Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani & Daniele Vallotto Posted in recap on 21 Marzo 2016 7 min read
Cosa ricorderemo di Indian Wells è presto detto: la polemica dell’ultimo giorno su prize money fra uomini e donne nata dalle dichiarazioni abbastanza discutibili del direttore del torneo – ma di questo scriveremo a parte. Tennisticamente, invece, ricorderemo ben poco, ovvero che Djokovic ha vinto il torneo come da pronostico, agganciando Rafael Nadal nella classifica dei titoli Master 1000 a quota 27. Per i feticisti dei numeri: ha raggiunto la finale agli ultimi dieci Master 1000 che ha giocati, ne ha vinte otto e ne ha perse due. Quest’anno ha giocato quattro tornei e ne ha vinti tre. Non si vedono in giro avversari che potrebbero batterlo a breve, congiuntivite a parte, e francamente ogni partita di Djokovic rischia di essere appassionante come un’esibizione di fine anno. Ma questa non è certo colpa sua. Alla fine, la notizia del ritorno di Federer a Miami finisce addirittura per oscurare Indian Wells. Il torneo californiano è ormai nettamente avanti a quello della Florida ma almeno per quest’anno pare che si parlerà più del Miami Open che del BNP Paribas Open.
Il gatto c’è e i topi non ballano
Bisogna davvero scavare per trovare spunti d’interesse per i tornei a venire: Wawrinka, poco voglioso, ha perso un match incredibile contro Goffin, bravo ad arrivare in semifinale per la prima volta in un torneo Master 1000; Berdych ha fatto il suo perdendo contro Raonic, oramai più forte del ceco; Monfils ha raggiunto i quarti di finale battendo Delbonis, che è stato protagonista della sorpresa del torneo avendo battuto Andy Murray. È vero che lo scozzese non vanta un gran record in California, ma è pur sempre il numero 2 del mondo e non può perdere contro Delbonis, specie in quel modo. Murray, ad ogni modo, aveva già sofferto fin troppo al primo turno (o secondo, fate voi) contro Granollers, e quindi s’era capito che poteva perdere tranquillamente contro tutti. Dopo la sconfitta con Delbonis, lo scozzese è apparso abbastanza sconsolato e incapace di spiegarsi questa idiosincrasia verso la California: «Ho provato ad arrivare con largo anticipo per abituarmi alle condizioni e non ha funzionato. Ho provato ad arrivare all’ultimo momento e non ha funzionato». Ora però arriva a Miami, dove la tradizione è decisamente più favorevole rispetto a Indian Wells.
Guarda un po’ chi si rivede
Jo-Wilfried Tsonga ogni tanto si ricorda di essere un top 10 (è al numero 9 attualmente, ci credereste?) e quindi gioca un torneo in maniera spettacolare, rischiando di battere addirittura l’imbattibile, Djokovic, cedendo solo dopo due tiebreak. Battere è una parola grossa, forse, ma Jo è il tennista che ha vinto più game contro Djokovic a Indian Wells. Non conta nulla, è vero, ma nel resto del torneo il francese ha concesso cinque giochi a Doninic Thiem, uno dei tennisti del momento, e sette a Sam Querrey, che sul cemento americano dice sempre la sua. Dopo gli Australian Open aveva deciso un po’ a sorpresa di andare in Sud America ma ha rimediato due brutte figure sulla terra battuta, prima con Almagro e poi con Thiago Monteiro. Sul cemento però è tornato quello che conosciamo. Sembra che stia giocando bene: a Miami sarà meglio tenerlo d’occhio.
Nadalometro
Come sta Rafael Nadal in questo 2016 è una domanda più interessante di quella senza risposta positiva da 3 anni a questa parte: Federer vincerà un altro slam? Scherzi a parte, di Nadal si continua a dire, e a scrivere, che sta sempre meglio, che gioca sempre meglio, ma alla fine l’unico risultato è che perde sempre meglio. Di certo, il suo Indian Wells è stato un buon torneo. Ha rischiato di uscire contro Muller al primo turno (secondo, per lui, per via del bye); ha rischiato di andare al terzo contro Verdasco, annullando tre set point di fila nel tiebreak; ha rischiato di uscire contro Zverev al terzo turno, non fosse stata maldestramente eseguita una volée di diritto sul match point; ha battuto Nishikori senza problemi, con il giapponese che a fine gara ancora non aveva capito la tattica da adottare in campo per fare match pari; ha, infine, perso contro Novak Djokovic, come fa oramai da sei partite consecutive, ma arrivando addirittura a set point, questa volta. Insomma, come sta? Sta benino. Indian Wells gli restituisce fiducia, buona per affrontare Miami ma soprattutto i due mesi sul rosso che potrebbero scrivere le parole definitive sulla sua carriera.
