Abbiamo problemi con la gente.
By Claudio Giuliani Posted in recap on 29 Gennaio 2016 7 min read
La semifinale più attesa è stata quasi interamente rovinata dalla tensione di uno dei due tennisti in campo, quella un po’ meno attesa ma più interessante è stata parzialmente rovinata da una gamba che si è fermata sul più bello e ha impedito al tennista che era in testa di mettere ulteriore pressione ad un avversario in difficoltà. Ma si è detto mille volte: per vincere serve il physique du rôle e Murray, in questo, è il numero uno. Raonic, invece, deve fare ancora un po’ di strada e se tatticamente il canadese sembra aver intrapreso la strada giusta, fisicamente forse manca ancora qualcosa. Sono piccolissimi dettagli e sono anche quelli che decidono una semifinale di uno Slam.
Federer – Djokovic 6-1 6-2 3-6 6-3
Quali potevano essere, alla viglia della partita più divertente del tennis di oggi, gli scenari possibili? Il pronostico unanime, sia degli addetti ai lavori che dei fan più o meno obiettivi, vedeva Federer lottare contro Djokovic ma soccombere in quattro set. Così è stato, a parte il lottare. Perché Djokovic ha dato 6-1 6-2 a Federer nei primi due set della semifinale giocando, per usare sue parole, “i due migliori parziali del torneo”. Contro Federer. Che è rimasto inerme nella sua metà campo, scuro in volto. Ma Roger è pur sempre un campione che ha vinto 17 Slam, e pazienza se tocca ancora a lui portare la croce verso il monte Golgota, guardati dall’alto da Novak Djokovic. Il serbo è stato ingiocabile, ma Federer di puro orgoglio è riuscito a vincere un set. A fine partita lo svizzero ha detto di non sentirsi particolarmente vecchio, che può correre per quattro o cinque ore e che insomma i problemi sono ben altri. Ma l’impressione è che la consapevolezza di non poter lottare ad armi pari nel caso il match si allunghi – come è successo a Wimbledon 2014 – attanagli Federer con una tensione eccessiva. Ed ecco spiegate le pessime partenze agli ultimi US Open e a questi Australian Open. Quel che è rimasto della partita, cioè un veloce quarto set, si è sùbito incanalato sui binari delle loro ultime sfide, quando sembra ci sia una contesa ma in realtà è solo apparenza, perché il tennis è quello sport in cui si affrontano due tennisti e alla fine vince Djokovic.
Murray-Raonic 4-6 7-5 6-7(5) 6-4 6-2
“Eh, ma te lamenti: fai fare tutto a lui? Prendi l’iniziativa, no?”. Così parlò Adriano Panatta all’inizio del quarto set, quando Murray sembrava frustrato da un Raonic calmo e rilassato che continuava a mettere a segno vincenti col diritto, con lo smash e anche con il rovescio lungolinea. Ma di lì a poco la partita avrebbe virato verso il numero due del mondo (con la finale confermerà il ranking lunedì prossimo, altrimenti Federer l’avrebbe sorpassato). Infatti, Murray aveva spostato l’interruttore sulla modalità “grinder”, schiacciasassi, preallertando i muscoli che per almeno un’altra ora e mezza avrebbe corso su ogni palla per portare al quinto la partita, e vincerla. Lì si è capito che all’ottimo Raonic manca ancora un qualcosina per battere due mostri come Djokovic e Murray nelle partite importanti degli Slam. Eppure la partita era stata impostata sui binari giusti, con Milos praticamente padrone dell’iniziativa per (quasi) tutta la partita, almeno finché non si è infortunato nel quarto set. Fino al 2 a 1 del quarto set in suo favore, quando ha chiesto un medical time out, il canadese aveva cercato la rete con maggior giudizio rispetto al match di Wawrinka. Insomma: non è andato a rete all’arma bianca come contro lo svizzero perché Murray, strepitoso nel riportare in auge il lob in questo match, non avrebbe perdonato. Il canadese ha anche evitato di giocare il back di rovescio, un colpo che non padroneggia ancora, perché Murray se ne sarebbe avvantaggiato sia in termini di esecuzione che del ritmo di gioco, che il canadese ha cercato di mantenere alto. Ma dall’infortunio del quarto set – un problema all’adduttore destro – il servizio ne ha risentito, con le velocità medie che sono scese, sia per la prima che per la seconda palla. Murray è stato – ovviamente – il migliore in risposta, e a poco sono serviti i 72 vincenti di Milos, visto che gli errori non forzati sono stati 78. Murray, invece, ha chiuso con 38 vincenti e 28 unforced. Nonostante questo, è stata una bella partita.
