto, perché Kozlov, prima recuperando da 6-3 nel tie-break del secondo set e poi da 3-0 nel terzo, si arrese alla fatica e all’esperienza del suo avversario, di quattordici anni più vecchio. Un anno dopo raggiungerà la finale agli Australian Open e a Wimbledon junior, ma perderà sia contro Alexander Zverev che contro Noah Rubin. I buoni risultati gli valgono una wild-card nel challenger di Sacramento, in California, e Kozlov conferma di essere quasi pronto. Quasi, di nuovo: batte il suo primo top-100, Tim Smyczek ma in finale non può far molto contro Sam Querrey. Sale però di più di trecento posizioni e raggiunge ancora una volta Chang, l’ultimo prima di lui ad entrare nei primi 500 del mondo ad appena sedici anni. L’ultimo torneo dell’anno è quello buono: all’Orange Bowl, uno dei tornei juniori più prestigiosi dopo gli Slam, arriva in finale contro Stefanos Tsitsipas e lo batte in rimonta, conquistando il titolo più importante della sua carriera da junior.
Le sconfitte del 2014 sembrano tappe obbligate del percorso necessario a diventare un campione, ma il 2015, invece di consolidare le certezze accumulate l’anno prima, scalfiscono quello che Stefan ha costruito. Decide di non giocare più tra i junior, per aggiungere un po’ di maturità nel suo tennis troppo istintivo ma nel circuito Challenger vince in tutto l’anno solo cinque partite, l’ultima delle quali è anche la più netta e convincente. Dopo aver lasciato tre game al top 100 Malek Jaziri, Kozlov perde con Dennis Novikov in due set e chiude il suo 2015 nei Challenger con un bilancio negativo: 5 vittorie e 8 sconfitte.
Come se non bastasse, la concorrenza intanto mette la freccia. Kozlov ritrova Tiafoe, che l’aveva battuto nella finale dell’Orange Bowl 2013, nella finale dei playoff per gli US Open organizzati dall’USTA e riservati agli under 18. Kozlov e Tiafoe sono tra i principali favoriti di un tabellone composto da 128 giocatori, proprio come uno Slam. E anche se i primi sei turni si giocano al meglio dei tre set, nella finale i giovani statunitensi vengono messi alla prova con un match tre su cinque: del resto, il vincitore avrà una wild-card per gli US Open che si giocheranno di lì a poche settimane. Sono grandi amici e non potrebbero essere più diversi: Tiafoe è tanto esplosivo quanto Kozlov è riflessivo; esuberante il primo, dimesso il secondo. Ma ciò non significa che Kozlov non metta tutto sé stesso in quello che fa: sotto 6-2 6-4 4-2 comincia a correre sempre di più e a rimandare di là ogni colpo. Tiafoe, disordinato com’è, perde quattro game di fila e poi anche il quarto set. Ma alla fine vince lui: finisce 6-2 6-4 4-6 4-6 6-4 e Kozlov a malapena abbraccia l’amico, che si è appena conquistato l’accesso allo Slam di casa.
Nei discorsi da rookie vince Kozlov, comunque.
Il tennis di Kozlov, per essere padroneggiato adeguatamente, necessità di una concentrazione assoluta. Non a caso, l’USTA nel 2013 decise di affiancargli uno psicologo, Larry Lauer, che lo aiutasse a trovare le contromisure adatte ad una testa che pensa troppo. «Sono molto nervoso», disse al sito dell’USTA due anni fa. «Il dottore mi ha detto che devo imparare a pensare a qualcos’altro. Devo pensare alla partita fino a quindici minuti prima del match e poi dimenticarmene. Mi è capitato di essere avanti di un set e di un break e di chiedermi cosa avrei fatto se avessi vinto. E così mi deconcentravo». Ma che il tennis di Kozlov sia diverso da quello che siamo abituati a vedere in un’epoca di omologazione come questa è fuori di dubbio. Querrey, che sconfisse Kozlov nella finale del Challenger di Sacramento, disse che «ha tutti i colpi. Se continua su questa strada, diventerà un top 10». Smyczek, sconfitto in semifinale, definì il tennis del suo giovane avversario «inusuale» e che era molto bravo a presentarsi furtivamente a rete. Sneaking, in inglese – come sneaky è la risposta che Federer ha presentato a Cincinnati l’anno scorso. Volée, back di dritto e di rovescio, attacchi in controtempo e timing perfetto: vedere giocare Kozlov è un toccasana, di questi tempi.
Il 2016 sembra essere l’anno dei grandi cambiamenti: da qualche mese Kozlov ha cominciato a lavorare con un nuovo coach, l’ex tennista russo Andrei Cherkasov, ottimo tra gli junior (arrivò al numero 3 del mondo e giocò la finale degli US Open junior 1987), un po’ meno forte tra i professionisti (ma riuscì comunque ad arrivare al numero 13 ATP). Forse il nuovo coach ha smosso qualcosa in Kozlov, perché tra fine ottobre e inizio marzo Stefan ha vinto tre titoli Future in altrettante finali, lui che finora aveva sempre perso sul più bello: tre volte nei Future, una nei Challenger. In Guadalupa, nella meravigliosa cornice di Le Gosier – che significa il gozzo, per via dei numerosi pellicani che si trovano da quelle parti – Kozlov avrebbe potuto fare poker e conquistare il suo primo Challenger. Ma dopo aver battuto Yoshihito Nishioka in una lunga semifinale, ha alzato ancora una volta bandiera bianca.
Malek Jaziri, sconfitto qualche mese fa, si è preso la rivincita in un match in cui Stefan ha fatto vedere tutto quello che è e tutto quello che ancora non è. Sul 4-2, dopo un’eccellente smorzata Kozlov alza un lob invece di chiudere con un colpo potente: Jaziri ci arriva e smasha la palla con la stessa violenza con cui lo statunitense getta la sua racchetta a terra. Non servirà a nulla questa rabbia ritardataria perché Kozlov perde il set e nel secondo non riesce mai ad attaccare il servizio dell’avversario. Finisce 6-2 6-4, un punteggio che riflette fedelmente il gap che separa le ambizioni di Kozlov dalla competitività del circuito maggiore. Intanto, però, salirà al numero 225 del mondo, il suo nuovo best ranking. La carriera di Kozlov è appena iniziata e quindi è comprensibile che questo ragazzino stia faticando a trovare la quadratura del suo tennis: tra la teoria e la pratica, ce l’hanno insegnato in tanti prima di lui, c’è tutto un mare di possibilità.