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Infedeli alla linea

«Camila Giorgi ed il suo staff comunicano che in data odierna si è giunti all’interruzione dei rapporti con la FIT, che agirà come a suo tempo fatto con Simone Bolelli. Camila non parteciperà dunque alla Fed Cup, ma disputerà le qualificazioni del torneo di Stoccarda».

Questo scarno comunicato, apparso il 31 marzo sul sito di Camila Giorgi, è stata una vera e propria dichiarazione di guerra. Per un ambiente asfittico come quello del tennis italiano dire “non partecipo alla Fed Cup” senza neanche adombrare uno straccio di scusa e senza averlo concordato prima con i padroni delle ferriere equivale più o meno a tirarsi addosso un bombardamento – mediatico e legale, niente di troppo cruento (‘nsomma…) – spesso del tutto sproporzionato al reale interesse della vicenda. Ma la Federazione Italiana Tennis, guidata da ormai sedici anni, più di Hitler a Weimar per dirne una, da un oscuro ingegnere sardo ha da tempo adottato la tattica del colpirne uno per educarne cento. Figuriamoci se quel qualcuno è una ragazza un po’ introversa, seguita in modo abbastanza artigianale da un padre argentino che dopo l’epopea della gavetta, passata ad andare in macchina da un punto all’altro dei vari continenti e cercando sempre di guadagnare il centesimo per fare la lira, ha rifiutato fieramente qualsiasi affiancatore, rischiando non tanto di dissipare, quanto di non riuscire, forse, a fare l’ultimo passo, quello per arrivare nel paradiso della top 10. Un agnello sacrificale dev’essere sembrato un boccone sin troppo succulento, tant’è che con un gesto degno davvero di altre ambiti di cronaca, Barazzutti si è affrettato a diramare le convocazioni per mettere con le spalle al muro Camila e suo padre. Ma andiamo con ordine.

Il tennis è uno sport eminentemente individualista. Come tutti sapete, si comincia e si prosegue a giocare per vincere Wimbledon o il Roland Garros, non certo una competizione a squadre. Uno dei problemi è che esistono le Federazioni sportive, che magari hanno anche un senso per altri sport, ma nel tennis dovrebbero limitarsi a fornire un qualche aiuto, magari anche economico, ai ragazzi talentuosi o meno che non hanno i mezzi per praticare un gioco così dispendioso. Per via dell’impazzimento generale impossibile da riassumere in poche righe, si è creduto che l’attività di una Federazione di tennis potesse essere valutata a partire dai risultati. E questi risultati sarebbero le vittorie in competizioni del tutto snobbate dai grandi giocatori, che ci giocano più che altro per evitare di dover fare troppe discussioni con i media e i tifosi dei propri paesi.

Il riferimento a Coppa Davis e Federation Cup non è ovviamente casuale.

Se chiedete a Nadal l’anno delle sei vittorie in Davis probabilmente non se le ricorda neanche, e l’iper patriottico Djokovic ha disertato spesso e volentieri la competizione. Non parliamo di Federer, che gioca queste partite con lo stato d’animo del giocatore di club che non vede l’ora che finisca tutto per andarsi a mangiare la pizza in santa pace. Se così stanno le cose per il tennis maschile figuratevi per il femminile. Si può tranquillamente sfidare il lettore a cercare di ricordarsi chi ha vinto nel 2015, o l’anno dell’ultima vittoria italiana. Qualcuno lo ricorderà ma abbiamo il sospetto che siano molti di più quelli che si ricordano l’anno della vittoria di Cash contro Lendl a Wimbledon o, se proprio vogliamo rimanere nei sacri patri confini, della vittoria di Francesca Schiavone al Roland Garros.

Putroppo per loro, gli italiani non hanno – da 35 anni a questa parte – un giocatore in grado di competere non tanto per il titolo quanto magari per una maledetta semifinale Slam. E in questo clima di assoluta mediocrità un modo per arrotondare gli introiti è sempre stato quello di evitare di entrare in contrasto con la Federazione. Perché il gruppo dirigente sardo che governa da 16 anni non ha, tra le sue numerosi virtù, quella dell’umorismo e attua una rigorosa politica di intolleranza: o fai come diciamo noi o sei fuori.

