Abbiamo problemi con la gente.
«Quando l’uomo col fucile incontra l’uomo con la pistola, quello con la pistola è un uomo morto». Nel tennis, l’assioma western che Sergio Leone mette in bocca a Ramón Rojo in Per un pugno di dollari, funziona alla stessa maniera: se due giocatori dal gioco simile si affrontano vince quello che gioca meglio. Che chance poteva avere Kei Nishikori?
Nel primo game del secondo set c’è uno scambio lunghissimo sul 30 pari, Nishikori al servizio. I due sembrano allenarsi sulle diagonali dei fondamentali; ad un certo punto Nole gioca un colpo diverso, un back di rovescio che rimane basso sotto la rete. Spezza il ritmo al giapponese, chiamandolo a rete. Questo ci arriva ma colpisce mandando largo: era in una zona di campo dove non è suo agio. Nel punto successivo, la palla break, Nole alza un pallonetto in recupero, Kei colpisce uno smash abbastanza centrale e lo segue a rete (!). Sorpreso, Djokovic, neanche gioca un facile passante, fa semplicemente giocare al suo avversario una volée sotto il livello del nastro colpendo un backspin di rovescio: Nishikori mette a lato come un quarta categoria. La partita, considerato che Djokovic aveva già vinto il primo set per 6-3, era finita.
Quando Kei nishikori deve fare qualcosa più del palleggio i suoi limiti si manifestano. Eppure sembrava aver iniziato la partita con il piglio giusto, ma si trattava della solita illusione. Anche perché Djokovic figurarsi se aveva voglia di perdere una finale dopo aver sudato molto in settimana. Il serbo è sempre stato in controllo; era rilassato in volto, pronto a recitare il solito ruolo: vincere in maniera facile l’ennesima finale di un torneo Master 1000, la numero 28 (record, superato Nadal). Nole allungava sul 4 a 2, cedeva di nuovo il servizio, ma poi tirava diritto fino al 6-3. Nishikori era uscito dal match nel momento in cui aveva ceduto il servizio nuovamente, sotto per 4 a 3. Tutto fin troppo facile per il numero 1 del mondo ma cosa altro poteva fare se non vincere l’ennesimo, facile set?
Non si capiva, alla vigilia della partita, come Nishikori avrebbe potuto rappresentare un rischio per Novak. Disastroso al servizio, sia con la prima che con la seconda palla, pessimo nei pressi della rete, il giapponese ha mostrato i soliti limiti anche dal punto di vista strategico, palesando l’incapacità di praticare un qualsiasi colpo che non fosse un topspin da fondocampo, dritto o rovescio. Imbarazzante a tratti con il diritto (ne ha sbagliati molti di metri), Nishikori non ha mai provato a fare un qualcosa di diverso dal palleggio con ritmo da fondocampo, una via già percorsa (con quella di Miami sono sei le sconfitte consecutive contro il serbo) e che termina sempre con Djokovic vincitore. In Australia, qualche mese fa, Djojovic battè Nishikori in tre comodi set nel match di quarti di finale. Il giapponese non ha cambiato nulla rispetto ad allora rispetto a quello visto in campo. Stessa fine, quindi.
Sarà forse il caso, quindi, dopo il terzo torneo vinto nel 2016 in quattro partecipazioni (con l’unica sconfitta ascritta alla congiuntivite a Dubai), di cercare le colpe altrove. Djokovic poteva perdere contro Murray in Australia? No che non poteva, un set era il massimo che il serbo poteva concedere a uno che gioca come lui ma peggio, e così è stato. Poteva perdere contro un Raonic neanche a posto fisicamente? Ovvio che no, due game e via. E figurarsi se sulla superficie preferita, all’ultima partita sul cemento prima di affrontare il rosso, poteva perdere contro Nishikori, sceso in campo all’Ok Corral con la pistola.
La partita finiva con Djokovic che buttava la racchetta per terra per aver fallito una palla per il 5 a 2 nel secondo set, e con Nishikori che chiedeva l’ennesimo Medical Time Out per farsi massaggiare la coscia – perché lui è anche delicato dal punto di vista fisico. “Not very good”, rispondeva il giapponese all’arbitro che gli chiedeva come stesse. Eri e Kyoshi Nishikori guardavano il figlio tornare in campo con Djokovic già pronto a terminare il massacro. Djokovic si arrabbiava perché non riusciva a strappare il servizio per la seconda volta nel set e Nishikori lanciava la racchetta a metri di distanza da lui per la rabbia. Uno voleva stra-vincere, l’altro cercare una spiegazione che non fosse il suo fallimento. Alla fine l’ennesima stecca di dritto del giapponese faceva alzare le braccia al cielo a Djokovic. Sesta vittoria a Miami, e col milioncino di dollari guadagnato il serbo sorpassa Roger Federer nella classifica di sempre dei guadagni relativi al solo prize-money. Non male.
Forse non è più il caso di prendersela con Djokovic. Non aiuta tifare spudoratamente per avversari (partita contro Goffin) che falliscono puntualmente la prova del nove per diventare campioni. Djokovic non è antipatico perché è vincente. «Spero di vincere un Master 1000», diceva Nishikori sul palco dei premiati, dimenticando che altro che vincere un Master 1000: lui è riuscito a perdere una finale Slam contro Cilic! Nole ringraziava il suo team, che gli sta «facendo vivere un sogno». Senza tradire emozioni, il serbo alzava il trofeo dopo aver fatto una video chiamata in campo col suo cellulare, forse con la sua famiglia. In relax totale, pronto per il riposo prima di Montecarlo. Eh già, ora arriva il rosso, e forse lo spettacolo con buona pace di Moore. Forse bisogna tifare terra battuta, altro che avversari.