Abbiamo problemi con la gente.
E così, dopo un venerdì che ha riscritto pure l’agenda del presidente del consiglio, Flavia Pennetta ha deciso di alzare un altro po’ l’asticella e di rendere il sabato degli US Open un vortice bulimico di emozioni, di frasi spezzate e di momenti che faticheremo a dimenticare. La prima finale tutta italiana in uno Slam, di per sé, non è stata un granché: Flavia ha imposto quel ritmo da fondocampo che Serena ha smesso di imporre dal secondo set in poi e Roberta ha fatto quel che ha potuto ma ha perso in due set. Ha giocato passanti di rovescio coperti, si è spinta a rete, ha provato a intrappolare Pennetta con il rovescio in back. Ma se Serena tentava di uscire rabbiosamente da quella diagonale, Flavia ha invece aspettato con pazienza, conscia che quel colpo che le ha dato tante vittorie non poteva tradirla nella partita più importante della sua carriera. A fine match, Flavia e Roberta si sono abbracciate come solo due rivali che sono cresciute assieme possono abbracciarsi. Mentre si preparava il gran finale e la presentatrice dell’ESPN ripassava le frasi di rito, le due amiche si commuovevano nel più genuino degli abbracci. E Flavia, che già sapeva tutto, non aveva nessun motivo per essere triste, anche se quello che verrà, da qui a fine anno dovrà cercare di goderselo nella maniera più intensa.
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— Jordan (@heelsrule1988) September 12, 2015
Due anni e mezzo fa, Flavia Pennetta si trovava oltre la centesima posizione del mondo. Aveva giocato qualche quarto di finale negli Slam (tutti agli US Open), aveva vinto qualche torneo di una certa importanza e grazie alla splendida estate del 2009 era diventata la prima tennista italiana a entrare nelle prime dieci posizioni del ranking. Flavia aveva fatto da apripista, ma i risultati più importanti li aveva ottenuti qualcun altro: Francesca Schiavone, nel 2010, vinse il Roland Garros ed uguagliò il best ranking di Adriano Panatta (al numero 4); Sara Errani, due anni più tardi, raggiunse la finale dello Slam francese e come Francesca si qualificò al WTA Championships di fine anno. Dopo aver passato il primo turno a Wimbledon, nel 2013, chiesero a Flavia, che allora aveva 31 anni, se stesse pensando al ritiro. Lei, onesta come sempre, disse che sì, ci stava pensando: “Se a fine anno sarò ancora così in basso trarrò le mie conclusioni”. A Londra, in un torneo che raramente le ha dato qualche soddisfazione, raggiunse il quarto turno e cominciò a pensare che forse, a fine anno, non sarebbe stata così in basso. Anche se i tornei statunitensi prima degli US Open non le diedero le consuete soddisfazioni, Flavia arrivò a New York con una certa dose di fiducia. A Sara Errani, che l’anno prima aveva giocato le semifinali, lasciò quattro game nel secondo turno; a Simona Halep, che era considerata da tutti una delle possibili sorprese del torneo, concesse di arrivare al tie-break. Ai quarti c’era l’amica Roberta Vinci: entrambe venivano da un periodo difficile e quel quarto di finale sembrò la giusta ricompensa per i tanti anni nel circuito. Vinse Flavia e anche se contro Victoria Azarenka raccolse appena sei game – lei che non aveva perso nemmeno un set per arrivare in semifinale – il risultato ottenuto dopo tre sconfitte nei quarti di finale fu tra i più dolci della sua carriera.
New York è sempre stata dolce nella storia di Flavia Pennetta ma è stata anche teatro della più grande occasione persa dalla brindisina. Nel 2011 aveva giocato il suo terzo quarto di finale a New York e ci era arrivata battendo al terzo turno Maria Sharapova e uscendo vincitrice da un match molto duro dal punto di vista fisico contro Shuai Peng al quarto turno. Nei quarti, stavolta, non c’erano Dinara Safina o Serena Williams. C’era una tedesca mancina di cui molti conoscevano appena il nome, figuriamoci il volto o il tipo di gioco. Pennetta era favorita non solo dal ranking, ma anche dall’esperienza: Kerber allora era numero 92 del mondo e a quei livelli non aveva mai nemmeno pensato di giocare (dopo la partita con Flavia dirà: “Sono arrivata a New York sperando di passare uno o due turni”). Finì 6-4 4-6 6-3 per la tedesca e quel match sembrò un amarissimo spartiacque nella carriera di queste due tenniste che si conoscevano a malapena. Kerber giocherà un fantastico 2012 e si qualificherà per i Championships di fine anno; Pennetta subirà un infortunio al polso prima di scendere in campo nei quarti di finale degli Internazionali d’Italia e praticamente smetterà di giocare, quell’anno.
Ma se la semifinale degli US Open 2013 fu una svolta della carriera di Pennetta, come possiamo definire quello che venne dopo? A marzo 2014 questa ragazza che pensava al ritiro meno di un anno prima arriva in finale a Indian Wells battendo la campionessa in carica degli Australian Open, Li Na, e diventa la prima tennista italiana a vincere il torneo californiano. Flavia torna ad avvicinare quella top-10 che aveva inseguito per tutta un’estate e che in una sera di inizio primavera sembra tornare così vicina. Non ci arriverà perché il fisico, dopo tanti anni, non è più quello di una volta e anche perché Flavia, finalmente, sembra appagata. Finisce l’anno con un altro quarto di finale agli US Open e anche se non è tra le magnifiche otto che si giocano il torneo a Istanbul, può trovare una mezza consolazione nel Masters B che si gioca a Sofia. Arriva in finale ma perde in tre set contro Andrea Petkovic: il suo finale di carriera è fatto di queste vittorie che non sono tali in maniera completa ma è anche fatto dalla consapevolezza che ogni soddisfazione, anche la più piccola, è frutto di tutto il sudore, le lacrime e le delusioni del passato. E anche se il futuro si sta avvicinando di più, o forse proprio per questo motivo, l’ultima parte della sua carriera è quella in cui le vittorie hanno il sapore più intenso.
A Toronto, Flavia Pennetta capisce che il futuro non è più procrastinabile e che è giunto il momento di dire basta. Non sa che cosa la aspetta di lì a un mese. Durante la premiazione degli US Open 2015 – il suo primo e ultimo Slam -, mentre il pubblico dell’Arthur Ashe la applaudiva per quel finale a sorpresa che ogni statunitense adora, Flavia ha detto la verità: è il momento di dire addio perché non ha più la forza di competere. Avesse perso, quel momento sarebbe giunto comunque? Se lo sono chiesti in tanti, ma non c’è motivo di non credere alle parole di Flavia. Il tennis, quella divinità di volto mezzo tra bello e terribile, ha deciso che Pennetta, la tennista italiana che ha mostrato la via del successo, meritava un’ultima ricompensa. Pennetta se l’è presa senza tremare, anche se quel primo set contro Roberta Vinci si è giocato sul filo della tensione, come ogni altro confronto tra le due. Quando erano ragazzine, dice Roberta, vinceva spesso lei perché sapeva gestire meglio la pressione rispetto a Flavia. Ma Flavia Pennetta, e non certo in virtù di questo trofeo e non certo da oggi, è una donna matura. A prescindere da questo meraviglioso e inaspettato torneo, ha capito che al tennis non poteva chiedere altro. Forse è per questo che ha vinto, ma non sta di certo a noi dire se la sua decisione sia giusta o sbagliata.