Che finale sarà
Djokovic e Murray stanno messi così nei confronti diretti: 21 a 9 per Djokovic in totale, di cui 9 a 1 negli ultimi dieci confronti. Messa così, chi volete che vinca? Il problema di questa finale però non sarà il vincitore: sarà l’assenza di spettacolo. Domenica c’è da prendersi almeno mezza giornata, c’è da saltare la messa per chi crede, saltare l’oretta della domenica al circolo tennis o la passeggiata al mercatino dell’isola pedonale. Perché, in meno di tre ore, questi due non la finiranno questa partita. E saranno ore di scambi lunghi, e tanti errori. Murray avrà sulle gambe una battaglia di 4 ore e avrà di fronte un Novak Djokovic bello riposato, che ha sudato praticamente nulla contro Federer e che ha avuto un giorno di riposo in più, impiegato inoltre per “some downtown time”, cioè una passeggiata a Melbourne, utile a ricaricare la testa di energie mentali. Djokovic, dopo le 4 ore e 32 minuti giocate contro Simon, è andato a usare la camera iperbarica a ossigeno, una pratica oramai sempre più diffusa tanto che i giocatori hanno le proprie maschere personali, che utilizzano mentre guardano Netflix e la macchina lavora per loro, come scrive Tom Perrotta sul Wall Street Journal. Pare che questa pratica aiuti il recupero dallo sforzo. Fossimo in Murray, ci faremmo un binge watching di Master of None, il tema della finale in chiave spettacolo.
Osservatorio Panatta
Manca lo spettacolo abbiamo scritto, dunque, ma manca pure Panatta. L’Adriano nazionale si è imborghesito, non è più “er ghepardo de ‘na vorta”, come direbbero a Roma, e oramai non punzecchia più neanche Federico Ferrero, che forse ha messo le cose in chiaro prima del commento delle semifinali maschili. Certo, Panatta ogni tanto ha regalato qualche perla, ma si è trattato di poca roba.
Su un punto di Djokovic, che mette a segno un passante con Roger a rete:
Ferrero: “È sceso a rete con poco”.
Panatta: “Con pochissimo”.
Ocleppo: “Con il cognome”.
Panatta: “Come diceva Tiriac: uno va a rete col biglietto da visita”.
Ferrero ride. Insomma, storielle così, senza pathos, battute depotenziate.
Da ricordare anche un momento di autopromozione:
“Senti – dice Adriano – vogliamo dire che Europsort ci manda on site per il Roland Garros?”
Ferrero sùbito pronto: “A 40 anni dalla vittoria…”.
Ocleppo: “Di chi, Federico?”
Panatta anticipa tutti: “Di un vecchio rimbambito”.
L’ultimo vincitore Slam italiano è modesto, ma trova il tempo giusto di chiedere conferma quando inquadrano l’allenatore di Federer (“È Ljubicic, no?”), mentre riconosce Becker (“A Boris(se) e fallo un sorrisino!”) , di ricordare per l’ennesima volta di aver visto Raonic (“un sellacchione”) giocare da junior a Wimbledon su invito di Benito Barbadillo, manager di Nadal, e di raccomandare ai giocatori tutti di guardare dove è l’avversario prima di tirare il passante o un colpo di chiusura nei pressi della rete. Prima che apra una petizione su Change.org, cari Novak, Andy, Milos e Roger: e dateje retta.