In questo contesto è abbastanza semplice capire cosa è capitato al povero Bolelli nel 2008. Intorno alla trentesima posizione Simone decide di evitare una stupida convocazione per un’Italia-Lettonia a Montecatini. La presenza o meno di Bolelli non sposta niente, ma zero, proprio nulla. Tant’è che l’Italia, ovviamente, vince quel match senza problemi. Il fiume di improperi e attacchi, minacce si potrebbe dire, arrivati a Bolelli – con il magnifico Pietrangeli in prima fila – è cosa da far vergognare chiunque non ne abbia preso le distanze. Cioè quasi l’intero sistema mediatico, legato a filo doppio ai favori della Federazione, che utilizza le proprie prerogative – come quella di concedere o meno gli accrediti per Roma – come una clava.

Il presidente sardo, interpretando lo statuto federale in modo pittoresco, addirittura si lascia andare ad un «non verrà mai più in nazionale fino a quando io sarà alla guida della federazione». Forse credeva di essere Cossiga, visto che esisterebbero i regolamenti per dirimere la questione. Ma in Italia a chi volete che importi di una Federazione che non sia quella del calcio? E poi Bolelli che patriota è che neanche vuol fare questo sforzo di rispondere ad una convocazione di tre giorni?  Il risultato? Lo ricorderete: Bolelli non solo si presenta a Roma con una ridicola maglietta con la scritta “ITALIA” ma finisce con il licenziare il suo allenatore, il buon Claudio Pistolesi, che nel frattempo ha vinto le varie cause intentate alla FIT (che no, non è uscita sempre vincitrice dalle battaglie, soprattutto da quelle legali, ma è inutile chiedere di ricordare questo a giornalisti noti per la loro eleganza stilistica).

Bolelli arriva al licenziamento di Pistolesi perché è la conditio sine qua non per riappacificarsi con la Federazione. Anche perché la Federazione ne aveva fatta un’altra delle sue. Bolelli si allenava a Roma, presso il circolo Forum, ma dovette sloggiare presto assieme a Pistolesi perché altrimenti, come d’incanto, il circolo romano avrebbe rischiato di perdere i contributi della Federazione per far giocare i bambini della scuola tennis.  Pistolesi non verrà mai “riabilitato” dalla FIT, tanto che da allenatore di Söderling (uno che è stato anche numero 4 del mondo, mentre il predestinato top 10 Bolelli non entrerà mai nei migliori 30), non verrà mai nominato quando inquadrato dalle telecamere di Supertennis.

Dopo che pure Seppi – per evitare guai a Sartori, tecnico federale ai quali l’inimicizia dei sardi potrebbe comportare problemi seri e non solo sportivi – ha preferito un decente quieto vivere e persino Fognini – testa matta fino ad un certo punto, il ligure ha ben chiaro con chi può permettersi di sbroccare e con chi no – ha trovato il modo di evitare fastidi, tutto sembrava essersi appianato. Si potevano così elargire somme assurde a chi aveva appena vinto uno Slam (Schiavone, 400 mila euro, QUATTROCENTOMILAEURO) e prenotare voli in business class per andare a vedere indimenticabili scontri di primo turno, tutto andava bene.

Camila Giorgi è nata nel 1991. Finora il suo best ranking è alla posizione numero 30.
Camila Giorgi è nata nel 1991. Finora il suo best ranking è alla posizione numero 30.

Quando arrivarono i Giorgi – la ragazza così introversa e il padre che dev’essere sembrato un assurdo capellone agli uomini di mondo sardi – il modo per inserirli fu quello che viene in testa a chi gestisce quattro soldi: dargliene un po’ anche a loro. Le controparti pare abbiano siglato un accordo con il quale la Federazione dava 145.000 € più la possibilità di avvalersi del centro tecnico federale in cambio della partecipazione agli incontri di Federation Cup. Qui c’è la prima cosa curiosa. Perché mai si è reso necessario ribadire in un contratto il fatto che Camila dovesse obbligatoriamente rispondere alle convocazioni?