La vecchia novità, Raonic
Due tornei nel 2016 e due infortuni. E meno male che a fine 2015 il canadese aveva dichiarato di chiedere solo la salute all’anno seguente. E così lo avevamo lasciato all’Australian Open, sconfitto in cinque set da Murray anche per un infortunio, e l’abbiamo ritrovato a Indian Wells sconfitto in finale da Djokovic, e sempre con un infortunio di mezzo. Insomma, questo Raonic arriva fino alla fine dei tornei e perde contro i fenomeni, non giocando al 100% del suo potenziale. Al momento, al netto di Zverev che è ancora troppo giovane e troppo in là in classifica, il canadese potrebbe rappresentare la grande novità della stagione ed essere il vero outsider rispetto ai soliti Djokovic, Murray e Federer. Certo, deve rimanere sano, come lui stesso si augura. Intanto, ha giocato due tornei importanti ed entrambi sono terminati con due messaggi su Facebook ai suoi fan per dire che si è infortunato e che tornerà presto. Sano, si spera, anche perché il suo tennis d’attacco rappresenta una novità nei palleggi regolari del tennis di vertice. Stiamo riscoprendo un tennista che si butta a rete anche su attacchi improbabili, che non ha paura di giocare le volée sotto la rete e di giocare il rovescio più in backspin che in topspin. E pazienza se contro Djokovic non c’è niente da fare, perché si viene passati o superati in altezza: di Djokovic ce n’è uno solo in giro. Intanto è salito al numero due della Race, superando Murray di un soffio grazie alla finale di ieri. Salirà al numero 12 del ranking e quindi eviterà uno dei primi quattro agli ottavi del torneo di Miami. Ma visto come stanno Murray, Federer e Wawrinka, forse sono loro a doversi preoccupare, non il contrario.
Dove va Nishikori?
La carriera di Nishikori sembrava arrivata ad un punto di svolta un anno e mezzo fa quando giocò tre match spettacolari agli US Open. Diciamo “a sorpresa” non certo per il valore tecnico del giapponese, ben noto ormai da tre anni, ma perché c’erano molti dubbi fisici sulle sue condizioni fisiche (non aveva partecipato né a Toronto né a Cincinnati e sembrava dovesse rinunciare anche a New York). Dopo quel torneo, però, Nishikori si è normalizzato in un modo preoccupante. La curva involutiva del giapponese somiglia molto a quella che ha ridotto Berdych ad un comprimario di lusso dopo un’inaspettata finale a Wimbledon, sei anni or sono. Che futuro aspetta Nishikori? Nel 2015, il primo anno interamente giocato da top-10, ha raggiunto un paio di quarti negli Slam perdendo contro tennisti ostici ma non inarrivabili, mentre nei Master 1000 si è fatto notare più per le sconfitte evitabili che per altro. Quest’anno è cominciato con l’ennesimo quarto di finale in uno Slam e con una dura sconfitta nel primo Master 1000 della stagione contro un tennista che una volta era di un altro livello e adesso dovrebbe essere alla sua portata. Dovrebbe, appunto. Su questo condizionale si sta sviluppando la carriera di Nishikori.
La classifica
Non cambia praticamente nulla nel ranking, perché Raonic sale dal quattordicesimo al dodicesimo posto e quindi la top 10 rimane invariata. Forse cambierà qualcosa a Miami: Murray deve stare attento perché difende 600 punti mentre Federer, distante 700 punti, nessuno; Isner e Berdych, semifinalisti un anno fa, ne difendono 360. Tra due settimane, insomma, potrebbero cambiare qualcosa. Gli unici top 10 che sono sicuri che non saliranno né scenderanno dopo il Miami Open sono Djokovic, Wawrinka e Nadal. In ogni caso, li troveremo tutti quanti a Key Biscayne. E già questa è una notizia.
Il punto del torneo
Che cosa si deve inventare un povero cristo per tirare un vincente contro Djokovic? Questo.