Esiste uno statuto federale che recita abbastanza chiaramente che tra “I doveri dei tesserati” (articolo 10) c’è quello (comma 2) di essere “tenuti a rispondere alle convocazioni e a mettersi a disposizione della F.I.T., nonché ad onorare il ruolo rappresentativo conferito”. Perché ribadirlo? È bastata una sempice ricerca per comprenderlo: Camila Giorgi pare non sia tesserata dal 2011, o almeno così risulta dagli archivi della FIT disponibili sulla pagina internet della Federazione.

Peccato che questo comporti un problema almeno di natura etica: la Federazione ha dunque fatto un accordo con un’atleta non tesserata? Non conoscendo il contratto (e neanche la controparte formale di Camila, visto che la FIT spesso si avvale di società di servizi e non è quindi detto che sia stato firmato dalla Federazione) non possiamo che riferirci a quanto riportato da organi di stampa vicini alla Federtennis.

Secondo costoro Camila avrebbe beneficiato di pagamenti retroattivi; di cure che all’estero non erano in grado di darle (sic); di un prestito d’onore di 145.000 €; addirittura dei premi relativi alle wildcard. In cambio, appunto, della possibilità di sponsorizzare qualcosa su Supertennis e di rispondere alle convocazioni. È forse appena il caso di commentare queste informazioni e il modo di trattarle.

Un prestito – d’onore o meno – è qualcosa che va restituito. È possibile che in questo Camila possa doverli restituire in modo più rapido di quanto concordato, ma non si comprende bene la sanzione. La cosa curiosa è che questo aspetto sembra l’unico che possa essere seriamente preso in considerazione. Queste fonti FIT potevano magari darsi la pena di informarsi se sia possibile o meno legare l’elargizione delle WC ad una qualche contropartita. Ovviamente non lo è, sarebbe molto grave – e illegale – prevedere una cosa del genere. Ci si consenta di sorvolare sulla miseria relativa alle cure prestate alla Giorgi. O sulla povertà morale di una posizione che vuole Serena Williams (o la Pennetta o Federer o vedete voi) in grado di potersi infischiare dei patti perché hanno vinto mentre la Giorgi deve star zitta e ubbidire perché non ha vinto niente. Diritto al dissenso garantito solo ai potenti insomma, nihil sub sole novum.

Sfrondata da questi orpelli, la discussione tra la FIT e la Giorgi si avvita su una semplice questione: le due parti hanno litigato. Altre fonti, meno istituzionali, riportano di una accesa discussione a quattro in cui i rappresentanti della FIT ad un certo punto avrebbero detto ai Giorgi “Ricordatevi di Bolelli” con l’effetto di scatenare le ire di Sergio. Che non avendo tra le sue virtù la diplomazia ha mandato letteralmente al diavolo i due uomini FIT. E, c’è da credere, sùbito dopo si è precipitato a scrivere quelle righe sul sito di Camila.

La FIT ha risposto da padrone delle ferriere. Invece di attendere l’ultimo momento utile per diramare le convocazioni per la Fed Cup le ha anticipate, dando una sorta di ultimatum ai Giorgi: o rispondete sì alle convocazioni entro lunedì 4 o prenderemo i provvedimenti del caso. Inutile dire che l’Italia è l’unica squadra, fin qui, ad aver già diramato le convocazioni, questo per spiegare come la Federazione intende le proprie, di virtù diplomatiche. Ma una cosa non ha considerato la FIT, forse due. Speriamo due. La prima è che l’allenatore di Camila non è un padre putativo come poteva essere Pistolesi per Bolelli, ma il padre vero. E l’idea di un allontanamento è ovviamente impraticabile. Quindi non hanno a che fare con un ragazzo spaventato ma con un signore adulto che ha avuto una vita complicata e che non pare sia incline ai cedimenti. La seconda cosa che la FIT non ha considerato e che tutti gli appassionati italiani dovrebbero augurarsi è che Camila Giorgi non ha lo stesso talento di Bolelli. Ne ha molto di più. E la sua carriera potrebbe essere – e sarà – molto diversa da quella del buon Simone.

Camila Giorgi


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